Peana per Cuffaro (e ce ne vuole)

Prima incantava: come un pifferaio magico, decine di migliaia di adepti lo seguivano guadando assessorati, scavalcando segreterie, rimbalzando da un favore all’altro.
Poi cadeva: come un eroe storto, l’arena ammutoliva confidando in una rapida espiazione o chissà in una resurrezione.
Poi si rialzava: come un apostolo di se stesso ritrovava coi giusti tempi (teatrali) vigore e ostentata saggezza.
Sulla parabola di Salvatore Totò Cuffaro si è pronunciato l’universo mondo, dai detrattori delusi, perché un altro che assorbe i colpi come lui devono ancora inventarlo, agli adoratori ringalluzziti, perché un altro che fa miracoli come lui devono ancora crearlo.
Ora però mettiamo da parte il florilegio di scuse che si tira fuori ogni volta che c’è da affrontare una questione delicata (da “ho tanti amici gay” a “la mia libertà finisce dove inizia la tua”) e liquidiamo in nove parole l’antologia di frasi di circostanza sul Cuffaro uno e due: è stato un pessimo amministratore e un ottimo carcerato.

Siamo alla fase tre. Quella più difficile, in cui tra due contendenti è più difficile distinguere la scarsezza dell’uno o l’abilità dell’altro.
Di certo c’è che Cuffaro, con il suo bagaglio scomodo di errori e di reticenze, ha saputo ricreare un ambito politico classico nel fallout di un’Italia esplosa per una bomba di qualunquismo ignorante senza precedenti, senza ideologie che vadano oltre una storia di Instagram.
Di certo c’è anche che il succedaneo della politica che avrebbe dovuto sterilizzarlo non è mai stato in grado di dire apertamente una cosa semplice: e cioè che si può fare a meno di un bagaglio di voti, firme, simpatizzanti, correi, adoranti che in qualche modo a lui fa capo, e a nessun altro.

Cuffaro è un caso unico in Italia e non solo. Si potrebbe fare un paragone col Sudamerica, ma lì è difficile che un condannato si faccia tutta la galera, senza favori, per poi cominciare a risalire la china dal livello meno dieci: lì lo sconto comincia prima dell’arresto e generalmente costa qualche morto.
Nell’anno di grazia 2024 Cuffaro è difficile da raccontare senza incorrere nella furia livellatrice della cretinocrazia, frutto dell’impegno nefasto di Grillo e dei Cinque stelle (culturalmente distruttivi come dieci Berlusconi, che di suo era ben messo), e riarrangiata con notevoli variazioni cromatiche dalla destra di governo e dalla Lega di antigoverno.
Perché lui, Cuffaro Salvatore detto Totò, è più furbo di loro. Conosce la politica meglio di tutti ‘sti peones e sa che, Vannacci o no, antifascismo blaterato o no, Lucchini o no, quello che conta alla fine della discussione è il conto presentato dall’oste.

Quello che i giornali fanno fatica a raccontare è innanzitutto il fallimento della loro narrazione, che deve necessariamente avere i buoni da un lato e i cattivi dall’altro, anche quando i ruoli si invertono: perché nulla in Italia, soprattutto in Sicilia, è più reale dell’indefinito. Quindi raccontare di un Cuffaro che, nonostante tutto (lui per primo), si appresta a ridiventare ago della bilancia, senza correre il rischio di essere accusati di essere come minimo mafiosi è opera assai difficile. E chi se l’accollerebbe mai?
In realtà, senza atti di eroismo, tutta questa vicenda può essere inquadrata da un punto di vista molto laterale, in linea però coi limiti e la grandezza dei nuovi sistemi di relazione.
Cuffaro sta dimostrando il trionfo dell’analogico in tutte le sue forme più efficaci. Proprio per i suoi crimini, reali e definiti, ha avuto l’occasione di dimostrare una cosa antica: che l’impunità non conviene se si ha un piano a lunga scadenza.
Infatti oggi detrattori e non, traditori e non, inquisitori e non, hanno l’imbarazzo (tutto social e distintivo) di voler chiedere, ma al contempo di non poter chiedere, un appoggio a Cuffaro. Che ha i suoi uomini, i suoi tasselli, le sue carte: tutte analogiche, tutte reali, tutte di carne e sangue.
Pensate al povero Michele Santoro che cerca firme per la sua lista alle Europee e si ritrova a essere appoggiato proprio da quel Cuffaro che aveva ridicolizzato (lasciando che si ridicolizzasse da solo).
Questione di errori. Sapere sbagliare è un’arte simile al saper rimediare.

Approfondimento. Un podcast su Libero Grassi e sul fuoco amico contro Giovanni Falcone nel giorno in cui Salvatore Cuffaro finì in diretta a reti unificate Rai- Mediaset.

Lettera aperta al Movimento 5 stelle

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Cari amici del Movimento 5 stelle,
certe sconfitte sono come gli antibiotici, vanno prese anche se fanno male alla panza perché in fondo servono a qualcosa. Il vostro movimento non è come altri partiti di cui si potrebbe fare a meno, voi siete giovani, nuovi (acerbi), onesti. Pensate alla differenza che passa tra il M5S e un partito a caso, Forza Italia, e ritenetevi fortunati a vivere in un contesto in cui contate come persone, col vostro entusiasmo e con la vostra forza creativa.
Avete fatto molti errori.
Schematicamente: avete dato alla Rete un ruolo che andava filtrato e che invece ha finito per chiudervi in un’illusione; non avete saputo imbastire un programma semplice e accattivante, ruffiano se vogliamo, fatto di piccoli passi; avete cantato vittoria quando bisognava fare gli scongiuri; avete peccato di grillismo poiché di Grillo ce ne è uno solo e imitarlo, in Parlamento o in tv, è solo fumo negli occhi di chi crede(va) in voi; non vi siete lasciati consigliare da menti esterne, da cervelli indipendenti che avrebbero potuto risvegliarvi da quell’ombelichismo che vi contraddistingue; avete dato molto, ma avete capitalizzato pochissimo; siete stati un ottimo esempio ma pessimi maestri, quasi che spiegare e rendere conto siano attività da vecchi.
Insomma avevate un bel giardino fiorito, e ora siete assediati dall’erba secca.
Ma non tutto è perduto. Innanzi tutto perché non ripartite da zero, ma da una posizione di tutto rispetto nel cuore degli italiani. Secondo, perché, come Beppe Grillo ha mostrato al mondo ieri, avete saputo accettare la sconfitta. In un Paese in cui, da quarant’anni ci si proclama vincitori sempre e comunque anche se si è con l’acqua alla gola, trovare qualcuno che dica “ok, abbiamo perso” è un buon segno. Terzo, perché in Italia servono più soldati che generali, più sentinelle che burocrati, più vedette che strateghi.
Il Movimento 5 stelle, a mio parere, può essere un grande partito – sì, partito – di opposizione, in una nazione che odia i controlli, detesta i doveri, ama i furbi e si nasconde dietro il primo segreto che incontra. Servono occhi aperti, persone affidabili, giovani accesi e non lobotomizzati dalla promessa di una passerella o di una comparsata in tv. Ecco perché dovete smetterla di rompere i coglioni con le grillaggini e diventare adulti.
Io, anche se non vi ho votati, conto su di voi.

Renzi e renzismo, reloaded

Qualche mese fa scrissi perché era giusto che Renzi ci provasse, anche in nome e per conto di chi lo osteggia. Mi pare giusto sottoporre nuovamente al vostro giudizio questa riflessione.

Cassandra Pepi

giovanni pepi

Da I Love Sicilia di luglio

“Sarà mezzanotte e mezza più o meno. Nello studio di Porta a Porta si palpa un certo nervosismo per gli exit poll non esaltanti del Cavaliere. La Russa in studio si dimena, Vespa annaspa. Parte il videocollegamento con Giovanni Pepi, condirettore del Giornale di Sicilia, che alla fine del suo intervento azzarda alcuni dati parziali siciliani sulle Europee che vedono il Pdl andare male, ma proprio male rispetto alle aspettative e il Pd meglio del previsto. “Qual è la fonte, Pepi? Quante sezioni?”, incalza sempre più agitato Vespa, e La Russa con lui. Pepi fa appena in tempo a dire 200 sezioni ma non aggiunge che, per quanto il dato sia acerbo, la tendenza che vede il Pdl in difficoltà sia abbastanza costante in questa prima fase dello spoglio. Non fa in tempo Pepi, perché Vespa lo liquida bruscamente con un “arrivederci arrivederci” che a qualcuno sembra scocciato e La Russa dal canto suo ci piazza anche una ramanzina per i “giornalisti seri” che si avventurano nel fornire dati ancora parziali. E invece, alla fine, la profezia di Pepi-Cassandra dalla Sicilia si abbatte come mannaia sui berluscones, guastando la notte del Cavaliere”.

Odiose discriminazioni

Nei filmati, la neo europarlamentare Barbara Matera e il mancato europarlamentare Emanuele Filiberto di Savoia.
(Non capisco perché lui non debba andare a Strasburgo, ha gli stessi identici meriti di lei: formazione, cultura, esperienza politica, Q.I.)

Facciamoci meno male possibile

definitivi

Da quel che ho capito, Berlusconi non ha sfondato,  Franceschini non ha vinto, l’Idv ormai tallona la Lega, e la Sicilia ha preferito il mare pur regalando qualche sorpresa in controtendenza rispetto al resto dell’Italia.

Apro questo canale di liveblogging, dove chiunque può dire la sua o inserire aggiornamenti interessanti, dichiarando il mio voto: Pd, Borsellino e Crocetta.

C’è da impazzire

elezioni-2009

Sarei tentato di cedere al liveblogging, ma con questi dati ballerini rischiamo di far concorrenza al teatrino di Vespa.

Occhio al 2004

Il mio personale anno di riferimento è il 2004, quando Forza Italia e An insieme ottennero poco più del 32 per cento.
Oggi sono al 34,5, stando alle proiezioni Rai.
Male, diranno gli sporchi comunisti tra voi.
In realtà nel 1999 Forza Italia e An avevano fatto di più, il 35, 5; nel 2001 avevano fatto di più, il 41,4; nel 2006 avevano fatto di più, il 36; e lo scorso anno avevano fatto di più, il 37,4. Quindi, osservando i numeri provvisori, in queste europee il Pdl avrebbe il peggiore risultato in dieci anni (a parte il mio personale anno di riferimento 2004).

La giovane promessa

Trovo che questa Lara Comi, la più giovane tra le giovani promesse del supergiovane Pdl, abbia tutte le caratteristiche per essere epidermicamente insopportabile.

Smentite familiari

Il re delle smentite arriva a smentire persino chi lo conosce meglio di chiunque altro. Ultimo passo: smentire se stesso.