Nel nome del padre, del figlio e del libro di testo

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A me del crocifisso in classe non me ne frega assolutamente niente. Se lo tolgono mi interessa che quelli che se lo portano via, visto che ci sono, diano un’imbiancata alle pareti.
Se invece lo lasciano spero che l’attenzione verso il simbolo sia estesa anche ad altri simboli (della scuola) discretamente importanti come i banchi e le sedie che devono essere integri, i libri che non devono costare un occhio della testa e gli insegnanti che devono essere messi in grado di lavorare senza intoppi e scuse.
In ogni caso, sentitamente ringrazio.

La dose minima di cronaca

La foto è di Daniela Groppuso
Foto di Daniela Groppuso

La dose di cronaca quotidiana minima consiste, a mio avviso, in due-tre pagine di giornale o, a scelta, in una media porzione di tg delle 13 (quello serale è come i peperoni, per sostanza e orario è a rischio indigestione). Da qualche giorno cerco disperatamente di attenermi a questa prudente posologia, perché lavorando con la scrittura e con il briciolo di creatività di cui la natura mi ha fatto dono, ho notato un certo inaridimento del mio prodotto: più forme geometriche che illusioni, più ragione che cuore, più muscolo che senso.
Con ciò non mi sogno di indicare le geometrie, la ragione e i muscoli come simboli dell’aridità, contrapposti alle fecondità-profondità indiscutibili del cuore, dei sensi e di certe illusioni.
Però mi permetto di indurvi a una riflessione: quanto vi toglie la cronaca?
E’ davvero fondamentale contare i peli ripresi da una telecamera nascosta durante l’amplesso clandestino di un noto esponente politico? O piuttosto può assumere i contorni dell’urgenza il bisogno di storie narrate? Pesa di più un verbale di polizia esclusivo o una pagina di letteratura che può essere letta da chiunque? E’ più nutriente un resoconto giornalistico o una riflessione d’autore?
Certo, messe così, queste domande suscitano una risposta condizionata.
“Cosa preferisci tra un libro e un giornale?”.
“Libro, certo!”. E poi è uno che si addormenta col quotidiano spalmato addosso.
Allora credo che l’unica soluzione sia quella che preveda soltanto la dose minima di cronaca. Cercando di resistere alle deviazioni lisergiche dell’ultimo scandalo della politica italiana e cedendo a quelle suggerite dall’unica persona in grado di toglierci il sonno, scuoterci, ferirci, commuoverci, meritando solo riconoscenza: il nostro scrittore preferito.

Satira sì, ma con garbo

Punta Raisi capitale degli Ufo: tre avvistamenti in due anni. Che a occhio e croce coincidono con le visite di Calderoli a Palermo.

Questo e molto altro in “Un mare di telex” (Flaccovio Editore), raccolta degli scritti  – telegrafici, appunto – di Massimo Puleo sulle pagine di Repubblica-Palermo. Il libro ve lo consiglio per tre motivi.
1) E’ un esempio di satira raffinata, garbata, mai volgare.
2) E’ piccolo, leggero e si può leggere in coda alle Poste.
3) Massimo Puleo è un lettore di questo blog.

Minchia, signor Faletti

giorgio faletti

C’è il sospetto che l’ultimo romanzo di Giorgio Faletti, Io sono Dio, non sia stato scritto da Faletti stesso.
Fatta la tara alle polemiche – l’invidia per le persone di successo annebbia spesso la vista di recensori e lettori – quel che colpisce è la supponenza dell’autore che si difende violando le regole della buona creanza.
Non ho letto il libro in questione e non lo leggerò. Ho letto, anni fa, Io uccido e l’ho giudicato letterariamente pretenzioso seppur di trama efficace (a parte la deriva finale). Recentemente di Faletti mi ha colpito la trasformazione non già da cabarettista-cantante in letterato, ma da artista in divo, da battutista pacatamente cialtrone in intellettuale sospettato di cialtroneria.
Uno scrittore ha il divieto di essere migliore delle sue opere, perché altrimenti tenderebbe a imbastire un testo sacro, ma ha il dovere di rispettare i lettori. Faletti, onesto o truffaldino che sia, mostra di essere affezionato soltanto alle copie (dodici milioni) vendute, confondendole coi voti, con le preferenze. E fingendo di non sapere che un libro venduto non è assolutamente una testimonianza di gradimento. Come dimostrano i fatti.

Lettura di mezzanotte

I turchi, alla faccia di Fuga di mezzanotte e di una certa fama di antidemocratici, studiano pene alternative. Tipo? Tipo la lettura forzata.

Elogio di Stieg Larsson

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Ho finito di leggere la trilogia Millennium di Stieg Larsson, un genere di libro che gli intellettuali leggono di nascosto come accadeva anni fa con Sidney Sheldon e certe cose di Ken Follet. Una buona fetta dell’intellighenzia ritiene infatti che il divertimento scritto sia poco elegante, come un abito comodo acquistato coi saldi. Siccome io non sono un intellettuale, vesto malissimo e non ho nulla contro i saldi, posso parlare bene di Larsson e della sua opera senza nascondermi dietro uno pseudonimo.

Larsson è, o meglio è stato, un gran tessitore di storie. L’architettura della serie Millennium è perfetta. Ogni libro basta a se stesso pur essendo collegato indissolubilmente agli altri. I personaggi sono talmente vivi che gli si perdona qualche dialogo superficiale, proprio come accade alle persone che ci circondano. La vicenda sulla quale sono imbastite le trame dei tre libri è avvincente e originale. Ci sono spie, ricchi enigmatici, giornalisti d’assalto, poliziotti coraggiosi, giganti malvagi, padri infedeli e figli degeneri. E soprattutto ci sono donne di ogni genere: ricche, diseredate, violentate, affamate di sesso, timide, disinibite, deboli, forti.

Il primo volume della serie, Uomini che odiano le donne, ha un avvio un po’ lento: dopo le prime sessanta pagine però la storia decolla.
Il secondo, La ragazza che giocava col fuoco, è dal punto di vista dell’azione il più coinvolgente, nonostante qualche crepa nella verosimiglianza: ma anche certe forzature – un personaggio che non riesce a morire nonostante sia stato colpito con ogni tipo di arma e addirittura sepolto – hanno il fascino della favola noir.
Il terzo, La regina dei castelli di carta, ha nel finale un dibattito processuale che ogni scrittore di legal thriller dovrebbe leggere: i dialoghi tra parti (avvocati, giudici, testimoni, imputati) sono talmente serrati da togliere il fiato al lettore.

Il numero di pagine complessivo è intorno alle 2.200. Ma scorrono che è un piacere: basta aver voglia di divertirsi.

Il tris di Toscano

sangue del mio sangue

Promemoria per chi domani è a Palermo. Alle 19,30 a villa Filippina si presenta il romanzo di Salvo Toscano “Sangue del mio sangue” (Dario Flaccovio Editore, 208 pagine, 13 euro) terzo episodio della fortunata saga di Fabrizio e Roberto Corsaro. Ho avuto la fortuna di gustare in anteprima (ovvero in bozza) il romanzo e vi assicuro che è una lettura piacevole e coinvolgente. C’è un bel mistero, c’è una selva di sentimenti, c’è l’emozione del legal thriller, c’è soprattutto una scrittura franca e onesta (come l’autore, che è mio amico). Con Salvo, domani ci saranno Roberto Puglisi e Riccardo Arena.

Io amo

La foto, dal titolo "L'attesa", è di Cinzia Zerbini (da Flickr)
La foto, dal titolo "L'attesa", è di Cinzia Zerbini (da Flickr)

di Abbattiamo i termosifoni

– Il burro di arachidi e i sofficini (ma mi sforzo di mangiarli solo una volta ogni due o tre anni)
– La leggerezza di spirito
– L’ironia (quella di mio padre in primis)
– L’inverno
– Le scarpe (ma più che amore è quasi dipendenza)
– Molte mie cugine ed entrambi i miei fratelli
– I libri, quelli ben scritti
– Molta tv trash delle emittenti locali scalcinate (mi fa schiattare dal ridere)
– La generosità, mia e altrui
– La mia casa (compreso il marito che c’è dentro)
– I bambini (ma a piccoli gruppi, che altrimenti fanno troppo casino)
– Palermo (nonostante tutto)
– Scrivere mail (piacevole in privato e indispensabile per lavoro)
– L’arte culinaria e quella di addobbare la tavola
– Oscar Wilde
– I due falegnami sotto casa mia (mi divertono moltissimo)
– La grammatica, la sintassi e l’ortografia
– I dialetti e le inflessioni regionali
– Il Natale (perché di rado si riesce a vedere tanti parenti tutti insieme)
– Le isole
– Milioni di altre cose. Che superano di gran lunga quelle che mi danno fastidio.

Il clan

Il maestro Giacomo Cacciatore mi ha onorato ieri con una bellissima citazione su Repubblica Palermo. Colgo l’occasione per ringraziarlo pubblicamente, anche se molti in questo blog sanno che siamo amici e che professionalmente ci stimiamo a vicenda. Certo, poi qualcuno ci accusa di fare clan, ma chi se ne frega…

Chi mente sui libri?

"Il libro della giungla", foto di Cinzia Zerbini (da Flickr)
"Il libro della giungla", foto di Cinzia Zerbini (da Flickr)

Ieri al Tg1 delle 13,30 Gian Arturo Ferrari, direttore generale della divisione libri del gruppo Mondadori, ha detto che il settore librario non risente della crisi economica. Il parere è diametralmente opposto a quello di altri operatori del settore, agenti ed editor (peraltro non intervistati dal Tg1), che rimbambiscono gli autori con previsioni catastrofiche.
Ora dal momento che il sottoscritto (come molti protagonisti di questo blog) campa di scrittura, sarebbe utile scoprire chi è che dice bugie.