Sgarbi senza sorprese

Dopo il flop della prima (e conseguentemente unica) puntata del suo nuovo programma, Vittorio Sgarbi, pur facendo autocritica, dà la colpa alla Rai perché non sarebbe interessata alla cultura.
E in qualche modo instilla il ragionamento secondo il quale, con questo pubblico, in prima serata hanno successo solo morbosità di cronaca e reality.
Non siamo lontani dalla realtà.
Tuttavia è giusto chiedersi se Sgarbi sia il protagonista ideale per un programma di buon livello culturale. E qui dobbiamo distinguere il critico dal personaggio. Se da un lato Sgarbi, piaccia o no, ha tutte le carte in regola per parlare di arte, dall’altro la sua frequentazione continua di ogni salotto televisivo in cui si discetta di Avetrana come del Grande Fratello, di sesso come di politica, di veline come di santi, lo rende mediaticamente vulnerabile: perché la sovraesposizione toglie appeal, e un personaggio che si rispetti deve (anche) incuriosire.
Invece di Sgarbi sappiamo tutto, anzi sappiamo tutto di ciò che Sgarbi sa.
Il programma su Raiuno doveva essere il contrappeso alla tv di sinistra, la celebrazione della fulgida cultura nazionale, un kolossal costosissimo, il nuovo modello di televisione di qualità.
Gli italiani non l’hanno guardato. Probabilmente perché non era scritto bene, probabilmente perché preferivano qualche tetta e qualche culo, probabilmente perché a nessuno piace aprire un pacco in cui c’è scritto “sorpresa” e trovarci dentro la solita bottiglia di whisky avanzata da Natale.

Magris, parole di peso

Ieri Claudio Magris ha detto sottovoce, a Che tempo che fa, quello che milioni di italiani tentano di dire sbraitando (ma nemmeno tanto): sulla politica, sull’etica, sulla buona educazione, sulla cultura. Se ve lo siete persi qui c’è il link.

Autobiografia

Per la prima puntata del suo nuovo programma su Raiuno (“Il mio canto libero” dal 18 maggio), Vittorio Sgarbi ha scelto come argomento Dio. Evidentemente partire con un’autobiografia gli dà sicurezza.

La tv di Barbara D’Urso

Barbara D’Urso è una signora che sta in televisione, su Canale 5, e parla sempre fissando i confini della sua proprietà. Dice “il mio programma”, “il mio pubblico”, “il mio amico”, “la mia idea”, “il mio libro” e così via. Un approccio del genere non lo aveva neanche Raffaella Carrà in Canzonissima: e sì che la Carrà allora poteva permetterselo.
Sappiamo bene che non è l’uso sconsiderato dell’aggettivo possessivo che può creare indignazione. Il riferimento alla persona (specie se la propria) è ormai il dato emergente di un qualsiasi concetto  in un’Italia che è sempre più loro, con leggi sempre più sue e cazzi sempre più nostri. Quindi la D’Urso è ben allineata con l’andazzo del Paese.
Ciò che colpisce è invece l’ambito nel quale il culto della proprietà viene espresso: la televisione, cioè il luogo d’origine di ogni comunità più o meno virtuale, il simbolo della popolarità, il germe della moltitudine.
La D’Urso non ha niente di esclusivamente suo in quel programma, a cominciare dal merito per cui le è stato affidato uno spazio quotidiano.
C’è una sola persona che in tv può usare la parola “mio”. E non è la D’Urso.

L’emergenza del bacio

Il leghista Massimo Polledri chiede alla Camera che dalla prima serata della tv vengano banditi baci e sesso esplicito tra omosessuali ed eterosessuali. Obiettivo: proteggere i bambini.
La crociata di Polledri, che è un neuropsichiatria infantile e che quindi ha dimestichezza con l’argomento, ha un solo difetto: è antica.
Da decenni, la volgarità e la crudezza televisive non sono più legate solo al sesso. L’overdose di reality show, come più volte ho scritto, rappresenta una vera emergenza di questo Paese.
Ci sono urla nell’Isola dei famosi e nel Grande Fratello, per citare solo due programmi, che sconvolgono più di un amplesso spinto. Assistiamo a risse nei talk show che rappresentano una vera pornografia cerebrale. Siamo costretti a sorbirci ragionamenti, negli spazi di approfondimento e in certi tg, che conducono dritti verso i peggiori istinti.
E allora? Allora cerchiamo un parlamentare che spieghi all’onorevole Polledri che i baci e il sesso in prima serata non sono certo emergenze di questo Paese. La morte violenta della ragione, sì.

Rai, equilibri ed equilibrismi

Il nuovo piano per “democraticizzare” la Rai prevede la rotazione dei conduttori, una prima serata a quello di sinistra, una a quello di destra, uno a quello di centro e così via.
Il concetto che passa è quello dell’equilibrio, ma in realtà dovrebbe essere quello dell’equilibrismo. Da abbonato Rai non me ne frega niente della patente politica del giornalista o del presentatore. A me interessa la qualità di un programma, nient’altro.  Vedere in tv gente moderata che non sa che caspita dire davanti a una telecamera (basta fare un po’ di zapping nel pomeriggio) è umiliante. A certi trombonazzi della politica importa solo che sia rispettata la par condicio, ma se poi si uccide la professionalità non accade nulla di grave. C’era un famoso giornale, specializzato in figure ridicole, che più di una volta attaccava i suoi articoli con la replica a un’accusa che ancora il lettore non conosceva. Ecco, la Rai di domani sarà così: piena di anti-Santoro che infarciranno il palinsesto di anti-Annozero e che non diranno nulla di particolare, ma lo faranno con grande equilibrio.

Al servizio di Jack Bauer

La scorsa settimana, approfittando della pausa forzata impostami dall’influenza, ho divorato una cinquantina di episodi della fortunata serie televisiva americana “24”, la cui peculiarità  sta nel raccontare in tempo reale quel che accade nell’arco delle 24 ore di azione: ogni episodio dura virtualmente un’ora al netto delle pause pubblicitarie debitamente sottratte al computo totale, come se durante i consigli per gli acquisti i protagonisti del telefilm non restassero con le mani in mano.
La narrazione è incentrata sull’attività di un’unità antiterrorismo di Los Angeles (che verrà trasferita, a serie inoltrata) e sulla figura carismatica dell’agente Jack Bauer, interpretato da Kiefer Sutherland.
La forza della sceneggiatura sta nell’immaginare che una persona possa, in un solo giorno, sopravvivere a un’esplosione nucleare, farsi torturare, cadere con un aereo, risolvere i problemi di una figlia imbecille, combattere contro i terroristi, tendere un agguato a un esercito di rivoltosi, beccarsi un paio di arresti cardiaci, piangere una donna assassinata e non fermarsi mai neanche per andare in bagno.
Cazzate, direte voi. Invece gli americani ci insegnano che l’inverosimile, se raccontato bene, riesce a tenere incollati davanti alla tv più del plausibile.
Terminata la prima tornata di dvd, io e mia moglie ci siamo rivolti come due tossicodipendenti che chiedono una nuova dose all’amico che ce li aveva prestati. Lui, con malcelato sadismo, ha messo sul tavolo sette serie, per un totale di 168 episodi.
A casa nostra in questo momento siamo schiavi di Jack Bauer.

I single e il Kinder Bueno

A Pomeriggio Cinque va in onda un servizio su come andare a caccia di single al supermercato. Una bionda ben in carne (potrebbe essere una “famosa”, ma io non so chi sia) urta i maschietti con la scusa di attaccare bottone.
Il dubbio che mi assale riguarda il perché la tv si ostini a considerarci tutti idioti ed è secondo, per importanza, a quello sul Kinder Bueno: perché mai Andrew Howe non si tromba l’amica starnazzante che invade casa sua a tutte le ore del giorno con la scusa di mangiare a scrocco?

Come bin Laden

Silvio Berlusconi riappare in un videomessaggio di pochi minuti che involontariamente spiega tutto. Non c’è alcun accenno a un chiarimento, ma solo un ringhioso rimando a questioni procedurali (il giudice naturale, come se l’alternativa fosse quello artificiale) nelle poche parole imposte agli italiani senza la caratteristica basilare delle democrazie: quel contraddittorio che invece viene invocato per tentare di tacitare stampa e programmi televisivi non allineati.
Non capisco come un elettore berlusconiano possa ancora trovare fiducia in un uomo che non solo ha tradito tutte le aspettative di media onestà intellettuale, ma continua a offendere gli italiani con una semplice frase: “Non sono mai fuggito”. Il dato incontrovertibile, acclarato da leggi, lodi, procedimenti, sentenze è che Berlusconi è sceso in campo proprio per (s)fuggire (a) da qualcuno o qualcosa. I comunisti, i giudici, Cosa nostra, gli ex amici/sodali.
Non c’è una virgola dei suoi discorsi che possa convincere una persona di buona volontà. L’ultimo fesso che si è fidato di lui si è visto spacciare una ragazzina di dubbia moralità, beccata quasi in flagranza di reato, per la nipote di un capo di Stato (ora pure lui in disgrazia, magari c’è anche un problema di iella…).
Berlusconi invoca la libertà di telefonare a chi vuole e cerca di coinvolgere gli italiani in una  pantomima grottesca. Anche gli stupidi sanno che chiunque è libero di chiamare chi vuole, ma che nessuno può ritenersi al di sopra della legge. Piuttosto se uno parla sempre con le persone sbagliate, è chiaro che prima o poi finirà per essere intercettato. L’importante è che alla fine trovi il modo per spiegare, per discolparsi, per chiarire, al limite per scusarsi.
Lui invece continua a ridicolizzare un Paese e di tanto in tanto, in preda a una irresistibile polluzione di democrazia, manda qualche videomessaggio di propaganda. Praticamente come Osama bin Laden.

Tuut, tuut, tuut…

Il presidente del Consiglio non frequenta i salotti televisivi ad eccezione di quello di Bruno Vespa, dove va a firmare contratti con gli italiani e a spiegare perché sua moglie lo ha mollato pur essendo lui un uomo probo, ma irrompe telefonicamente in tutte le trasmissioni in cui si parla di lui e delle sue accompagnatrici (travestite da deputate, sottosegretarie, consigliere provinciali, poliziotte, infermiere, cubiste e così via), spara sul conduttore e chiude la comunicazione in attesa che un nuovo programma televisivo cerchi di parlare di lui e gli consenta una nuova scenata con imprecazioni, frizzi, lazzi e immancabile finale di telefono sbattuto in faccia, tuut, tuut, tuut…

P.S.
Tra poco, vedrete, spunterà una testimonianza di un’amica/fidanzata/governante che dirà che il premier non si è mai sognato di chiudere la comunicazione come un maleducato, ma semplicemente gli scappava la pipì, o aveva il pannolone da cambiare, oppure aveva la minestra sul fuoco.