Live o no?

Aderisco a quella corrente di pensiero che non reputa i brani musicali dal vivo più emozionanti di quelli suonati in studio.
Quando ascolto un cd live può accadere che mi annoi se non trovo importanti variazioni: un assolo più lungo, un arrangiamento diverso, eccetera.
Detto questo, ci sono canzoni che dal vivo rendono ancora di più degli “originali” in studio.
Me ne vengono in mente alcune, fresche di ascolto.
Georgy Porgy dei Toto dal vivo è deliziosa. Così come è tosta The Jack degli AC/DC.
Altri esempi (ma l’elenco sarebbe lunghissimo).
Get Up Stand Up di Bob Marley.
Smoke on the water dei Deep Purple.
Hotel California degli Eagles (la versione tratta da Hell Freezes Over, non quella di Live).
Sun Goddess degli Earth Wind and Fire.
Brother to brother di Gino Vannelli.
Al contrario ci sono artisti che dal vivo mi sembra che perdano effetto (ovviamente siamo nel campo delle opinioni quindi mandatemi pure a quel paese se vi pesto i calli musicali).
Ad esempio i Dire Straits  live di Sultans of swing mi sembrano mosci. Così come nei Police di Don’t stand so close to me mi pare che manchi qualcosa. Inascoltabile la Shock the monkey di Peter Gabriel in Plays Live. Stesso discorso per la Steve Miller Band (Jet Airliner).

Ai loro tempi

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Ormai si sa: il mondo secondo Silvio Berlusconi è veloce. Pare che Silvio dorma poco. Pare che Silvio sia rapido a dire e altrettanto rapido a smentire. Pare che Silvio non tenga in gran conto la memoria. E’ un’Italia giovane, quella di Silvio, in continuo movimento, intrappolata in una perenne adolescenza. E, in quanto tale, paga lo scotto del confronto con i veri anziani, con la saggezza associata alla vecchiaia. Come accade alla “giovane” America, costretta ad aggrapparsi a miti recenti e a costruirne di nuovi in mancanza di una storia e di una cultura millenarie, il “mi ricordo” del berlusconismo  è volutamente ipertrofico, nella sua ricerca spasmodica di un sentimento di nostalgia che non può ingenerare: sia per questioni anagrafiche che di peso specifico. Se non lo si capisce guardando Silvio stesso e i suoi fedeli, basta andare sul banale.
Che spesso, nel mondo di Silvio, nasconde l’essenziale.
Sabato pomeriggio, inciampando in una puntata di Verissimo (un titolo che è già tutto un programma) ho scoperto che cosa è il tempo in Mediaset. La conduttrice, Silvia Toffanin in Piersilvio, alle prese con un giovane comico di Zelig, lo ha presentato mostrando un suo filmato di esordio che “risaliva al 2004”. Ha detto proprio così: “risale”. Quasi che si parlasse di cinquant’anni fa. All’immagine della vecchiaia, una volta, si associava la sapienza. All’antico, il valore. All’esperienza, l’arte. Alla comicità meritevole di essere storicizzata Totò, non “Fluuuoro”, che risale a ieri.
Ma questo succedeva ai nostri tempi. Non ai loro.

Scie chimiche e scie comiche

Foto di Paolo Beccari
Foto di Paolo Beccari

Ieri mattina ho partecipato a un dibattito radiofonico su scie chimiche e altri presunti complotti ai danni dell’umanità.  Il mio contributo alla trasmissione era puramente giornalistico, ma più che portare fatti (non sono un esperto di complotti) difendevo La Notizia come entità ormai sconosciuta.
Gran parte degli argomenti branditi dai “complottisti” sono basati su notizie non verificate, non pesate e coltivate in modo estensivo. Cioè, uno spara una fesseria che è talmente bella da non poter essere relegata in un ruolo di fesseria. Un altro la riprende, un altro fa lo stesso e così via. La fesseria a ogni passaggio si arricchisce di nuovi elementi, diciamo di microfesserie, che con uno strano meccanismo finiscono per legittimare ulteriormente la testimonianza di partenza (che, non dimentichiamolo, è una fesseria). Né più né meno una catena di Sant’Antonio di una innocente superficialità, una catena che non ha una fine: il “complottista” perfetto, infatti, non prevede una soluzione per i misteri che crede di voler svelare. Perché constatare che le cose spesso capitano per caso e che, addirittura, hanno un inizio e una fine, comporta un procedimento mentale in cui bisogna arrendersi all’evidenza. E l’evidenza è nemica del “complottista”.
Qualcuno dovrebbe spiegare a queste persone che il colpo di scena viene a noia in un copione costruito solo coi colpi di scena. Ma che ci volete fare? L’uomo sulla luna, l’11 settembre, la morte di Michael Jackson sono eventi troppo complessi per non essere stati architettati da un Grande Vecchio che sta a metà tra Fantomas e Totò Diabolicus.
Risate, applausi, sipario.

Beatrice, a turno

Beatrice BorromeoNon ho nulla contro Beatrice Borromeo. Anzi, la trovo televisivamente gradevole, non invadente: una presenza scenica all’acqua di rose (che è liquido rilassante e nessuno sa perché).
Però farla diventare una cronista scomoda mi pare troppo.
L’Italia è un Paese in cui le meteore rischiano di dettare legge. Se fosse ancora vivo Totò, direbbe che siamo un popolo affetto da meteorismo.
Ora, con tutti i casini che abbiamo, non voglio pensare a una mobilitazione popolare che difenda col sangue le denunce della Borromeo. Mettiamola a turno, nella lista delle questioni da risolvere. In un paio di secoli il suo problema diverrà all’ordine del giorno.

Aggiornamento. Mi ero dimenticato il video.