Chi ha diritto di stare in tv

Ho assistito all’ultima puntata di “Vieni via con me” con la consapevolezza di aver finalmente visto un programma fatto da persone che hanno pieno diritto di stare in tv.
Non c’entrano i gusti, come è ovvio, c’entra la professionalità o meglio, se mi consentite, la titolarità. Perché di professioni ce ne sono molte, soprattutto improvvisate, ma di spettanze di diritto televisivo pochissime.
Al di là di alcuni umani cedimenti nel luogocomunismo, la sinistra classica che viene fuori dal fortunato progetto di Fazio e Saviano è (almeno) consolante: il pacifismo, il volontariato, l’antimafia, lo stare dalla parte delle vittime di ogni sopruso. Le vecchie, care, indimenticabili cause perse alle quali molti di noi si erano pericolosamente disabituati in un Italia che stempera le sue emergenze tra festini e puttane (per pochissimi, ed è quello il disintegratore sociale). Certo poi pensi alle parole “sinistra”, “progetto”, “fortunato” e pensi che ne manca una: ossimoro.
Tornando al programma di Raitre, è stato bello riscoprire il buon artigianato di una tv militante ma fatta ad arte (regia fantastica), nonostante la delusione sui titoli di coda: dov’era Paolo Conte, la cui musica ci ha accompagnato per quattro settimane?

Speranze

Numeri incoraggianti sulla serata televisiva di ieri.

Grande Fratello: 5.219.000 spettatori (share del 19,98).

Vieni via con me: 9.671.000 spettatori (share del 31,59).

Maroni, vieni via…

C’è un equivoco di fondo dietro la partecipazione, imposta quasi per decreto, del ministro degli Interni Roberto Maroni alla trasmissione “Vieni via con me”.  Il diritto di replica è di una parte chiamata in causa, di una parte debole, non di un rappresentante del governo, di un potere forte che sta al di sopra dell’accusa.
Questo è il passaggio fondamentale per capire che quando un esponente di primo piano dello Stato impone la propria presenza in un programma televisivo, per giunta della rete pubblica, si è alla frutta (avariata).
Se un privato cittadino si sente offeso, calunniato, ingiustamente tirato in ballo, deve avere tutti i supporti di legge affinché gli si forniscano gli appigli per un replica che abbia audience adeguata. Quando un rappresentante della Repubblica ha bisogno di forzature da dittatura centroafricana per riuscire a biascicare quattro parole in tv, è segno che si è fatta un po’ di confusione:  un ministro non è un esponente di partito o se lo è – coi tempi che corrono – deve fare in modo da mimetizzarsi in modo che tutti lo possano scambiare per un persona perbene; il luogo deputato per le opinioni sono i mass media, e i rappresentanti politici non possono interferire; nello specifico esibire un fazzoletto verde nel taschino impone una reazione a ciò che quel simbolo rappresenta (divisione, Padania, ronde, celodurismo, tricolori nel cesso, eccetera), che sia una pernacchia o una dignitosa alzata di spalle sarà la sorte a deciderlo. Confido nelle pernacchie.

Lo spot di Maroni

La differenza tra spot e cronaca sta nell’obiettività. Il Tg5 ha sposato la linea commerciale: fare gli interessi dell’editore. Quindi ieri sera ha organizzato una bella intervista al ministro Maroni, che lavora nel governo dell’editore, per dire che la criminalità al Nord non esiste, che la criminalità è stata pressoché battuta e che chi dice il contrario è un menagramo comunista.
E’ seguito – giuro – un elenco in stile “Vieni via con me” (stessa colonna sonora, di Paolo Conte) dei latitanti arrestati negli ultimi due anni.
Poi per fortuna è arrivata la pubblicità. Quella seria.

Garantisce Maroni

Ho visto solo ieri la seconda puntata di “Vieni via con me”. E ho goduto per un programma di qualità. Erano anni che non assistevo a una trasmissione così ben fatta, curata nei dettagli, rispettosa dello spettatore.

Da abbonato Rai sono finalmente soddisfatto.

Gli strilli del petulo Maroni sono una conferma della qualità del prodotto. Quando non piace a lui e a quelli come lui, una trasmissione dovrebbe meritare una sorta di bollino di qualità.

Il metodo Ghedini

Secondo l’editto del tiranno della Rai (il nome non si fa perché quello di Masi è probabilmente una copertura) Fazio e Saviano per poter parlare di politica dovrebbero invitare tutti i politici. Ciò significa che non basta chiamare Fini per la destra, e Bersani per la sinistra, o viceversa, per garantire il pluralismo, il contraddittorio e tutte le menate di cui Vespa, Minzolini, la D’Urso (la D’Urso?) e tutti i canali Mediaset se ne fregano abbondantemente.
Il nuovo ordine di scuderia – o di stalla –  è: mettere i bastoni tra le ruote, proibire, impedire, rompere i coglioni sino allo sfinimento.
Il metodo Ghedini insomma. Solo che Ghedini, almeno sino a ora, lo abbiamo visto sbavare sul teleschermo.
Il dramma è  che domani, dati i chiari di luna di questo governo, il de cuius rischiamo di ritrovarcelo da questa parte del televisore, con un telecomando in mano. Il nostro.

A proposito di Sciascia e Saviano

Qui c’è un bel pezzo di Giancarlo Macaluso che spiega perché Saviano commette qualche errore su Sciascia, Galasso e sui meccanismi delle “macchina del fango”.

Una tv da leggere

Ho visto “Vieni via con me” e mi è sembrata una bella trasmissione, ben scritta. Forse troppo. Nel senso che si capisce che è una trasmissione scritta, quindi da leggere più che da vedere.
Però la bontà del prodotto sta nell’accoppiamento tra il rigore ingessato di Roberto Saviano e l’arte debordante di Roberto Benigni, tra la solennità imbarazzata di Claudio Abbado e la felice tempistica di Fabio Fazio.
In tempi di vacche magre, anzi di vacche e basta, per una tv di raccomandati, di urlatori, di opinionisti improvvisati e di talenti in esilio, un programma in  cui ci sono artisti in grado di svolgere il loro mestiere in modo canonico è un evento da festeggiare.
Viva!