C’è il sospetto che l’ultimo romanzo di Giorgio Faletti, Io sono Dio, non sia stato scritto da Faletti stesso.
Fatta la tara alle polemiche – l’invidia per le persone di successo annebbia spesso la vista di recensori e lettori – quel che colpisce è la supponenza dell’autore che si difende violando le regole della buona creanza.
Non ho letto il libro in questione e non lo leggerò. Ho letto, anni fa, Io uccido e l’ho giudicato letterariamente pretenzioso seppur di trama efficace (a parte la deriva finale). Recentemente di Faletti mi ha colpito la trasformazione non già da cabarettista-cantante in letterato, ma da artista in divo, da battutista pacatamente cialtrone in intellettuale sospettato di cialtroneria.
Uno scrittore ha il divieto di essere migliore delle sue opere, perché altrimenti tenderebbe a imbastire un testo sacro, ma ha il dovere di rispettare i lettori. Faletti, onesto o truffaldino che sia, mostra di essere affezionato soltanto alle copie (dodici milioni) vendute, confondendole coi voti, con le preferenze. E fingendo di non sapere che un libro venduto non è assolutamente una testimonianza di gradimento. Come dimostrano i fatti.
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