Il soffio sulla cenere – 2

La seconda e ultima parte del “Il soffio sulla cenere”, il podcast sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio di cui potete leggere qui, è dedicata a ruoli e personaggi e ai temi più delicati: pochi sanno davvero in cosa consiste quello che i giudici hanno descritto come il più grande depistaggio della storia repubblicana, pochi hanno idea di cosa c’era in ballo nella presunta trattativa tra lo Stato e la mafia, pochi conoscono il ruolo delle “entità esterne” che hanno avuto un importante peso nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Qui la prima puntata.

Questo podcast è gratuito. Se vi è piaciuto avete un modo per ripagarmi: diffonderlo. Imparare a conoscere è un buon modo di essere (o diventare) cittadini consapevoli.

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Il soffio sulla cenere - 2
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Il soffio sulla cenere – 1

“Il soffio sulla cenere” è un podcast sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio in cui, il 19 luglio 1992, morirono il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

L’obiettivo è scavare negli aspetti più nascosti di questa vicenda complessa, a partire dal clima di distrazione collettiva che avvolse noi giornalisti in quegli anni. E ho cercato di farlo con un linguaggio semplice, per quanto possibile.

Il podcast è diviso in due parti. Nella prima, più breve, si affrontano gli elementi base della storia: dal falso pentito Scarantino alla responsabilità di chi consentì il deragliamento delle indagini. Nella seconda si entra nel merito, si spiegano ruoli e personaggi, si affrontano i temi caldi: pochi sanno davvero in cosa consiste quello che i giudici hanno descritto come il più grande depistaggio della storia repubblicana, pochi hanno idea di cosa c’entra il processo sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia, pochi conoscono sanno delle “entità esterne” che hanno avuto un importante peso nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Io ho provato a riassumere e a spiegare senza dare nulla per scontato. Nel 2017 iniziai a farlo col compianto Ennio Fantastichini e la regia di Giorgio Barberio Corsetti, in un grande teatro d’opera, il Teatro Massimo di Palermo: e lo scorso anno ho chiuso la mia tetralogia dedicata alle stragi del 1992.

Oggi mi piace usare un altro mezzo, più tecnologico, più popolare, e con un linguaggio nuovo, cercando di non cadere negli stereotipi delle cronache giudiziarie. In questo cammino, per nulla semplice, mi hanno aiutato l’avvocato della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino, i giornalisti Salvatore Cusimano e Raffaella Fanelli, e Giorgio Mulè attuale vicepresidente della Camera qui in veste di ex cronista di nera. Li ringrazio di cuore. Ringrazio anche Gabriella Guarnera che, come sempre presta la sua voce.

Qui la seconda puntata.

Questo podcast è gratuito. Se vi è piaciuto avete un modo per ripagarmi: diffonderlo. Imparare a conoscere è un buon modo di essere (o diventare) cittadini consapevoli.

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Non ci fu niente

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Quindi questo depistaggio non fu manco roba di quattro amici al bar. Ed è un peccato che l’ex questore La Barbera e l’ex procuratore Tinebra siano morti senza veder riconosciuta la storica importanza del loro operato con adeguata medaglia di innocenza. L’ennesima innocenza in quella che credevamo fosse una nefanda macchinazione e che invece, stando alla giustizia italiana, è solo un’illusione ottica. Forse, di questo passo, potremmo scoprire che manco i morti erano morti e che il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta non sono stati dilaniati da un’autobomba, ma semplicemente inghiottiti da un buco spazio temporale di Stranger Things. Lo stesso buco che ha risucchiato, annullandole, le responsabilità dei magistrati coinvolti in questo gioco di prestigio – dove dal cilindro si tirano fuori pentiti come conigli – salvando però le loro carriere.

Alla fine scoprimmo che nessuno depistò o se lo fece fu a fin di bene: per porgerci una verità semplice, comoda, prêt-à-porter. Lo stesso Scarantino andrebbe ringraziato per lo spirito di sacrificio con cui ha interpretato il ruolo del provetto pentito: una via di mezzo tra un pupo di Mimmo Cuticchio e l’”Allegro chirurgo” che dove lo tocchi suona. Insomma tutti i protagonisti del depistaggio della strage di via D’Amelio, presenti o assenti, prescritti o coscritti, con distintivo o senza, vanno omaggiati per lo spettacolo avvincente e per la passione con cui continuano a recitare anche a show terminato. Purtroppo i morti non possono applaudire, ma restano i parenti delle vittime a sbracciarsi per loro. A brancolare in una vicenda di cui non gliene frega niente a nessuno, nel mainstream che elargisce successi di critica e di pubblico a chi nega la realtà e che stronca chi la afferma.
Non ci fu niente.

I cocci di Arnaldo La Barbera

Leggendo le motivazioni della Cassazione sulle condanne per il massacro del G8 alla scuola Diaz di Genova, c’è un nome che mi colpisce. Arnaldo La Barbera. Chi, come me, lo ha conosciuto e ha seguito le sue gesta ha pochi dubbi nel leggere sospetti, postumi, sulle sue molteplici attività professionali. Da capo della squadra mobile di Palermo e da coordinatore del pool di indagine sulle stragi Falcone-Borsellino, La Barbera non ha mai perso occasione per mettere in luce la sua trasversalità. La prima e unica volta che lo incontrai, mi chiese a bruciapelo soffiandomi il fumo di tabacco negli occhi: “Tu giochi?”. Intendeva le scommesse o il poker o qualsiasi altra cosa avesse a che fare col rischio di perdere dinanzi a lui. Non mi fece simpatia, ovviamente.
Un giorno uccise con un colpo di pistola un rapinatore che aveva fatto irruzione nel centro estetico in cui lui si stava sottoponendo a dei massaggi. Il bandito aveva un’arma giocattolo. Era  gennaio. Era il 1992. Pochi mesi dopo, le esplosioni di Capaci e di via D’Amelio lo avrebbero visto in prima fila a condurre indagini delicatissime. E a chiudere cerchi con troppa facilità. L’inchiesta sulla strage Borsellino è un manuale di depistaggi e testimonianze indecenti.
Qualche anno dopo si saprà che La Barbera era al servizio del Sisde: nome in codice Catullo.
Quando morì, i giornali lo descrissero come un superpoliziotto, come un uomo tutto d’un pezzo.
Ieri la Cassazione mi ha ricordato che i pezzi sono anche cocci.