Che la notte porti consiglio

Appello di Berlusconi a Futuro e Libertà: “Che la notte vi porti consiglio”. Ora, che un capo del governo un tempo spocchioso e sicuro di sconfiggere personalmente una malattia come il cancro (il che vale infinitamente di più sul piano delle panzane rispetto al milione di posti di lavoro e al ponte sullo Stretto) sia ridotto ad affidarsi alla buona sorte e ai felici sogni degli ex alleati, la dice lunga sul suo stato di salute (mentale).
Siamo alle preghiere, ai fioretti, ai bigliettini sotto il cuscino.
Se non fate i bravi a Natale niente regali, e il 6 gennaio solo carbone dalla Befana.
Non mi faccio illusioni: oggi potrebbe essere una giornata importante per il futuro di questo paese, però prudenza impone di coltivare la sana diffidenza sin quando il nemico è fuori di casa e la porta è ben chiusa.
Io per scaramanzia ho dato due giri di chiave. Se citofonate e volete che vi apra vi serve la parola d’ordine. Vi sentirete chiedere: con cosa fa rima Capezzone? Ecco, la risposta è la parola d’ordine.

Cervello Fini


Il succo è che Fini si mostra come l’unico politico (e non) in grado di mettere alle corde Berlusconi. Perché conosce i suoi punti deboli, perché ha costruito con lui un partito per mascherarli, perché è stato satrapo e nemico al tempo stesso, perché non c’è peggior nemico di un ex migliore amico.
Fini sa di avere il ruolo più comodo che un oppositore possa immaginare, quello di leader ragionevole esautorato da una maggioranza irragionevole, e si auto-nomina cavallo di Troia del centrodestra.
Il discorso di Mirabello passerà alla storia perché è di un sofismo meraviglioso (ho sempre subito il fascino dei sofisti). Dentro c’è tutto: il federalismo e i vizi del capo, i giovani e le forze dell’ordine, i giornali e il Tg1, la legge elettorale e la giustizia, la scuola e Gheddafi, la Lega e Almirante.
Fini gioca (e vince) sullo stesso tavolo del suo antagonista: la comunicazione. E’ più bravo di Berlusconi perché sa deragliare con misura, segue un copione sapendo che ogni improvvisazione gli costerà cara. Non urla con la mascella volitiva in fuori, non generalizza, non cerca il consenso plebiscitario. Sa che Mirabello non è l’Italia, ma sa anche che Montecitorio non è più la roccaforte del Nuovo Duce.
Si toglie tutti i sassolini dalle scarpe e non schiuma mai di rabbia: se l’autocontrollo fosse un parametro di una nuova legge elettorale lui vincerebbe a mani basse.
Tutto ciò ovviamente non fa di lui l’uomo nuovo, il faro dell’Italia che spera. Però a vedere Fassino che commenta incerto il discorso come se fosse una vittoria sua, e Gasparri rintronarsi con un inusitato riferimento alle bandiere dei movimenti gay (Tg1, of course), c’è da ricordarsi che quando la situazione è drammatica anche gli aiuti insperati possono essere determinanti.
Se si votasse adesso, Fini rischierebbe di raccogliere più consensi a sinistra che dall’altro lato.
Alle prossime elezioni la sua formazione politica toglierà più voti al Pd che al Pdl.
Scommettiamo una birra?