Potere di link

potere di link

Ieri ho dedicato tre ore del mio tempo a leggere il saggio di Rosa Maria Di Natale (giornalista, docente all’università di Catania, vincitrice del Premio tv Alpi 2007) su scrittura  e lettura ai tempi di internet. Il libro si intitola “Potere di link” ed è un testo che, pur avendo una destinazione universitaria, ha una chiarezza di esposizione difficile da trovare in testi del genere. Da Calvino agli e-book, da Fedro e Socrate alla “googlizzazione” delle biblioteche. Il concetto di base è che i tempi non cambiano inutilmente e che l’unico modo per non sentirsi inutili è correre insieme al tempo.
Arroccarsi in posizioni di inutile difesa contro un progresso che riteniamo nemico solo perché s’impantana nella nostra ignoranza è un ottimo metodo per ferire l’intelligenza. “Potere di link” è un saggio socraticamente dedicato a chi sa di non sapere e, al contempo, una guida per chi vuole saperne di più.
I lettori di questo blog troveranno anche una sorpresa a pagina 122. Posso solo dirvi che si fanno nomi, cognomi e nickname…

Appunto, perché?

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da BSicilia

Le storie che mi interessano

Illustrazione di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

di Fabio Casano

Io preferisco le storie che parlano sentimenti. Sentimenti duri come le pietre, che nemmeno il tempo, il caso, la volontà degli altri riescono a scheggiare.
Mi piace la schiettezza di Bianciardi, la lucida disperazione di Fenoglio, il senso di vuoto allo stomaco che mi ha lasciato “La Storia” di Elsa Morante.
Mi piacciono i personaggi che possiedono una propria dignità  mentre vanno al patibolo (in senso figurato), gli eroi infelici, le donne complicate, i ragazzi tormentati.
Mi piacciono i personaggi di Fiesta. Mi piace l’amore non detto, la dignità silenziosa, la ricerca della felicità.
Mi piacciono le storie di Jorge Amado: poche righe e sono in un nuovo mondo. Mi piace il suo sarcasmo, la magia, l’amara irrealtà.
Mi piacciono quelle storie in cui i personaggi non parlano tanto, ma quando finisce il racconto, ti accorgi che è passata una vita.
Mi piace Carver, la sua quotidianità, così ordinaria, ma così drammatica allo stesso tempo. Pagherei miliardi pur di bere anis alla stazione di “ Colline come Elefanti Bianchi”.
Mi piacciono le storie che parlano di viaggi, di strade, di nuovi posti, alcuni dei quali non esisteranno mai, tranne che nei nostri cuori.
Kerouak, ma anche William Least Heat Moon che con le sue strade blu ha creato una nuova geografia della mia anima. E anche il vecchio Borges, con il suo “Aleph”.
Mi piacciono le storie in cui si parla di musica, e anche se non si parla di musica assomigliano a quelle canzoni che, quando finiscono ti ritrovi a canticchiare sotto la doccia.
Mi piace essere il re delle classifiche d’ogni genere come il Ray di “ Alta Fedeltà” di Hornby, il verificatore dei fatti di una rivista radical chic nelle “Mille luci di New York” di Jay McInerney, l’adolescente tormentato che ritorna a casa per le vacanze di Natale in “ Meno di Zero” di Brett Easton Ellis.
Mi piace l’assolo di sassofono alla Ornette Coleman, che fa da sottofondo a “ Il Giovane Holden”.
Mi piace sapere che per ogni storia che leggo, ne restano milioni ancora da scoprire e che non basterà tutta la vita a conoscerle tutte…


Roncato, chi era costui?

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di Tony Gaudesi

Chissà perché pensi di pescare perle di saggezza solo nei libri di scrittori a cinque stelle. Perché quando vai in cerca di pagine che ti scaldino il cuore sfogli solo autori doc. Scansi come appestati Pinco e Palla e ti tuffi tra i soli arcinoti, per poi scoprire che il Carneade  di turno, quello che non hai mai sentito o del quale non ti risultano grandi frequentazioni con carta e penna,  ti prende più dei vicini di scaffale, ti cattura con un incipit inaspettato e ti catapulta di volata oltre le prime pagine, perfino meglio dei fascettati Coelho, Camilleri, Tamaro o Wilbur Smith.
E’ quanto è capitato a me l’altro giorno. Dovendo ingannare un’attesa alle Poste che il display e una semioceanica folla annunciavano tremendamente lunga ho cominciato a sfogliare i libri in vendita nel corner-libreria allestito all’interno dei locali. Ho sempre amato leggere trame, biografie e, soprattutto, attacchi dei maestri. Per carpirne i segreti e – soprattutto – fornire una valida motivazione alla mia smisurata voglia di portare l’ennesimo libro a casa. Ho rigirato tra le mani Coelho, tre o quattro romanzi di Camilleri, l’estrema fatica di Oriana Fallaci, e poi Baricco, Smith, Follett… Quando, dopo più di un’ora,  avevo praticamente esaurito il mini-catalogo del punto vendita,  i miei occhi sono caduti su un libretto, un centinaio di pagine, copertina cartonata e, in bella mostra, il simpatico faccione di un attore in cammino nel polveroso viale del tramonto: Andrea Roncato  (il cinquanta per cento del duo Gigi & Andrea, per intenderci).
Quasi di soppiatto, di nascosto agli sguardi dei miei due distinti vicini alle prese con sbirciatine ben più dotte della mia, ho cominciato a sfogliarne le pagine e a sfrondare l’albero dei miei pregiudizi: il guitto da pellicole mordi & fuggi sfoggiava a sorpresa nelle prime pagine (ho avuto il tempo di leggere solo quelle) una scrittura  profonda, accattivante, con  forma e contenuto unite in perfetto matrimonio per regalare al lettore un posto in prima fila con vista sulla sua vita  e sulla sua carriera.
Niente di eclatante, per carità,  nessuna roba da Bancarella o Strega, ma quanto bastava  a sottrarre momentaneamente la mia attenzione ai fuoriclasse della penna e a dare il la ad un paio di riflessioni. Prima, scontatissima: un perfetto sconosciuto molto difficilmente venderà tanto. Camilleri ha probabilmente già piazzato cataste di libri che deve ancora progettare. Pinco, Palla  e i Roncato di turno, nonostante il buon periodare, dovranno confidare in un miracolo e nei macro sforzi delle loro case editrici per fare aprire qualche portafoglio che non sia dello zio o dell’amico fraterno. Anche perché sarà sempre molto più in  dire che si sta leggendo l’ultimo Camilleri piuttosto che l’opera prima del Roncato di turno. Seconda riflessione: preconcetti e pregiudizi sono come l’erbaccia, crescono in un fiat  e non te ne liberi  praticamente più. Roncato scrittore probabilmente lo avrebbero immaginato in pochi. Perché le sue uscite pubbliche, con un’oratoria non certo sopraffina, tutto hanno lasciato immaginare tranne che decorose avventure con la penna in mano. Lo avremmo soppesato e frettolosamente liquidato in maniera preconcetta, forse inconscia, sicuramente senza  appello. “Scrivere? Non è per lui?”. E così  si fa probabilmente ogni giorno con il collega: in ufficio, all’università, nelle redazioni.  Lo si giudica, solo per giudicare, senza approfondire, spesso per sentito dire. A volte, come nel caso di Roncato, solo per averlo sentito parlare.
E, invece, inaspettata, la sorpresa.  A conferma del fatto che si può benissimo parlare in maniche di camicia e contemporaneamente scrivere in giacca e cravatta.
Un caloroso saluto a tutti i naviganti.

Non chiamiamoli scrittori

scritturadi Raffaella Catalano

Sono dell’idea che un romanzo ben scritto non possa prescindere da un editing professionale. E non perché faccio l’editor di mestiere, ma perché sono decisamente contraria alle varie iniziative promosse da siti e pseudo-editori che si limitano a stampare testi inediti senza nemmeno leggerli. Un caso clamoroso, ma non certo unico, è quello del sito ilmiolibro.it che fa spendere soldi a chiunque per “pubblicare” romanzi, racconti, saggi e poesie inqualificabili, si fa pagare un bel po’ di soldi dai clienti (non posso chiamarli autori, per rispetto degli autori veri) e soprattutto crea in chi si vede stampare un libro in quel modo selvaggio l’illusione di essere uno scrittore. Illusione che crolla – tranne casi rarissimi, che in quanto tali fanno notizia – quando il presunto Eco o Sciascia che ha pubblicato a suon di euro si trova al cospetto di una casa editrice vera, che legge, seleziona e corregge. Chi viene dall’esperienza prezzolata, la inserisce persino nel curriculum, quindi ci crede. E poi risulta sempre resistente, se e quando trova un editore serio disposto a prendere un suo inedito in considerazione, a qualsiasi intervento correttivo al suo testo. Perché ritiene che quel titolo in bibliografia – la dispendiosa opera prima con Pinco Palla Edizioni – gli dia la patente di autore che tutto sa, e che quindi non ha bisogno di nulla e di nessuno.
Per l’ennesima volta (l’ho fatto altrove, in interviste e articoli) mi permetto di sconsigliare a chicchessia di pagare per pubblicare, e di aspettare, invece, di essere pagato. E’ così che funziona. E’ così che si diventa scrittori. E vorrei suggerire anche di stare ad ascoltare chi lavora al servizio dei narratori, cioè editor ed editori, che con un po’ di esperienza e le dritte giuste magari non lanciano il nuovo genio della letteratura, ma almeno formano l’autore o lo affinano, e soprattutto non lo offrono scientemente al pubblico ludibrio. Io per prima confesso che sghignazzo quando leggo i pasticci letterari degli aspiranti scrittori su ilmiolibro.it, su siti analoghi o su alcune rivistine per esordienti. E di ridere non mi pento affatto. Anzi penso: peggio per loro. Mi dispiace solo che gettino via i soldi e con quelli anche i sogni di (vera) gloria. Ci vuole umiltà per crescere, ci vogliono indicazioni per trovare la strada. E’ nocivo farsi paracadutare a pagamento in mezzo a un traffico già sin troppo caotico. Infine, due parole anche per alcuni editori poco scrupolosi o con il portafoglio cucito: non affidate i vostri autori a editor improvvisati che si fanno pagare 50 euro per correggere un romanzo di 800 pagine. Se accettano cifre da saldo stagionale vuol dire che non sanno fare il loro mestiere e prendono in giro voi e i vostri autori. Un buon lavoro costa, in tutti i sensi. A chi lo fa e a chi lo paga.

Libri appassionanti

Acrilico su carta di Gianni Allegra (da "Il diario", 2006)
Acrilico su carta di Gianni Allegra (da "Il diario", 2006)

Ho appena finito di leggere “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson e mi dispiace. Mi dispiace che il libro sia di sole 676 pagine, perché ne desideravo almeno altre cinquecento, tanto la storia è avvincente e ben costruita.
Sono sempre stato contrario all’uso di aggettivi quando si pronuncia (o si scrive, o addirittura si pensa) la parola arte. Alta, bassa, povera, colta, popolare e via modulando. Larsson, pur usando un linguaggio semplice che sembra esser stato studiato per i traduttori di mezzo mondo, costruisce un’opera di innegabile valore estetico che diverte e appassiona.
In un momento in cui, specialmente in Italia, abbondano i manifesti pseudo-idelogici imbottiti di cultura da Reader’s Digest (la cultura non celebra mai se stessa perché è la base di ogni celebrazione) è un piacere scoprire l’incanto di una vicenda narrata a meraviglia. Non so quanti di voi abbiano letto questo libro, però mi piacerebbe sapere se avete altri esempi da proporre. Libri che avete divorato, libri che vi dispiaceva abbandonare per colpa del sonno, libri di cui ricordate passi a memoria. Libri… mmmh, ci vorrebbe un aggettivo…  belli, ecco.

Aggiornamento. Rosa Maria Di Natale segnala quest’articolo, Giacomo Cacciatore invece propone di riflettere su questo.

L’arma dell’arte

La vignetta è di Gianni Allegra
La vignetta è di Gianni Allegra

Nel marasma quotidiano di fabbriche che chiudono, decreti armati, intelligenze disarmate, politica inutile, cassetti pieni di cose utili, saltimbanchi in doppio petto, idioti impettiti, morti spacciati per vivi, vivi che insegnano a piangere ai morti, cattive intenzioni fatte passare per soluzioni e soluzioni bruciate come cattive intenzioni, mi sento meglio quando leggo un libro o ascolto musica. E più vado avanti negli anni, più ho la consapevolezza che l’arte sia una specie di vaccino. Il culto del bello è uno scudo contro le offese del non bello, perché non prevede l’inquinamento dell’etica, non si impantana nelle convenzioni. E’ la strada migliore verso la libertà, ognuno ha la sua e nessuno può piazzare divieti per capriccio.
C’è un tale che sta ravanando tra le rovine di questo paese. Quest’uomo, forte delle regole che detta lui stesso (salvo smontarle e rimontarle in modo diverso, ogni giorno, tipo Lego), non si fermerà fin quando non troverà quel che inconsapevolmente cerca: il seme della propria follia.
Se dedichiamo attenzione a ciò che a lui è ontologicamente estraneo, cioè all’arte, gli toglieremo l’audience che è il suo ossigeno.
Parliamo di libri, di musica, di pittura, di cinema. Tanto, anche se il Dittatore delle macerie ci spiasse, non capirebbe un tubo.
Ad esempio, in tempi di disperazione, suggerisco la lettura de “L’esistenza di dio” di Raul Montanari.

Romanzi sopravvalutati

Acrilico su carta di Gianni Allegra (inedito, 2005)
Illustrazione di Gianni Allegra (acrilico su carta, inedito, 2005)

Proviamo a fare un gioco. Quali sono, secondo voi, i romanzi più sopravvalutati? Bastano due titoli. Per aprire le danze (e le polemiche) dico subito la mia: “Il giovane Holden” di J. D. Salinger e “La strada” di Cormac McCarthy (e questa per gli affezionati di questo blog non è una sorpresa).

Pensieri e parole (scritte)

Dall'album su Flickr di Cinzia Zerbini
Da Flickr, foto dell'autrice

di Cinzia Zerbini

Una volta, imbottigliata nel traffico, presi il giornale e iniziai a leggere. Dopo pochi minuti gli automobilisti dietro di me cominciarono a suonare come pazzi inveendo per questa tizia (io) che anziché scattare al minimo spiraglio di strada libera stava con il quotidiano aperto sul volante.
Così mi venne un’idea.
Sarebbe carino, pensai, se pagando anche una piccola cifra ci fossero i “lettori di strada”:  persone che per mestiere leggono accanto a te e ad alta voce nel tragitto casa – lavoro. Sarebbe un po’ il rovesciamento dei ruoli autista – trasportato. In mezz’ora un bravo lettore, anche per tre euro, leggerebbe i titoli e gli articoli più interessanti. Da qui alla lettura del libro nel viaggi più lunghi il passo è breve. Sulla Palermo – Catania, che cito per l’amore che mi lega a questi 190 chilometri, in due ore almeno 60 pagine. Certo, sarebbe preferibile che il lettore non fosse un serial killer e per il suo ritorno ci sarebbero sempre i comodi autobus della Sais. Tutta questa articolata azione potrebbe chiamarsi reading cross.
Un altro pensiero collegato all’idea di cui sopra è  l’house book. Visto che la promozione libraria costa molto, considerato che spesso è difficile organizzare degli incontri nelle librerie, perché non farli nelle case invitando l’autore? E’ un po’ il concetto dell’Avon: dimostrazione, prova, campioncini per testare i nuovi prodotti della casa di cosmetici. In questo caso sarebbe l’autore a fare una vera promozione finalizzata alla vendita o comunque alla diffusione della sua opera.
Poi però penso che molte volte uno scrittore è meglio non conoscerlo perché alla bellezza delle sue parole potrebbero contrapporsi, che ne so, dosi massicce di forfora. Questo però è un pensiero residuo.

Libri, suocere e assassini

Quest’anno abbiamo disquisito di arte e necessità con la stessa veemenza con la quale ci siamo scontrati sulla presunta utilità dell’iPhone. Una suocera ci ha raccontato il Festival di Sanremo e un misterioso personaggio ha reso entusiasmanti le sue beghe familiari. Abbiamo celebrato con un elogio ai perdenti la vittoria di un premier che chiede il ricovero coatto per chi non la pensa come lui. Tra diari del piacere nascosto e originali esercizi di psico-giardinaggio, abbiamo trovato il tempo per inseguire un sindaco che latita, indignarci per un amministratore locale un po’ troppo intraprendente e magari cambiare lavoro.  Ci siamo divisi su libri e autori di successo. Abbiamo consumato polpastrelli sul revisionismo degli anni settanta e sulla tv del terzo millennio. Non siamo rimasti impassibili davanti al suicidio della nostra compagnia di bandiera e a quello di un pentito di Facebook. Abbiamo visto condannati che brindano e assassini colpevoli a metà, abbronzature di successo, film che meritano ancor più successo. Abbiamo schivato i superbosi ed eletto i migliori momenti peggiori, tra bambole spettinate e quarantenni in quarantena.
Tutto questo per dirvi che oggi questo blog, pur con una nuova veste e un nuovo indirizzo, compie due anni. Per ringraziarvi ho cercato di mettere dentro questo post quanto più di tutti voi, co-autori, titolari di rubrica, ospiti, lettori.
E ora cantare, please.

L’immagine riproduce un acrilico su carta di Gianni Allegra. Si intitola “Cartolina in giallo” ed è l’illustrazione, pressochè inedita in Italia, della cartolina-invito per una mostra personale di Allegra svoltasi a Siviglia nel 2007 e curata dallo scrittore andaluso Alejandro Luque.
Per gentile concessione dell’autore.