Siamo merde

Non so cosa ci sia dietro il buio della mente di quella donna che oggi, a Catania, si è denudata e ha cominciato a lanciare dal balcone pezzi della sua casa e probabilmente della sua vita.

So per storia personale cosa c’è, anzi cosa non c’è nel buio della mente che ogni tanto arriva con la pretesa di strappare dai problemi e invece strappa e basta. So che molto spesso c’è un’interferenza che toglie la connessione e fa sentire indipendenti da essa. Immagino che comunque in questo atto che sembra anarchico ci sia un’infinita dipendenza, una tremenda colpa altrui sottovalutata, nascosta.

Perché siamo noi i cortocircuiti altrui. Siamo gli errori che commettiamo e ai quali non diamo mai l’attenzione che serve, siamo i maestri del low profile codardo e pensiamo che da qualche parte, in qualche modo, ci sia sempre un rimedio, si trovi sempre una scusa.

La donna di Catania ne avrà accumulate di verità di comodo, magari avrà peccato di sottovalutazione o chissà. Però davanti a un atto estremo di umiliazione travestito da gesto rivoluzionario (buttare le cose dal balcone è un momento ad effetto tanto drammatico quanto cinematografico) dobbiamo tutti –  maschi e femmine, altri e altre – fermarci e ripescare il momento zero dei nostri fallimenti, perché tutti ne abbiamo.
Tutti.
Quando abbiamo fatto un passo che non dovevamo fare, quando ci siamo sentiti più sicuri del nostro ego, quando abbiamo calpestato un sentimento di cui non avevamo contezza, quando siamo stati ciechi pur avendo la visuale ampia. Ci è successo e non possiamo negarlo.

La donna di Catania è un modello da tenere a mente, altro che morbosità social, altro che dovere di cronaca. Quella donna nuda e disperata è la protagonista dell’atto finale più annunciato e meno previsto delle nostre storie sentimentali, lavorative, sociali, eccetera: è il coagulo delle nostre misere disattenzioni, perché noi siamo attenti solo a ciò che ci può dar noia o soddisfazione nell’immediato.

Pensiamoci ogni volta che diamo una risposta malvagia a chi non se la merita, ogni volta che alziamo le spalle dinanzi a un’ordinaria rinuncia, ogni volta che cataloghiamo come cazzata un gesto che altri possono ritenere urticante. Facciamolo per noi stessi, perché alla fine tutti i cerchi si chiudono, anche se è quasi sempre troppo tardi. Un giorno magari capiremo che i disastri del mondo sono un insieme di sottovalutazioni che partono dal nostro tinello.

Troppo spesso siamo merde e non c’è nessuno che ce lo ricordi prima dell’ineluttabile fischio finale. E il problema non è il fischio finale.

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Nicole Minetti, la forma e le forme

Dice di averlo fatto per sostenere l’economia del paese. Nicole Minetti ha sfilato in costume – molto ridotto, ed è stato un bel vedere – a Milano, ha occupato le prime posizioni delle top news, e ritiene di aver dato una mano al made in Italy.
Dopo il presidente operaio, la consigliera smutandata. E non cadiamo nei moralismi, che i moralismi hanno segnato sino ad oggi la vittoria dei calpestatori professionisti della morale.
Nicole Minetti che sfila con le chiappe al vento è la nemesi del gioco di potere Berlusconiano. Una giovincella con un passato (nascosto) che è l’opposto del suo appeal (esibito) è stata promossa a icona politica dove il passato nulla conta rispetto all’appeal. Di che meravigliarsi?
Una consigliera regionale che si spoglia e che, anche grazie alla sua carenatura, si lascia dietro una scia di sguardi allibiti non sarebbe un fatto stratosferico se a quella passerella la signorina fosse approdata dopo alcuni passi fisiologici. Ma quando a una festa in costume pubblica si arriva per via di altre decine di feste in costume private, proprio in onore di colui che di quel passaggio è unico artefice, allora bisogna rassegnarsi.
Prima nella vita pubblica si chiedeva quantomeno il rispetto della forma, oggi ci si limita alle forme.

Trasparenze