La signora o signorina Mrazova

Una tale Ivana Mrazova sarà strapagata per affiancare, da sola, Gianni Morandi al Festival di Sanremo dopo che una tale Tamara Ecclestone si era offesa per non essere trattata da perfetta sconosciuta qual è. Solo che ci deve essere stato un difetto di comunicazione tra il manager della starlette e i lungimiranti funzionari della Rai perché la signora o signorina Mrazova, non sapendo cos’è il Festival della canzone italiana, ha immediatamente dichiarato ai poveri cronisti incaricati di spremere acqua dalle pietre che lei la canzone italiana proprio la detesta.
Il bello è che anche questo minimo episodio ci dà conferma che viviamo in un Paese in cui nessuno si scandalizza più di nulla, un Paese emancipato anche nelle minchiate. Il brutto è che la signora o signorina Mrazova condurrà davvero il festival di qualcosa che odia apertamente.

P.S.
Spunto per i poveri cronisti che devono spremere acqua dalle pietre: chissà che ne pensa Tamara Ecclestone…

Auditel, buone notizie

I dati Auditel di febbraio ci dicono che Canale 5 è in netto calo e che crescono Raidue, Raitre e La7. Raiuno è in piena emorragia di telespettatori, nonostante febbraio sia il mese di Sanremo.
Su Raidue pesa l’effetto Santoro, dato che è la prima serata quella che segna il maggior incremento. Raitre e La7  vedono premiata la loro programmazione attenta.
Secondo me, sono tutte buone notizie che fanno il paio con il tonfo dell’Isola dei famosi, di cui parlavamo qualche giorno fa.
Una televisione con meno reality, più fiction e più approfondimenti spingerebbe molti di noi a riconciliarci col telecomando.

Lezioni di satira

E’ molto istruttivo assistere alla satira telecomandata del terzo millennio. Un paio di comici hanno un’idea così così e prendono in giro il premier durante il festival nazionale del cazzeggio ugolante, cioé nel corso della manifestazione che più di ogni altra celebra la grandezza del finto effimero, dell’arte canora.
Il megadirettore di rete, una via di mezzo tra un cecchino e il dentista de Il maratoneta, li richiama all’ordine. La satira non si fa così, ma così: cioé un giorno si prende per il culo il capo, e un altro si sfottono i poveracci che stanno sotto il capo. Praticamente la negazione non solo della satira, ma di qualunque anelito di creatività.
Fermiamoci un attimo:  cosa volete che gliene freghi a un manipolo di lottizzati, raccomandati, prostituti o prostituibili della libertà di satira (che è l’indicatore di civiltà di un Paese)? Quelli devono sbarcare il lunario, magari concedendosi un extra pseudo- governativo, e tenere ben calda la poltrona.
Io trattengo ancora il fiato fin quando non potrò esplodere in una pernacchia liberatoria. Ho buona volontà e polmoni forti. Del resto ho anche smesso di fumare…

Bella e basta

Per Belen un’estate di nubi. Le vogliono togliere la conduzione di Sanremo, i contratti pubblicitari e il diritto di cittadinanza televisiva in generale. Tutto perché è stata coinvolta nell’inchiesta milanese sulla cocaina.
In tv e sui giornali si discute sulla possibile riabilitazione pubblica, sulla resurrezione dell’immagine di chi ha avuto a che fare con la droga. Speriamo che un giorno si discuta anche del perché una bella ragazza – bella e basta – che parla un italiano goffo con una brutta voce, che non ha idea di cosa sia la recitazione e che in fondo non sa far nulla a parte che mostrarsi, debba presentare il festival di Sanremo, pubblicizzare i prodotti italiani e monopolizzare salotti, divanetti e seggiole di ogni trasmissione televisiva di questo Paese.

Nonostante il suo sedere

Nella vicenda della coca nei locali della movida milanese, spicca la figuraccia del sindaco di Sanremo, e non per la droga ma per lo spaccio di minchiate. Prima dichiara guerra a Belen, nonostante “il suo sedere particolarmente bello”. Poi, dopo essersi informato (operazione che di solito andrebbe svolta prima di dichiarare),  corregge e anzi elogia la professionalità della modella. Il tutto senza un briciolo di imbarazzo.

La domanda scema

Nelle polemiche sul televoto di Sanremo e sull’utilità degli esercizi di democrazia diretta c’è da irrompere con una domanda scema: chi l’ha detto che sulle scelte prese a maggioranza non si deve sindacare?
Quando svaniranno i fumi dell’oppio politico che ammorbano questo Paese, che annebbiano lo sguardo davanti ai guasti del “gusto corrente”, che confondono la quantità con la qualità, forse si potranno ricominciare a valorizzare le nicchie, i penultimi, i cantori rauchi.
E finalmente si potrà affermare che l’arte non c’entra nulla con la sovranità popolare. Le penne, i pennelli, gli archi, le ugole, gli scalpelli torneranno a fare il loro mestiere: stupire, sgretolare il muro delle consuetudini, raccogliere i fischi di un pubblico libero.
Allora tornerà la domanda scema: chi l’aveva detto che sulle scelte prese a maggioranza non si deve sindacare?
Risposta: nessuno che sia ancora al suo posto.
Sarà un bel giorno.

Scatole cinesi

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Due parole sulla vera natura del Festival di Sanremo nel 2010.
Guardate i finalisti. Valerio Scanu. Proveniente da una trasmissione tv: “Amici” di Maria De Filippi. Marco Mengoni. Proveniente da una trasmissione tv: “X Factor”. Emanuele Filiberto, Pupo e il tenore (quest’ultimo la vera vittima dell’operazione “Italia amore mio”: nessuno lo ha salutato, nessuno si ricorderà il suo nome e sembrava lì per fare le pulizie). Provenienti da trasmissioni televisive come “Ballando sotto le stelle”, “Affari tuoi” e “I raccomandati”.
Vince Scanu, complice un duetto in semifinale con Alessandra Amoroso (ri-“Amici”) che deve aver procurato un corto circuito percettivo a molte menti dell’Italia mediasettizzata: a un certo punto sembrava di essere nel programma canterino-danzereccio di Canale 5. Pupo e Filiberto arrivano secondi (“Ballando sotto le stelle” ha meno share di “Amici”). Terzo Mengoni (“X Factor” resta un programma per palati un po’ più fini, quindi perdente al televoto). Lo spettacolo dell’Ariston non è altro che una grande, infinita finale di altre finali tv, ormai. L’ultimo cofanetto di un allucinante gioco di scatole cinesi, ampolla terminale di un velenoso sistema di vasi comunicanti. Meritava di vincere Mengoni, ma anche tanti altri eliminati e subito digeriti perché non televisivi. Un consiglio per gli acquisti: che l’anno prossimo conduca direttamente la De Filippi. Si risparmia in trasferte.

Cantatemele

Per la prima volta quest’anno sono riuscito a ignorare del tutto il Festival di Sanremo: nel senso che non ho neppure acceso il televisore. Spero di resistere sino alla fine: non a caso mi invento impegni lavorativi in prima serata.
Però, siccome non sono un virtuoso, devo ammettere che un po’ di curiosità c’è.
Ditemelo in un orecchio: che mi sono perso sinora?

Sanremo 2010

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Italia amore mio

(di Enzo Ghinazzi – Emanuele Filiberto – Enzo Ghinazzi)

(Pupo) Io credo sempre nel futuro, nella giustizia e nel lavoro,
nel sentimento che ci unisce, intorno alla nostra famiglia.
Io credo nelle tradizioni, di un popolo che non si arrende,
e soffro le preoccupazioni, di chi possiede poco o niente.

(E. Filiberto) Io credo nella mia cultura e nella mia religione,
per questo io non ho paura, di esprimere la mia opinione.
Io sento battere più forte, il cuore di un’Italia sola,
che oggi più serenamente, si specchia in tutta la sua storia.

(L. Canonici) Sì stasera sono qui, per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio.
Io, io non mi stancherò, di dire al mondo e a Dio, Italia amore mio.

(E. Filiberto) Ricordo quando ero bambino, viaggiavo con la fantasia,
chiudevo gli occhi e immaginavo, di stringerla fra le mie braccia.

(Pupo) Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente,
ma chi si può paragonare, a chi ha sofferto veramente.

(L. Canonici) Sì stasera sono qui, per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio
Io, io non mi stancherò, di dire al mondo e a Dio, Italia amore mio

(Pupo) Io credo ancora nel rispetto, nell’onestà di un ideale,
nel sogno chiuso in un cassetto e in un paese più normale.

(E. Filiberto) Sì, stasera sono qui, per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio.

La musica non ha bisogno di parole. E questa meno che mai.

Il naufragio del pirata Morganetto

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Ve l’ho raccontato: stavo rischiando di diventare un fatto di cronaca solo per essere andato a cambiare due biglietti per il concerto di un cantante. Ci sarebbe stato un “caso Cacciatore”. Invece i quotidiani di questi giorni sono pieni di un “caso Morgan”. Che, guarda caso, è anche il musicista per il quale ho prenotato due poltrone in seconda fila. Questo la dice lunga sulla simpatia che nutro per l’artista in questione. Sarà che, in un rigurgito adolescenziale che male non fa, un poco mi identifico con il personaggio che è un frullato di “alto” e “basso”: compositore ossessionato dai dettagli e strimpellatore stonato in tv, alchimista e pasticcione, marchese De Sade e marchese del Grillo, Baudelaire e Tino Scotti. Dopo l’avvilente confessione del suo uso quotidiano di crack, ho trovato un ulteriore punto di contatto tra me e il Castoldi. Certamente non nel consumo di droga, ma nello sfoggio di una sincerità inutile, ovvero utile solo a danneggiare se stessi. E, quello che è peggio, efficacissima a portare acqua al mulino di personaggi molto meno ingenui, molto più in malafede e “malamente adulti” del bambino ciarliero Morgan. Gasparri, La Russa, Mussolini – che non vedono l’ora di poter indossare il cipiglio di madri e padri della nazione infante –  insorgono contro l’osceno Morgan che ha mostrato il pisellino. Mamma Rai lo manda a letto senza cena e senza Sanremo. L’atto culminante di questa vicenda pedagogica e patologica sono i rimproveri in diretta radio della ministra Meloni a un Morgan ridotto a Morganetto, che, tra un’invocazione d’aiuto e d’attenzione e l’altra, sussurra tra le righe: “non lo faccio più”. Probabilmente lo perdoneranno, e lo riporteranno alla riviera dei fiori, all’improvviso trasformata in un inginocchiatoio con i ceci. E, se non dovesse accadere, sono davvero curioso di scoprire chi prenderà il posto di Marco Castoldi. Spero che non siano davvero Marco Carta e altri fiori del male della De Filippi che Morgan ha giustamente criticato. Comincerei a sballarmi anch’io.