Giornalisti sulla carta (moneta)

Questi 608.000 euro ci consentono di sopravvivere, non di vivere. È per questo che agli iscritti chiediamo un contributo annuale di mille euro, diversamente non riusciremmo a pagare tutte le spese

Parola di Nicola Malizia, coordinatore didattico dell’Istituto superiore di giornalismo di Palermo, una simpatica istituzione, finanziata dall’altrettanto simpatica Regione, in cui si lavora sodo per non sfornare neanche un giornalista. Insomma, come una salumeria gestita da vegetariani o come una banca diretta da un cleptomane.

Il finto carabiniere

C’era un tale, siciliano naturalmente, che si fingeva carabiniere dei Ros per confondersi nella matassa di amanti nella quale si era cacciato.
C’è stato un mio ex amico che si è finto carabiniere (ordinario, semplice o come caspita si chiama) per anni, un bel po’ di tempo fa. Locali notturni, trattorie, sagre, fiere: questo era il suo raggio d’azione. Arrivava all’ingresso e sguainava il distintivo che in realtà rimandava a un’associazione di ex carabinieri, dal momento che lui aveva solo fatto il militare nell’Arma. Il resto lo facevano la mascella volitiva e lo sguardo intenso.
Non so che fine ha fatto l’ex amico in questione. Magari sta leggendo questo post o, chissà, è impegnato a difendersi da se stesso in una guerra lunga vent’anni.
Queste righe mi servono per dirvi che, per quanto mi riguarda, quelli che si fingono qualcun’altro sono sempre attori senza palcoscenico: nel momento in cui qualcuno si accorgerà della loro interpretazione, non potrà mai applaudire perché sarà troppo incazzato.

Le notizie scontate

Foto di Paolo Beccari
Foto di Paolo Beccari

Le vite perdute degli immigrati clandestini sono un tema ostico per i giornali. Perché sono le cosidette notizie che non fanno notizia, a meno che la conta dei morti e le modalità dei decessi non abbiano a che fare più con un soggetto cinematografico che con un dispaccio di agenzia.
Una volta un direttore di giornale, imponendo la riduzione a notizia in breve di un servizio su un naufragio nel Canale di Sicilia con una trentina di immigrati dispersi, ammonì l’incauto caposervizio: i morti non si contano, si pesano. Non si riferiva alla bilancia, ovviamente, ché il peso di trenta corpi esigeva almeno un titolo a sei colonne. Ma a quel misto di furbizia professionale e ipocrisia borghese che fa dei giornalisti, di moltissimi giornalisti, i campioni mondiali di cinismo.
E’ vero che le vite perdute degli immigrati clandestini non fanno vendere una sola copia in più di giornale, ma è anche vero che la cronaca non è lo scaffale di un supermercato.
Le vere notizie scontate non sono quelle in offerta, ma quelle di cui non si sente il bisogno. Ovvero quelle che spesso, per odioso paradosso, fanno vendere i giornali.

Pensiamo al futuro

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

La questione è quella, ricorrente e inutile come l’appello all’unità dei cattolici, del dialetto nelle scuole. Ne abbiamo parlato ieri e voglio aggiungere un paio di considerazioni.
Detta brutalmente, a me del siciliano insegnato in una scuola media di Partinico o del piemontese insegnato in una scuola di Chivasso non me frega niente. Perché ho 46 anni, vivo nel 2009, lavoro in un’epoca in cui ti becchi un licenziamento come se fosse un raffreddore, voglio leggere quanta più roba possibile, e soprattutto non mi piace perdere tempo in discussioni inutili.
Le tradizioni sono meravigliose quando c’è l’occasione di ammirarle, valorizzarle, coltivarle. Quando i tempi sono difficili e le connessioni necessarie per campare sono complicate, le tradizioni possono tornare serenamente sugli scaffali. Anche perché ogni progetto pubblico ad esse collegato costa un botto di denari.
Rastrellando le idee utili ci si può accorgere che, oggi come oggi, non è più la storia l’unica chiave di lettura del presente. Il galoppo dell’innovazione ha cambiato i parametri dell’apprendimento. Per capire quel che accade in questo preciso momento bisogna guardare avanti: è finita l’epoca in cui ci si faceva strada col passato. E’, se vogliamo, una delle controindicazioni della globalizzazione: se si è tutti virtualmente più vicini, si è tutti meno diversi, si ha la necessità di parlare lingue comuni e non tutte fatte di parole.
Il futuro non c’entra nulla con ciuri ciuri o funiculì funiculà. Il futuro, e soprattutto il destino lavorativo, parlano le lingue più diffuse del pianeta: l’inglese, l’arabo, il cinese, il francese, lo spagnolo. Non il trentino, non il sardo, non il lombardo, non il siciliano.
Bossi e gli altri geni della politica dovrebbero capire che in un paese moderno non è possibile che un cittadino italiano laureato conosca meno lingue di un qualunque straniero immigrato (clandestino e non). A scuola, sin dalla prima elementare, bisognerebbe insegnare la lingua italiana – che è una sola e meravigliosa – e almeno una lingua straniera. Senza altri bla bla e, scusate, senza ulteriori cazzate.

Ma sui dialetti la Lega non ha torto

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

di Roberto Puglisi

Se uno toglie il superfluo, il polemico, l’inutile, magari riconoscerà che l’idea leghista di insegnare il dialetto a scuola tanto malvagia non è. E non lo è perché l’identità regionale non deve essere per forza una pistola puntata contro l’unità nazionale. Capisco l’obiezione diabolica, ciò che dicono i vari Bossi e Calderoli si fa fatica a considerarlo un semplice contributo al dibattito accademico, fornito con sincero spirito di collaborazione. E questo perché è sempre meglio non fidarsi degli zecchini d’oro promessi dal gatto e dalla volpe. Ma se la cittadinanza è un elemento di civiltà sovranazionale, perché ognuno può diventare cittadino del mondo o di un luogo senza per forza l’obbligo della culla, l’appartenenza alla terra si iscrive a visceri e sentimenti diversi. Possiamo negarlo finché si vuole, il legame. Esiste comunque. E a far parte di una Nazione – senza che questo implichi per forza parate militari o discorsi al balcone – si impara da piccoli, mangiandone e bevendo i frutti della terra. Che insegnano la peculiarità di ogni discendenza (il dialetto) in un disegno (lingua) più grande. E’ un passaggio obbligato. Non possiamo dirci italiani, se non impariamo a dirci siciliani. Se non consideriamo che il locale e il generale non devono sfinirsi e  lottare per sempre, se di mezzo c’è il filtro dell’intelligenza. Perfino il Carroccio e la Coppola, il “Minga” e il “Cu è” possono andare a braccetto, fino ad amalgamarsi – senza sperdersi – nello stesso riflesso unitario.

Sottotitoli

zaia_montalbano

Da Gianfalco.

Al ministro Luca Zaia piacerebbe che le fiction della Rai fossero in dialetto, o coi sottotitoli.

Confini

Un estratto dalla rubrica mensile su I love Sicilia:

A Ustica, in vacanza, ho vissuto in una casa che sta all’angolo tra via Calvario e via Confusione. A parte la sensazione di vivere una condizione toponomastica inquietante (per fortuna la via Calvario non incrocia un vicolo Golgota) mi è venuta la curiosità di andare a censire le altre strade dell’isola. Ho trovato così via Croce, via Corta (abbastanza corta), via Marina, via Cristoforo Colombo (in un’isola ci vuole) e l’immancabile via Umberto I. Non so se si sia mai riunita la commissione toponomastica del Comune, so per certo che l’indolenza è aggiuntata in seduta permanente. Ustica è un’isola in cui le strade hanno nomi qualunque a dispetto dei personaggi non qualunque che quelle strade hanno percorso. Antonio Gramsci, ad esempio, vi trascorse il confino: non ha una via. In compenso c’è via Confini (per lui e per tutti gli altri).

Uno che tira fuori i cognomi

Diego Cammarata

Sarà il caldo, sarà un misunderstanding o semplicemente la noia, eppure il sindaco di Palermo (che, per i più distratti, si chiama Diego Cammarata) ha compiuto un atto di imperio. Ha sporto denuncia per la vicenda Amia.
Frenate gli entusiasmi, però. Quando le notizie sono troppo belle è probabile che un trucco ci sia. Infatti, a ben leggere, lo spunto di coraggio del primo cittadino più cool del Belpaese è diluito in una brodaglia insapore. La denuncia è, udite udite, contro anonimi pur essendoci, nella vicenda e in tutti i suoi sviluppi, l’imbarazzo della scelta in quanto a nomi, cognomi, indirizzi, codici fiscali e pedigree politici.
Ci sono buone intenzioni e intenzioni travestite da buone intenzioni. Ricordo un famoso giornalista siciliano che impartendo la consueta lezione professionale (non richiesta) ai suoi sottoposti disse di un celebre politico democristiano sotto inchiesta per mafia: “L’onorevole tal dei tali con le cosche non c’entra niente. Come lo so? Me l’ha detto lui”.
Il noto giornalista e il sindaco Cammarata sono molto amici.

Fas fidanken

Sono in corso pubblici festeggiamenti politici per l’annunciato trasferimento di fondi Fas per quattro miliardi di euro alla Sicilia. Il termine Fas, che mi ricorda un tipico comando da addestratore di cani, sta per Fondi aree sottoutilizzate.
Si tratta di soldi che provengono da un bacino e che da qualche parte dovevano pur finire. Ed è già qualcosa che i destinatari – o, per usare termini in voga, gli utilizzatori finali – si rendano conto di vivere in aree sottoutilizzate e non sottosviluppate.
Tuttavia è quantomeno prematuro festeggiare visto che questi soldi saranno utilizzabili non prima del 2012, a meno che alle cose non si attribuiscano i veri nomi. In questo caso il termine che mi viene in mente è: propaganda.
Senza tener conto che celebrare un evento in anticipo porta pure sfortuna.

Superenalotto, poveri, strade

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L'illustrazione è di Gianni Allegra

Probabilità che esca il 6 al Superenalotto: 1 su 623 milioni

Palline da ping pong necessarie per coprire il manto di un campo di calcio: 623 milioni

Stipendi pagati ogni anno dal Comune di Palermo, in euro: 623 milioni

Poveri in Italia: 8.078.000

Incidenza di povertà assoluta al Sud, oggi: 7,9%

Al Centro: 2,9%

Al Nord: 3,2%

Incidenza di povertà assoluta al Sud, lo scorso anno: 5,8%

Miliardi di euro previsti dal piano per il Sud di Berlusconi: 4

Incidenti per chilometro sulla Messina-Siracusa (Orientale Sicula): 1,13

Lunghezza in chilometri della Messina-Siracusa: 156

Strade che attraversano la scorrimento veloce Palermo-Agrigento: 200

Morti nel 2008 sulla Palermo-Agrigento: 7

Età, in mesi, dell’ultima vittima sulla Palermo-Agrigento (giugno 2009): 18

Anno di progettazione dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento: 1983

Anno di inaugurazione: 2004

Costo della struttura in milioni di euro: 38

Anno di chiusura per rischio crollo: 2009

Fonti: Tg1, La Repubblica, Istat, Ansa, Aci, Corriere della Sera.