Se la destra suona sinistra

Nell’arrembaggio della destra ai posti di comando della cultura italiana una delle giustificazioni addotte dalla medesima destra è la seguente: basta con l’egemonia di sinistra, ora tocca a noi. Insomma governare un teatro, un museo, una fondazione è per il governo Meloni solo una questione di turno: fatti da parte che ora guido io.
E a nulla valgono giustificazioni tipo: serve una certa specializzazione; curriculum non è solo una parola tronca; i risultati contano eccetera. Loro tirano avanti ridacchiando insieme al coro di troll, parenti e lecchini adoranti: è finita la pacchia!
Questa lettura della realtà risente di una mistificazione che ha del cialtronesco, e cioè che destra e sinistra in Italia siano la stessa cosa. Un po’ come la “famosa” questione del centro, che affrontai in Invertiti* e che ripropongo nella sua versione breve di seguito.


Per molti decenni la polarizzazione politica ha giocato a contrapporre idee giuste a idee sbagliate e ha trovato nel “centro” il rifugio del cosiddetto campo neutro.
In realtà non esistono opinioni di parte, esistono opinioni che si possono condividere o no: facile a dirsi, difficilissimo da spiegare a un politico contemporaneo.
In questo corto-circuito rientra un vizio che ha insanguinato le strade della nostra logica: le persone stentano a riconoscere ciò che non viene abbracciato nella loro visione del mondo. Il che significa che tendono a sottovalutare pericoli reali (tipo, il figlio bianco della mia vicina di casa non può molestare mia figlia) e a sopravvalutare situazioni in cui la minaccia è sempre “loro” e mai “noi” (tipo, il figlio nero della mia vicina potrebbe essere un problema per mia figlia).
Nessuno o pochi hanno il coraggio di confessarselo, ma il succo di questo ragionamento, che è politico, civile, sociale, culturale, è la difesa ossessiva dello status quo.
La sopravvalutazione del “centro” compie, di rimbalzo, un’altra ingiustizia: che destra e sinistra siano simmetricamente distanti da esso. Come se, nei secoli, le voci della sinistra abbiano raccontato o svelato storie comparabili a quelle della destra, come se i crimini con fondamento ideologico commessi dal comunismo (che tutto era tranne che qualcosa di affine alla sinistra che conosciamo) fossero comparabili con le ripetute e attualissime violazioni dei diritti umani perpetrate dalla destra.
Il pregiudizio centrista è un pregiudizio di carattere istituzionale un po’ stupido. Nella storia il centro ha pesato come destra e sinistra nel preservare le disuguaglianze e anzi, specialmente in Italia, ha salvaguardato trame e segreti che da quegli estremi provenivano.
Se una verità cerchiamo davvero sul centro, è che il centro è di parte. Anzi è di una parte che apparentemente non ha parte pur volendo mostrarsi come mediatore tra le parti.

Basta sfogliare i giornali, se proprio non si vogliono aprire i libri, per rendersi conto che “l’egemonia culturale della sinistra” ha portato, spesso in modo imperfetto, esattamente all’opposto di dove la destra, questa destra, vuole arrivare: la tutela delle minoranze, la valorizzazione della diversità, il gusto anche masochista per l’innovazione (la sinistra italiana muore un po’ per ogni passo che si fa nel futuro), la curiosità senza freni, il culto talvolta ossessivo della conoscenza.

Il mondo meloniano è invece teso a chiudere finestre, a limitare accessi, a togliere aria: il made in Italy compulsivo come se fossimo i padroni del mondo; il sesso ordinario come dio comanda; lo straniero nemico, un po’ invasore e un po’ colonizzatore; il diverso che ruba serenità ai cittadini tutto focolare domestico e crocifisso; il revisionismo degli orrori; la liceità del riso solo in caso di risata grassa; il bavaglio alle bocche che non intonano la messa cantata. Il tutto alimentato (inconsapevolmente?) da una narrazione antagonista che è un pericoloso mix di ingenuità e impreparazione: e quello della competenza è un dramma dell’opposizione in questo Paese.

Immaginare il governo delle politiche culturali – nelle quali persino la sinistra è stata capace di disastri, basti pensare alla gestione Franceschini nel periodo della pandemia – come una sveltina burocratica è tipico della destra. Che, tristemente, è sempre coerente con sé stessa e col suo passato.

*L’opera “Invertiti” mi fu commissionata nel 2022 da TaoArte, che non era certo un covo di comunisti, a conferma che quando si parla di cultura, c’è ancora chi sa tenere la politica fuori dalla porta.

Invertiti, viaggio nelle differenze

C’è una macchina del tempo che dal 1963 a oggi attraversa tre ventenni sanando gli opposti o addirittura unendoli, come fosse un miracolo, in un’unica linea retta.
Il viaggio che ne scaturisce è quello nell’universo mai troppo esplorato delle differenze.
La linea maestra la dà Pier Paolo Pasolini, che col suo documentario “Comizi d’amore” ci guida attraverso le contraddizioni di quello che una volta si chiamava sentire comune e che oggi identifichiamo come mainstream. Per diffidarne, per scardinare le oziose certezze della condivisione cieca, per affrontare le sterili perversioni del “desiderio mimetico” che spinge una pecora a seguire il gregge senza capire bene il perché.

Questo podcast è liberamente ispirato all’opera “Invertiti”, scritta con Fabio Lannino per la Fondazione Taormina Arte (altre info qui). È un viaggio che parte dall’Italia del boom economico e arriva a quella della cretinocrazia imperante, e che attraversa le “dittature culturali” dove in fondo ogni cosa non ha solo il suo prezzo, ma soprattutto il suo sconto.

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Invertiti, viaggio nelle differenze
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