La questione è quella, ricorrente e inutile come l’appello all’unità dei cattolici, del dialetto nelle scuole. Ne abbiamo parlato ieri e voglio aggiungere un paio di considerazioni.
Detta brutalmente, a me del siciliano insegnato in una scuola media di Partinico o del piemontese insegnato in una scuola di Chivasso non me frega niente. Perché ho 46 anni, vivo nel 2009, lavoro in un’epoca in cui ti becchi un licenziamento come se fosse un raffreddore, voglio leggere quanta più roba possibile, e soprattutto non mi piace perdere tempo in discussioni inutili.
Le tradizioni sono meravigliose quando c’è l’occasione di ammirarle, valorizzarle, coltivarle. Quando i tempi sono difficili e le connessioni necessarie per campare sono complicate, le tradizioni possono tornare serenamente sugli scaffali. Anche perché ogni progetto pubblico ad esse collegato costa un botto di denari.
Rastrellando le idee utili ci si può accorgere che, oggi come oggi, non è più la storia l’unica chiave di lettura del presente. Il galoppo dell’innovazione ha cambiato i parametri dell’apprendimento. Per capire quel che accade in questo preciso momento bisogna guardare avanti: è finita l’epoca in cui ci si faceva strada col passato. E’, se vogliamo, una delle controindicazioni della globalizzazione: se si è tutti virtualmente più vicini, si è tutti meno diversi, si ha la necessità di parlare lingue comuni e non tutte fatte di parole.
Il futuro non c’entra nulla con ciuri ciuri o funiculì funiculà. Il futuro, e soprattutto il destino lavorativo, parlano le lingue più diffuse del pianeta: l’inglese, l’arabo, il cinese, il francese, lo spagnolo. Non il trentino, non il sardo, non il lombardo, non il siciliano.
Bossi e gli altri geni della politica dovrebbero capire che in un paese moderno non è possibile che un cittadino italiano laureato conosca meno lingue di un qualunque straniero immigrato (clandestino e non). A scuola, sin dalla prima elementare, bisognerebbe insegnare la lingua italiana – che è una sola e meravigliosa – e almeno una lingua straniera. Senza altri bla bla e, scusate, senza ulteriori cazzate.