Quarantasettenni nel mondo, unitevi

C’è un superburocrate della regione siciliana che è andato in pensione a 47 anni usufruendo di una legge che consente grandi agevolazioni se si deve assistere un genitore che ha problemi di salute.
Bene, direte: finalmente si è potuto dedicare al padre malato.
Purtroppo il superburocrate, poco dopo essere andato in pensione, (gli spettano una decina di migliaia di euro al mese) è diventato assessore regionale all’Energia. L’assessore Pier Carmelo Russo.
Bene, direte: e suo padre?
Tranquilli, è vivo per fortuna.
Bene, direte: ma Russo non aveva goduto di un privilegio proprio per stare vicino al papà?
Sì, ma quando la politica chiama…
Bene, direte: l’assessore si sarà giustificato, avrà fatto in modo da fugare ogni dubbio sulle sue manovre.
No, anzi ha querelato chi gli ha fatto notare che non è bello stare con due piedi in una scarpa, specie quando le scarpe sono pagate dai contribuenti.

La reazione rabbiosa di un rappresentante pubblico davanti a chi lo becca con le mani nella marmellata è quanto di più irritante si possa trovare nel panorama di una politica nuova che nasce già vetusta. Quel che l’assessore Pier Carmelo Russo dimentica – o peggio ignora – è che chi gli paga lo stipendio (in questo caso doppio) è legittimato a chiedere, insistere e a pretendere che lui risponda con solerzia e puntualità.
Ad esempio io, che sono un suo datore di lavoro (e che non campo grazie a nessun soldino pubblico), vorrei sapere se Russo non ritiene di dover spiegare questo suo singolarissimo status. Come mai da burocrate regionale non aveva il tempo di assistere suo padre e da assessore regionale invece il tempo lo trova? Assessore, non mi costringa a pensar male, la politica è faticosa si sa.
Però spieghi, racconti. Glielo chiede un suo coetaneo (47 anni a gennaio) che ancora dovrà lavorare una ventina d’anni per la pensione. Mia e sua.

Tempestività

Provvedimenti d’urgenza.
Per fronteggiare la crisi economica, tagli ai partiti politici. Dopo quasi tre anni di declino economico mondiale.
Per scovare le spie che favorirono le stragi di mafia parte un’inchiesta sui servizi segreti. Dopo diciotto anni.

Il nuovo libro

E’ sempre un momento magico quello in cui arriva a casa la prima copia del tuo libro. Te la giri e rigiri tra le mani toccandola, spulciando tra le pagine. Cerchi una frase in particolare, quella che ti è piaciuta di più o forse quella che credi possa piacere di più. Cerchi non sai cosa, l’importante è tastare, pesare, rimirare il frutto del tuo lavoro.  Controlli, con un certo batticuore, copertina, quarta, dedica, ringraziamenti: che sia sfuggito un refuso?
Poi ti rassegni.
Quel che è fatto è fatto.
Questo, con scarsa originalità, è ciò che ho pensato ieri sera quando mi hanno consegnato “Salina, la sabbia che resta”, il libro scritto con Giacomo Cacciatore e Raffaella Catalano.
Questo è ciò che hanno pensato anche loro.
Questo è, forse, ciò che pensano tutti gli scrittori quando si trovano davanti al prodotto di tanta fatica, di notti insonni, di risate, di birre e panini (più le birre), di dilemmi, di polpastrelli consumati, di occhi stanchi, di fogli svolazzanti e di computer fusi.
La nota di cronaca è che “Salina, la sabbia che resta” (Dario Flaccovio Editore) sarà in libreria dal 15 giugno.
Quella personale, per gli attenti (ed esigenti) lettori di questo blog, è che è un romanzo del quale siamo particolarmente orgogliosi.

Aggiornamento.

A gentile richiesta, la quarta di copertina.

A Salina, il magistrato Ottavio Lodato viene ucciso nella sua villa. Lì lo aspettava Sofia, la sua amante minorenne dalla quale ora tutti pretendono risposte. Di colpo, un’estate come le altre diventa diversa. I primi a rendersene conto sono il comandante dei carabinieri Bartolo Italiano, che deve gestire il caso, e il giornalista Nino Torta, che scrive e stampa Il vento delle Eolie, strampalato quotidiano locale. E se l’uno dovrà affrontare non solo l’indagine più difficile della sua carriera ma anche le spine della gelosia, all’altro toccherà destreggiarsi con un mestiere di cui finora si è solo pavoneggiato. Tra antichi rancori e amori complicati, ricatti sessuali e assedio mediatico, il delitto diventa la miccia di una bomba rimasta sepolta per anni sotto la pigra tranquillità dell’isola più verde delle Eolie. E quando un’estate inquieta finisce, ciascuno si ritrova a fare i conti con la propria solitudine: buono o cattivo che sia, persecutore o perseguitato, amico o nemico. Ognuno dovrà andare fino in fondo per leggere le tracce di verità sulla sabbia che resta.

Il non comune senso del ridicolo

C’è una polemica che, in questi giorni, si è sviluppata nelle cronache locali per finire, inesorabilmente, nelle affamate edizioni nazionali (la domenica è dura, eh).
L’oggetto del discettare è il manifesto che vedete sopra: un’immagine di Hitler e la scritta “cambia style, don’t follow your leader”.
Il messaggio è talmente provocatorio da rasentare il banale. Eppure il Pd e l’associazione nazionale dei partigiani si sono intestati una battaglia per fare rimuovere i cartelloni. Capisco i partigiani – l’età e le cicatrici hanno un peso -, ma non il Pd (che pure ha le sue cicatrici).
Qual è il riverbero politico di una campagna che ridicolizza un criminale sanguinario vestendolo di rosa e invitando per di più a non seguirlo?
Cosa c’è di scandaloso nel rifarsi a modelli triti per suscitare curiosità a buon mercato?
Vado al sodo e la chiudo qui.
Che io ricordi, l’ultima campagna pubblicitaria veramente disdicevole, perché volgarmente bugiarda, fu quella del Comune di Palermo in cui si riprendevano alcuni titoli, di dubbia veridicità, dei giornali. E non mi risulta che contro il manifesto che urlava “La città più cool d’Italia? E’ Palermo” sia mai stato chiesto un provvedimento di sequestro.

Vi autorizzo a sputarmi in faccia

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Sono tre giorni che sto male. Mi sveglio perseguitato da un pensiero fisso. Cerco di strozzarlo, stringo le dita e mi tremano le mani. Trovo scampo in un libro (cartaceo). Spesso il rifugio di pagine mi crolla addosso al primo alito di vento internettiano. Rido di cose che non fanno ridere. Mi distraggo con la qualità della luce di prima mattina o verso il tramonto. Qualsiasi sciocchezza mi sembra preziosa: tiene a distanza dal bilico.
Credo di stare subendo una crisi di astinenza.  Lo capisco dalla foga con cui chiamo a raccolta tutte le mie forze, fisiche e psichiche, per arginare l’assalto. Quando ci riesco, mi sento più solido. Ripeto a me stesso che è questione di tempo, caparbietà e temperanza. Con l’esercizio, il sacrificio diverrà consuetudine, la rinuncia un atto spontaneo, il senso infantile di ingiustizia che mi assedia un attestato di stupidità. La necessità, al contrario delle vere crisi di astinenza, non è legata a qualcosa di cui ho già fatto abuso, ma a un desiderio non ancora realizzato. Che è anche peggio: ciò che conta non è la meta, ma gli impulsi sgradevoli e sublimi che ti spingono a perseguirla. So già che, raggiunto l’obiettivo, ottenuta la gratificazione nel modo più sofferto possibile (e immediato: l’intensità del desiderio sollecita perversamente l’urgenza), me ne stancherò subito. Vorrò altro. Vorrò di meglio.
Signori, sono tre giorni che io voglio un iPhone o un iPad (o tutti e due, non nello stesso ordine).
E allora – non fosse altro che per rivalsa verso me stesso, per l’orrore che può suscitare tanto spreco di energie da parte di una persona emancipata e sensibile nei confronti di un oggetto inanimato – vi dico: qualora mi vedeste entro sei mesi con un gadget di tal fatta in mano, vi autorizzo a sputarmi in faccia.  Per dirla col conte Mascetti.

L’elemosina degli editori

Mi segnalano un’interessante ricerca dell’Ordine dei giornalisti, dalla quale estrapolo le cifre che seguono.

Euro pagati dal Giornale di Sicilia per un articolo al di sotto delle 20 righe: 1,03

Per un articolo da 1.000 a 2.500 battute: 3,10

Euro percepiti dal Giornale di Sicilia dallo Stato come contributi all’editoria: 497.078*

Euro pagati da La Sicilia per una notizia flash: 2,60

Per una notizia non flash: 3,20

Per un articolo regionale: 10,33

Per un articolo nazionale: 15,50 euro

Euro percepiti da La Sicilia dallo Stato come contributi all’editoria: 255.809*

Per i lettori di questo blog, tutto ciò non costituisce novità. L’elemento aggiuntivo è che però, stavolta, l’Ordine nazionale ha deciso di trasmettere gli atti di questa ricerca alla magistratura: che è cosa buona e giusta.

Con queste righe spero di aver reso il mio buon servizio alla nobile causa, quindi – lo dico a tutti i colleghi giornalisti – finitela di telefonarmi, inviarmi e-mail per “ricordarmi” chi devo votare alle elezioni di questo weekend. La maggior parte di voi è per me gente sconosciuta e a me scoccia fingere familiarità con chi non ho mai visto, ascoltato e, quel che è peggio, letto.

* (Elaborazione Italia Oggi del 12 maggio 2007, dati riferiti al 2006)

Grazie a Tony Gaudesi.

La vita continua

Niente da fare, ogni volta che rivedo questa scena resto incantato dalla somma algebrica del talento di De Niro con l’arte (ruffiana) di De Palma.

Regaliamole I.M.D

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Sto leggendo un bel libro. Si intitola “100% sbirro”, e l’autore è I.M.D.
L’acronimo non è un vezzo, né indica un collettivo di giovani arrabbiati con la kefiah e il netbook sottobraccio. I. M.D. è un poliziotto della squadra Catturandi di Palermo. Per intenderci, uno di quelli che ha messo le manette a fiori di campo come Giovanni Brusca, Lo Piccolo padre e figlio, Bernardo Provenzano. Pluriomicidi, estortori, stragisti.  I quali, per inciso, non si sono presentati alle forze di polizia andandoci con le proprie gambe. La cattura dei più feroci latitanti di mafia è stata frutto di appostamenti sfibranti, di continue emergenze spesso risolte in delusioni, e – udite, udite – di intercettazioni ambientali. Audio e video. Il mafioso che si nasconde non è un comune cittadino. Non quello che Berlusconi, a dir poco esagerando, indica ai suoi comizi come vittima improbabile di una magistratura guardona e malevola, che passa il tempo intercettando ignari figli del popolo.  Il latitante di mafia è avvolto da una rete di connivenze, di segnali verbali in codice, di gesti significativi che, novantanove virgola nove periodico su cento, possono rivelarsi determinanti per la sua individuazione e l’arresto. E i protagonisti di questi sotterfugi, delle mezze parole, degli spostamenti in apparenza inspiegabili e quasi mai casuali, sono spesso i suoi familiari. Ora, mettendo da parte le decisioni di un governo dichiaratamente contrario alle intercettazioni (a meno che non le faccia Brachino dal barbiere, mi sembra di capire), vorrei riportare una dichiarazione fresca fresca, ancora fumante, di Daniela Santanchè: “Che senso ha intercettare un mafioso mentre parla con la madre? E’ un abuso”.
Che dite? Facciamo una colletta e le regaliamo una copia di “100 %  sbirro”?

Maleducati signorili

di Raffaella Catalano

Benedetti francesi

Ai francesi è piaciuta l’avventura di un tifoso palermitano in terra nordica.

(Qui l’articolo originale)