Porno Mondo

Parlare di porno è come fare un frittata: facilissimo sbagliare. Il porno è un tema di cui è noto l’involucro, ma è quasi sconosciuto ciò che sta dentro. O che ci sta dietro. E mi rendo conto che già con gli avverbi (dentro, dietro) siamo entrati in un ambito linguistico complicato, pieno di fraintendimenti più o meno accettabili.
L’ho fatto non a caso perché uno dei lati interessanti di questa storia – anzi forse quello che ne fa la fortuna – è proprio la trasversalità. Le allusioni al porno sono dovunque – nella pubblicità, nell’arte, nello spettacolo, nella vita sociale – e sfuggirle con imbarazzo è molto peggio che accettarle con un sorriso (se ovviamente l’ambito è compatibile con un pensiero leggero).

In questo podcast cercheremo di analizzare quanto pesa il sesso nel web e com’è cambiato negli ultimi dieci anni (un’era geologica quando si parla di internet), cosa c’è dietro in termini finanziari e criminali e soprattutto sveleremo cosa è stata la “regola 34”, dove – state sereni – 34 non sono centimetri.

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Il desiderio di Ragazza X

Qualche anno fa l’attore porno James Deen ha girato un film con una ragazza che era una sua fan. La chiamava Ragazza X. Non era una novità. Spesso Deen – che in passato è stato accusato, ma poi prosciolto, per stupro – si è concesso alle sue ammiratrici. Metteva su una specie di contest sul suo sito e chi vinceva…
In realtà i video di questo genere hanno poco a che fare con il sesso poiché si tratta di filmati in cui prevalentemente si parla, si filmano le titubanze e comunque se sesso ci sarà, sarà solo un dettaglio. Perché il clou della discussione è “voglio fare sesso con te, ma non voglio mostrarlo al mondo”. Di questo argomento ha scritto qualche mese fa la scrittrice Katherine Angel sul Guardian analizzando il “presunto desiderio di una donna che, anche se si manifesta una sola volta, per un solo uomo, la rende vulnerabile. Come se il suo desiderio non la rendesse più degna di protezione”.
È un tema, generale, e applicabile a tutto il ventaglio di scelte della nostra socialità.
Desiderare è scoprire il fianco?
Auspicare significa necessariamente schierarsi?
Volere è per forza scegliere?
Pensate alle infinite declinazioni di questo argomento. Magari applicandolo al (falso) dilemma sui vaccini: mostrarsi perplessi è già un atto di imperio?
Non ho una risposta perché se è vero che domandare è lecito, spesso è anche vero che rispondere non è cortesia, ma sfogo, liberazione. Viviamo tempi complicati in cui è pericolosissimo desiderare senza filtro, in cui persino la fantasia deve stare attenta al suo genere femminile (e chi lo ha detto che non ci sia un fantasio? E chi ha scritto le regole di questa discriminazione che parte dalle vocali e finisce chissà dove?). Dobbiamo di nuovo imparare a desiderare, senza farci condizionare dal giudizio. E contemporaneamente dobbiamo stabilire un direzione coerente degli auspici, coerente con la storia, con il giudizio, con la buona creanza.

Non è sparandola grossa che si va sulla luna. O che si corona un sogno erotico.

Si fa presto a dire porno

La rivolta è partita quando Tumblr (420 milioni di utenti attivi al mese) ha deciso di eliminare i contenuti porno. Molti utenti della piattaforma di microblogging si sono ribellati, uscendo allo scoperto su siti specializzati e sui giornali. Eric Leue, direttore esecutivo della Free Speech Coalition, associazione commerciale non-profit sulla pornografia negli Stati Uniti, ha dato una chiave di lettura discriminatoria del provvedimento: “Tanti di quelli che fanno parte delle comunità eterosessuali ed eteronormative non capiscono la portata del divieto su Tumblr perché la loro vita e la loro cultura sono rappresentate ovunque. Per chi invece appartiene alle comunità queer, di nicchia o feticiste, Tumblr era uno dei pochi spazi accessibili dove costruire comunità e condividere contenuti”. A dar forza a questa teoria, molte lettere di protesta a rubriche che si occupano di sesso e costume, come quella di Dan Savage sul settimanale di Seattle “The Stranger”, il cui succo è fondamentalmente questo: se è vero che su internet continuano a esserci tonnellate di porno, come chiunque può notare, questa stretta sui contenuti espliciti disturba le persone queer vulnerabili. “E finché i programmi di educazione sessuale non copriranno il sesso queer o alternativo”, scrive Savage “i giovani Lgbtq e dai gusti sessuali alternativi continueranno a procurarsi l’educazione sessuale su internet: e più difficile diventerà l’accesso ai contenuti espliciti, specie se non commerciali, più difficile sarà per i giovani queer trovare non solo il porno che fa per loro, ma anche le informazioni necessarie per proteggersi”.

La storia del porno su internet è complicata. La racconta Kieren McCarthy nel libro “Sex.com” in cui si ricostruisce la battaglia legale (e quasi fisica) intorno a quelle due paroline, le più contestate e redditizie del web. L’idea la ebbe nel 1994 Gary Kremen, un imprenditore che con pochi dollari si assicurò il dominio sex.com, e che poco tempo dopo se lo si vide soffiare da un tale Stephen M. Cohen. Non si sa bene come avvenne la sottrazione, fatto sta che il misfatto innescò cinque anni di guerra in tribunale. Secondo la McCarthy, Cohen avrebbe approfittato di un bug tecnico per impossessarsi del sito, mentre gli avvocati di Kremen ipotizzarono che ci fosse dietro una manina all’interno della compagnia di hosting del dominio, la Network Solutions. Scrive la giornalista: “Si sospetta Cohen che abbia avuto una relazione sessuale con qualcuno di Network Solutions, e abbia raggirato qualcuno per cambiare l’indirizzo mail del sito e sostituirlo con il suo, e da lì cambiò tutte le altre informazioni”. Insomma un affare di sesso dietro l’affare del sesso.

Dopo una serie di passaggi di mano, contestazioni legali, aste annullate e fallimenti, il dominio sex.com è stato venduto nel 2010 per 13 milioni di euro alla Clover Holdings LTD, una società con sede nello stato di Saint Vincent e Grenadine noto per i suoi servizi bancari offshore. 

Quando si dice porno si pensa a PornHub, un sito che fa qualcosa come 92 milioni di contatti al giorno (più o meno come se si connettessero tutti gli abitanti di Canada, Australia e Polonia).

Autoerotismo ovvero il trionfo dell’irregolarità. Guardando il calendario, i dati degli accessi dicono che il giorno nero di Pornhub è il 31 dicembre, quando il traffico cala del 44 per cento (del 60 in Italia) tra le 18 e la mezzanotte. Anche Halloween provoca un calo, del 4 per cento su scala globale ma del 21 negli Stati Uniti. In Italia è sacro il Ferragosto: meno 22 punti percentuali, sarà il caldo.  Ma ci sono anche alcuni eventi di cronaca che rosicchiano popolarità al sito. Ad esempio le cerimonie di Oscar, Golden Globe, Emmy e Grammy hanno fatto diminuire il traffico del 4-6 per cento. Ancora di più hanno tolto la presentazione dei nuovi iPhone (meno 11 per cento) e il matrimonio tra il Principe Harry e Meghan Markle (meno 10 per cento).

In Italia solo il Festival di Sanremo è arrivato a tanto: 8 per cento in meno durante la serata del 6 febbraio. La bestia nera di Pornhub però è lo sport. In occasione dei grandi appuntamenti il traffico crolla. Dal Super Bowl, diminuzione del 26 per cento negli Stati Uniti e del 40 nella città vincitrice (Filadelfia), alla finale dei mondiali di calcio, meno 11 per cento. Ovviamente tutti questi sono dati pre-Covid, pre-lockdown.

Se i principali siti porno hanno nomi noti, meno diffuso è quello del provider attorno al quale ruota questa gigantesca ruota miliardaria: MindGeek, una società lussemburghese con sede a Montreal, in Canada, proprietaria dei più importanti siti pornografici del mondo: oltre a PornHub e YouPorn, Tube8, XTube, RedTube, ExtremeTube and SpankWire. Si tratta di un impero con regole ferree custodite in una sorta di segretezza teatrale. Così ne ha scritto David Auerbach su “Slate”: “MindGeek ha conquistato il monopolio del porno, costringendo i membri dell’industria alla posizione paradossale di lavorare per la stessa società che trae profitto dalla pirateria del loro lavoro. MindGeek è talmente potente che le persone che lavorano nel settore della pornografia online hanno paura di parlarne, per timore di finire nella sua lista nera. E il predominio di MindGeek dovrebbe essere preso come esempio dei pericoli dell’accorpamento di produzione e distribuzione nelle mani di un singolo proprietario”.

Nello specifico, MindGeek distribuisce sui suoi aggregatori, chiamati “tube sites” perché imitano il formato YouTube, enormi quantità di pornografia gratuita finanziata con la pubblicità. Questi siti, che siano di proprietà di MindGeek o meno, notoriamente ospitano un sacco di contenuti piratati. “Nonostante ogni sito di video debba rispettare le richieste di rimozione di contenuti, in base al Digital Millennium Copyright Act (DMCA), la maggior parte dei produttori di porno non ha le risorse degli studi cinematografici o delle etichette discografiche per monitorare la pirateria” scrive Auerbach. Perfino i produttori di contenuti di proprietà di MindGeek hanno problemi a far rimuovere i propri video dai loro stessi siti. Di conseguenza la produzione di film porno è a picco da anni, ma il porno online non risente affatto della crisi. Il modello che ne scaturisce è un sistema vampiresco in cui, spiega Auerbach, “i produttori di MindGeek fanno film porno soprattutto perché siano caricati sui siti gratuiti di video di MindGeek, con minori ricavi per i produttori ma con maggiori ricavi pubblicitari per MindGeek che non vanno a nessuno dei soggetti coinvolti nella produzione”. La situazione la fotografa Siri, pornostar di Minneapolis su “Quora”: “È come se Walmart facesse fallire i negozi a conduzione familiare e poi entrasse nei negozi a conduzione familiare e rubasse letteralmente i loro prodotti per rivenderli da Walmart».

Istintivamente, con le dovute eccezioni, l’occhio in cerca di un paragone si posa su altri distributori di contenuti come Netflix e Amazon. Ma se questi hanno orientato il loro business verso la produzione, investendo in nuovi prodotti originali e coraggiosi, MindGeek rappresenta un esempio pressochè unico in cui al distributore non interessa incentivare contenuti che garantiscano ricavi adeguati a chi li ha prodotti, finché questi in qualche modo fanno fare soldi. Unica missione: spremere il limone sino alla scorza fregandosene dell’albero. La lezione che ne consegue vale per ogni modello economico basato sul monopolio: l’accentramento del combinato produzione-distribuzione nelle mani di una sola azienda può determinare la scomparsa di un’intera categoria produttiva.

In questa perenne invasione di campo del futuro nelle nostre vite, che molti chiamano cambiamento e altri stravolgimento, la tecnologia ha un ruolo di primo piano. Nel libro “The Erotic Engine”, il giornalista scientifico canadese Patchen Barss ricostruisce la storia degli effetti della pornografia sulla comunicazione di massa e si sbilancia: “Ci sono buone possibilità che senza il porno, il videoregistratore non sarebbe mai decollato”. Effettivamente prima che il videoregistratore entrasse nelle case, per guardare un film hard si doveva andare di nascosto in sale cinematografiche non proprio accoglienti e magari malfrequentate. “La possibilità di guardarlo nell’intimità di casa contribuì a creare un primo mercato per le apparecchiature di home-video”, spiega Barss. “Alcuni dei fattori che favorirono l’affermazione del videoregistratore contribuirono anche al diffondersi della tv via cavo che permetteva di trasmettere contenuti più audaci, e questo era uno dei motivi che spingevano le persone a pagare per avere i canali aggiuntivi, nonostante gli altri fossero gratuiti”.

Da un fenomeno di costume all’altro. Una decina di anni fa si diffuse un’antica leggenda virale secondo cui se una cosa esiste o può essere immaginata, allora ne esiste una versione porno su internet. Questa storiella prende il nome di “Regola 34” e origina da una vignetta del 2003 di Peter Morley-Souter: “Rule #34: There is porn of it. No exceptions”.

Se esiste, allora c’è la sua versione porno. Senza eccezioni. Nel suo periodo d’oro, intorno al 2009, la “Regola 34” dimostrava che qualunque cosa poteva dare un aggancio alla sua versione hard: dal Tetris agli animali in estinzione, dai robot agli strumenti musicali agli alieni. Poi il giochino cominciò a perdere d’appeal perché effettivamente digitando sui motori di ricerca apparivano sempre meno corrispondenze. Cosa era successo? Alla fine degli anni Duemila l’industria pornografica online iniziava a diventare più solida, spostandosi da produttori e distributori singoli verso siti-aggregatori con la conseguente virata verso il monopolio. Pochissime aziende, via via in posizione sempre più dominante, impararono a sfruttare le grandi quantità di contenuti e dati sul traffico degli utenti a loro disposizione, in modo da orientare il mercato: in pratica decisero loro quali generi di porno far diventare e mantenere popolari. La maggior parte di questi siti usano tag, cioè parole chiave che descrivono l’oggetto o l’azione rendendone possibile la classificazione: sono anche i tag che alla fine contribuiscono a determinare il modo in cui parliamo di sesso online.

Secondo una teoria però smentita ufficialmente dalla stessa azienda, Pornhub personalizza i contenuti riservati agli utenti grazie a un algoritmo che tende a nascondere i video più curiosi o strani. Qualche anno fa alcuni ricercatori francesi hanno analizzati i metadati che descrivono i contenuti di alcuni siti pornografici e hanno scoperto che, nonostante la grande molte di materiale teoricamente disponibile, il 5 per cento dei tag disponibili comprende il 90 per cento dei video caricati nei due siti.

Ecco spiegato perché la “Regola 34” non funziona più. Perché la varietà è diminuita vertiginosamente per dare spazio al sesso tradizionale che ha un vantaggio irresistibile: è più vendibile. Meno fantasie, più certezze: il clic non vuole pensieri. 

Porno (quasi) subito

Nel suo “Secondo diario minimo”, un libriccino datato e prezioso, Umberto Eco si diverte tra le altre cose a illustrare alla sua maniera la differenza tra un film porno e un qualsiasi altro film.
La visione scherzosa e disincantata è però datata 1992 e, come sappiamo, se l’ironia è eterna, il contesto in cui essa matura è invece estremamente variabile. Così l’espediente del viaggio in auto che nel film porno dura in modo esagerato, quasi a giustificare costi e plot della pellicola, può oggi essere usato per misurare la temperatura dei tempi che cambiano. Il web e il consumo istantaneo di desideri, l’overdose di stimoli virtuali, il limite sempre più sottile tra il reale e l’irreale hanno stravolto le vite di tutti gli umani del pianeta, connessi e non. Quindi anche dei signori del porno e della giostra di miliardi che gira loro intorno (basti pensare che il valore del dominio sex.com è di almeno 13 milioni di dollari). Oggi l’uomo che, ai tempi di Eco, si spostava da un luogo all’altro per andare a compiere il suo atto cruciale non prende più l’auto, ma si fa trovare a casa, pronto all’uso. E se proprio la prende, quella benedetta auto, la usa non come noi comuni mortali, ma in un senso estremamente cinematografico: la rende teatro dell’azione (esistono serie intitolate a fake-taxi, a pullman un po’ troppo affollati o ad altri mezzi di trasporto adattati all’occasione), la reinventa come alcova, la trasforma insomma da strumento a pretesto.
E, badate bene, questo è un metodo che si applica non soltanto alla categoria del porno, ma in qualche modo a tutta la cinematografia a uso e consumo del web e delle tv on demand. Il modello di pornografia di questi anni è in fondo il modello Netflix: tempi rapidi, fruizione facile, mirare dritti al cuore (o un po’ più giù nel caso specifico). La scrittura non deve lasciarsi inseguire, ma inseguire essa stessa, arrivare senza causare troppa fatica giacché un clic è un attimo e ci si sta nulla a cambiare prodotto e a condannarlo a un fallimento e/o a un rapido, e non indolore, oblio.
Cambia tutto, cambiano contenuti e contenitori, tempi e attese, perché cambia il fattore cruciale, che poi è il vero algoritmo dei misteri: lo spettatore.
La “sana scopata” di cui parla Eco non è più sponsorizzata dall’assessorato ai trasporti, ma è assolutamente gratis. E, si sa, oggi quando qualcosa è gratis la merce siamo noi.

Il porno prima dei social

L’articolo pubblicato ieri su La Repubblica Palermo.

Il porno non è sempre stato com’è adesso. Non è sempre stato facile reperirlo e soprattutto non è sempre stato un affare intimo. Prima di internet, intorno alla metà degli anni Ottanta, ha avuto a Palermo un vero riverbero sociale. Erano gli anni in cui il porno italiano, quello di Riccardo Schicchi, trasformava i cinema in teatri a luci rosse, con spettacoli-bolgia dove per entrare si faceva la coda come allo stadio o in discoteca. In quegli anni sbarcò a Palermo la diva di quel genere, Moana Pozzi, e al giornale si decise che avrei dovuto occuparmene io. L’invitammo per l’edizione mattutina del tg. Quando arrivò, la redazione era stracolma di fan insospettabili: giornalisti che avrebbero dovuto essere in settimana corta, poligrafici, amministrativi e persino un centralinista che teneva sottobraccio un mazzo di riviste porno. Quando gli chiesi ridendo se gli servissero per un ripasso, lui rispose serio: no, le voglio autografate.
Era cambiato tutto.

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Portate un caffè all’amico

Lilli_Carati morta

Appena ho saputo che Lilli Carati era morta ho inviato un sms a un amico. Nel frattempo un altro amico mi cercava al telefono di casa, ma io ero impegnato a scrivere una mail a un altro amico e a rispondere all’sms di un altro amico ancora.
Lilli Carati, pace all’anima sua, per un ristretto gruppo di attuali cinquantenni, ex giovani degli anni ’80, è un catalizzatore di ricordi. Anzi per noi di un ricordo preciso.
Cinema Embassy, sala A, (come mi ricorda il caro Totò) dicembre ’88. In fuga da una dura giornata di lavoro al giornale, io e un manipolo di scapestrati colleghi decidiamo di concederci un eccesso che a quei tempi era molto in voga. Niente droghe, né alcol, né abusi alimentari. Pizza, birra e gran casino al cinema a luci rosse. Lo facevamo un paio di volte al mese. La gita al cinema hard core – di solito guidata da un altro mio amico, Ciccio, che conosceva personalmente persino le maschere e il bigliettaio – era un classico della serata da mal di pancia. Mal di pancia dalle risate, si intende.
In quella sera di dicembre dell’88 eravamo una decina. Ultimo spettacolo, tutto esaurito ad eccezione di qualche posto in prima e seconda fila. Il film era l’esordio di Lilli Carati nel mondo dell’hard. Titolo: “Una moglie particolarmente infedele”. Trama: una moglie particolarmente infedele fa la moglie particolarmente infedele.
Prendemmo posto in una sala in cui non si assisteva a una proiezione, ma si faceva il tifo come all’ippodromo: dai, forza, veloce! Appena c’era un accenno di dialogo tra gli attori, la platea rumoreggiava: “E che siamo venuti qui per sentirvi parlare?”.
A un certo punto, mentre la Carati, sempre pace all’anima sua, offriva una prospettiva di sé ostentatamente inedita rispetto alla sua filmografia, dalla fila dietro la nostra (la terza) crebbe un rumore. Forte e sempre più forte. Era un tale che, stremato dal lavoro o molto più probabilmente dal “dopolavoro” da cinefilo, si era addormentato e russava come un disperato.
Sul grande schermo passarono scene più trash che hard, un porno becero ed esilarante accese mille battute che avremmo ripetuto per anni. L’audio al minimo e l’aria irrespirabile di mille sigarette rendeva l’atmosfera lunare. Lilli passava da un amplesso all’altro senza sorridere, un lavoro come un altro, forse più faticoso di un altro, o magari noioso. Che ne sapevamo noi che ridevamo felici, felici di una gioventù analogica, vera, di relazione?
Lilli Carati, pace all’anima sua, era una moglie particolarmente infedele nella nostra serata particolarmente esilarante. Anche perché sul finire del film, quando un tripudio di amplessi disegnò sullo schermo geometrie per quei tempi ardite, il tale che russava si risvegliò con un grugnito da surround, drizzandosi sulla poltrona come Linda Blair ne “L’esorcista”.
Dal fondo della sala, una voce: “E portate un caffè all’amico!”.

Tutti noi, reduci della sala A dell’Embassy di Palermo, ridiamo ancora.

Hardc(u)ore

Questi si sono inventati il porno di beneficenza.

Selen a nozze

Sul web c’è il finimondo per le nozze in chiesa dell’ex attrice porno Selen con il terapeuta tantrico Antonino Putortì. Battute su battute e mille domande sul perché e il percome la signora abbia scelto l’abito bianco per sposarsi.
Solito caso di distrazione di massa.
Il vero dubbio su cui scatenare l’inferno dovrebbe essere invece: che caspita è un terapeuta tantrico?

Porno Silvio

Ogni due-tre settimane  si legge sui giornali la seguente frase: “Silvio sogna il Quirinale”.
Berlusconi è libero di sognare quel che gli pare, ma tra tutti i sogni che la sua attività politico-onirica (unico caso al mondo in cui i due ambiti si sovrappongono) gli suscita, giusto il più pornografico ci deve imporre?

 

Con impegno e orgoglio

Nel frattempo, ovviamente, sto valutando con i miei legali ogni iniziativa da intraprendere contro chi vuole distruggere la mia figura di donna e il ruolo di politico che ricopro con impegno e orgoglio da sempre.

Nicole Minetti smentisce di voler girare un film porno.

Grazie alla Contessa.