Il signor Marino Pietro, consigliere comunale di destra di Mazara del Vallo ha un’idea per superare gli steccati delle ideologie, anche quelli della realtà a dire il vero, ma questo è un dettaglio ininfluente. Lui racconta la Storia così come andrebbe studiata all’università della vita anzì del vicolo, cioè senza perdersi in tediose letture: la Storia è la sua storia. Così come l’ha sentita dire, lui la diffonde, anzi la elargisce dall’alto del suo scranno comunale. Quando deve difendere l’intitolazione di strade intitolate a fascisti e affini nella sua Mazara, non trova nulla di più opportuno che attingere alla somma verità: perché non lo sapete che i comunisti mangiano i bambini? Della serie: smettiamola con queste odiose discriminazioni tra criminali.Nella sua appassionata difesa delle ideologie, Marino Pietro risolve in un paio di minuti un dibattito secolare: i fascisti furono peggio dei comunisti? Ovvio che no, almeno i primi mangiavano pulito. E trova persino un colpevole vivente: il famigerato “Cin Cin Pin” che in Corea “fucila chi sbaglia ad alzare il braccio”.Non c’è nulla da ridere (e so che chiedo molto) perché la tesi di Marino Pietro è più seria di quanto sembri. La nuova Storia non è più imbrigliata nelle idee di chi la racconta, non servono studi e analisi, basta un’idea fissa, anche balzana per passare alla versione moderna della narrazione dei fatti che è “la storiella”. Tutto molto più agile, per menti sveglie (e stomaci blindati). Manco di un clic sul web c’è bisogno poiché nel mondo dell’indomito consigliere mazarese anche quello è un ricettacolo di luoghi comuni (lo infastidisce il fatto che casualmente ci si incontra persino qualche verità). No, lui è avanti rispetto a tutto e tutti, indipendente e libero. Libero anche di promettere con levità: “Quando ci saremo noi vi spazzeremo”. Parola di Marino Pietro, consigliere comunale di destra di Mazara, salvatore dei bambini (che detta così è perfetta per l’intitolazione di una strada).
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Sgoccioli di pazienza
Due categorie di persone, diverse ma in qualche modo complementari.
1) I genitori di bambini piccoli che vivono il mondo che li circonda come se tutti avessero la loro pazienza. A differenza di tutti gli altri genitori, questi fascisti della procreazione ritengono che il pianeta debba sopportare le loro pene con la stessa soddisfazione con cui loro: si fanno calpestare dai pargoli in ogni momento della giornata; pranzano/cenano in un caos di bambini urlanti che si inseguono; vivono di conversazioni interrotte (a volte mai nate) perché il bimbo ha da dire su tutto e tutti devono inchinarsi dinanzi al suo verbo; ridono quando ci sarebbe da piangere; piangono quando qualcuno glielo fa notare; chiudono ogni conversazione con la frase “tu che ne sai? Tu non puoi capire” solo perché loro si sono riprodotti e tu sei stato più cauto. Sono quelli che in pizzeria, quando il loro figlioletto sfrecciando tra i tavoli con un iPad che non ha campo urta il tuo tavolo e ti rovescia la birra addosso, ti guardano male perché il bambino – poveretto! – che colpa ha se tu, invece di mangiarti un cazzo di pizza, non sei rimasto a casa a rimbambirti di birra e tv lontano dalle gioie della paternità/maternità (e dai miei coglioni rotanti, aggiungo io)?
2) I padroni di cani che vivono il mondo che li circonda come se tutti avessero la loro stessa visione del mondo senza i cani che li circondano. A differenza di tutti gli altri padroni di cani, questi fascisti dell’animalismo abbaiante ritengono che il pianeta debba gioire perché: loro credono in un unico comandamento “più conosco gli uomini, più amo gli animali”, che in linea di massima è un buon principio fino a quando gli uomini non sono costretti, per assioma, ad amare gli animali più dei loro simili; scorrazzano sulla spiaggia ritenendo opportuno che il loro cane scacazzi con impunità; organizzano adunate in cui il guinzaglio è un optional (e se uno di quei “migliori amici dell’uomo” decide di scendere di un grado nella scala dell’affinità e punta ai vostri polpacci, fa proseliti che manco Grillo con la washball e le sue cazzate sui tumori…) ; la libertà è un cane felice di cui gli umani sono raramente degni.
Ora, sia per i genitori accecati da un affetto invadente che sarà solo loro quindi quantomeno deleterio per il pargolo, sia per i padroni di cani che guardano il guinzaglio come uno strumento di costrizione o peggio di tortura, vale l’antico insegnamento di Plauto sulla prudenza: “Guarda il topo, che animale sagace. Non affida mai la sua vita a un solo buco”.
Fidatevi, il mondo non ha la vostra stessa pazienza selettiva. Esistono genitori e appassionati di cani che potrebbero mettere in allarme persino il più distratto dei profiler.
Una cazziata in più al bimbo rompicoglioni e una cacca in strada in meno del vostro amato cagnolino faranno più bene a voi che a noi, umani senza figli e senza quadrupede da ostentare.
Alla fine viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma ognuno ha il suo guinzaglio.
Un pugno nello stomaco
Con coraggio Il Post ha scelto di pubblicare le foto atroci del bombardamento chimico in Siria. Per un semplice motivo: nell’era della post-verità o di quella che potremmo chiamare veritezza, cioè un surrogato di verità che soddisfa solo le nostre aspettative, è fondamentale riprendere in mano il pallino della realtà. A Khan Sheikhun c’è stato davvero un attacco chimico. E ci sono state decine e decine di morti, molti dei quali bambini. Nonostante il governo siriano abbia negato ogni responsabilità, molti testimoni sul campo – di agenzie attendibili come Getty Images e Associated Press (tra le più importanti del mondo) – dicono che l’attacco è stato compiuto dal governo del presidente Bashar al Assad o dalla Russia, suo alleato di ferro.
Questa foto è un pugno nello stomaco. E mi faccio quasi ribrezzo nel pubblicarla. Però può servire a ristabilire una verità.
Ne parlo anche qui. Ascolta il podcast.
Favorisca i documenti
L’emergenza del bacio
Il leghista Massimo Polledri chiede alla Camera che dalla prima serata della tv vengano banditi baci e sesso esplicito tra omosessuali ed eterosessuali. Obiettivo: proteggere i bambini.
La crociata di Polledri, che è un neuropsichiatria infantile e che quindi ha dimestichezza con l’argomento, ha un solo difetto: è antica.
Da decenni, la volgarità e la crudezza televisive non sono più legate solo al sesso. L’overdose di reality show, come più volte ho scritto, rappresenta una vera emergenza di questo Paese.
Ci sono urla nell’Isola dei famosi e nel Grande Fratello, per citare solo due programmi, che sconvolgono più di un amplesso spinto. Assistiamo a risse nei talk show che rappresentano una vera pornografia cerebrale. Siamo costretti a sorbirci ragionamenti, negli spazi di approfondimento e in certi tg, che conducono dritti verso i peggiori istinti.
E allora? Allora cerchiamo un parlamentare che spieghi all’onorevole Polledri che i baci e il sesso in prima serata non sono certo emergenze di questo Paese. La morte violenta della ragione, sì.
Bambini
di Gianni Allegra
I bambini abruzzesi
Ho un ricordo. E’ il mio quinto compleanno, abbiamo mangiato i tortellini e la torta con la panna. I miei mi hanno regalato un organo Bontempi, bianco e arancione, coi tasti numerati e soprattutto con una ventola che ronza come un phon. Mia madre ha un pancione che annuncia la nascita imminente di mio fratello. Si va a letto presto, domani è lunedì.
Nel cuore della notte, in una notte che si sarebbe rivelata con poco cuore, mio padre mi strappa dal letto. Fuggiamo da casa perché qualcosa di terribile è accaduto, sta accadendo o forse accadrà. Io non capisco niente: non sono preoccupato, forse l’imprevisto mi eccita pure.
Saltiamo sulla nostra Fiat Millecento e partiamo per una breve corsa. Il piazzale dello stadio è il nostro rifugio, a un chilometro da casa. Rifugio. La parola mi resta dentro. Come fa ad essere rifugio un luogo aperto? I bambini passano il tempo a costruire case con cartoni, sedie, coperte, tavoli. Un rifugio senza tetto che senso ha? E’ l’unico interrogativo – e anche il solo elemento di angoscia – che mi rimane dell’esperienza breve e indiretta di terremotato: il massacro avvenne infatti un centinaio di chilometri più in la, nel Belice. Notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968.
Ecco, il mio auspicio è che quanti più bambini abruzzesi possano ricordare la loro lunga notte con un semplice ingenuo ricordo: un rifugio senza tetto che senso ha?
Poi, speriamo presto, si torna a casa.
Il buio del parcheggio – 2
“Buonasera, come sta?”
“Male signora, male”.
Era un po’ di tempo che non lo vedevo, il posteggiatore – gentiluomo. Quello a cui, dopo una brutta avventura e un’accurata indagine di mercato, affido la macchina.
“Sto male signora – prosegue – Mi ho lasciato con mia moglie”.
“Mi dispiace, è stato per l’aborto?”.
Il posteggiatore in questione aveva raccontato a me e a all’intero quartiere che la consorte, incurante del suo parere contrario, voleva “fare l’aborto” del secondogenito.
“Sì – risponde – Ora vive dai suoi genitori. Io il 18 marzo sono tornato a casa e non ho trovato niente. Si era portato tutto: dalle fotografie ai vestiti del bambino. Ora ha messo in mezzo l’assistente sociale”.
“Perché?”.
“Perché ho fatto una sciocchezza: mi ho impiccato”.
Lo osservo con la curiosità di chi vede per la prima volta il viso di un suicida fallito.
“E chi l’ha salvata?” domando.
“Un mio amico. Io gli avevo mandato un messaggio dicendo di salutarmi tutti, compresa la mia sposa, e che la mia vita era finita. Così lui è arrivato a casa mia, ha spaccato il vetro di una finestra e mi ha preso. Se ritardava un attimo, morto mi trovava”.
Quando mi consegna le chiavi della macchina chiedo: “Il bambino, adesso lo vede?”.
“Lo vedo di nascosto all’assistente sociale”, mi dice sottovoce.
“E se sua moglie se ne accorge?”
“Mia moglie lo sa. E’ d’accordo con me”.
Non ci capisco nulla e vado. Mentre sento che un altro automobilista lo saluta: “Peppe, come stai?”
“Male. Mi ho lasciato con mia moglie e mi ho impiccato”.