Il partito delle illusioni

C’è un movimento che prende piede nella rete che si chiama #formattiamoilpdl e che, come si intuisce, vuole cambiare il Pdl. Anzi, citando testualmente i promotori, “vuole cambiare in meglio il Pdl”, come se si contrapponesse a un gruppo che lo vuole cambiare in peggio.
A parte l’iniziativa meritoria di battersi per un’idea, c’è però un aspetto molto singolare che va sottolineato. Come si può migliorare un partito che dal suo esordio ha prodotto solo disastri? A quale fonte di ottimismo e buona fede si attinge per sostenere un gruppo di politici che in vent’anni si è occupato esclusivamente di leggi ad personam e di favoritismi?
Il movimento dei “formattatori” ha sicuramente un’intenzione nobile, ma rischia di passare alla storia come quell’architetto che, costruito un immenso castello di sabbia, riuscì ad abitarci sin quando dal cielo non cadde la prima goccia di pioggia. Tutto è possibile, ma non tutto è plausibile.
Il Pdl è il partito col più alto tasso di promesse non mantenute. Serve davvero che qualcuno gli dia la possibilità di vendere altre illusioni?

Il vero difetto della democrazia

Il Trota si dice sereno, e ci mancherebbe altro. Ci mancherebbe un’inquietudine tardiva in un personaggio che di inquietudine ne ha suscitata molta tra gli italiani senzienti.
E’ questo il punto cruciale, l’inquietudine. Tardiva.
Per decenni solo in pochi si sono lasciati turbare dagli aborti della politica, e Renzo Bossi ne è emblematico esempio. Si è considerato normale, peggio fisiologico, che il figlio incolto del leader grezzo di un simil-partito potesse ambire a gestire la cosa pubblica. In nome di chi e cosa? Ma del suo essere figlio, naturalmente.
Se solo in Italia qualche elettore del centrodestra fosse stato più onesto con se stesso, oggi avremmo una nazione con meno storditi al governo. Non mi fate fare altri nomi perché una querela l’ho appena scampata e devo mettere i soldi da parte per pagare la Tarsu fresca fresca di notifica.
Però lasciatemi dire, nel pieno dell’esercizio di critica, che tra quelli che in questo momento stanno provando umanissimo disprezzo nei confronti del Trota e della sua famiglia ci sono molti ipocriti.
Un sistema con un briciolo di garanzie non avrebbe mai consentito a un ignorante di arrivare dov’è arrivato Bossi jr, con la benedizione di un elettorato degli anni Duemila (non la ciurma democristiana degli anni Sessanta, per intenderci). Chi ha votato il Trota è, secondo l’ipotesi più ottimistica, come il Trota. E questo dovrebbe diventare il manifesto della nuova politica. Noi siamo, in fondo, anche chi votiamo.
Il vero difetto della democrazia è che non ha nulla di definitivo contro i cretini.

Faccia tosta

Che in politica ci voglia una certa faccia tosta non è un mistero, e nemmeno un dramma. Dal momento che non esistono uomini per tutte le stagioni, il saper confezionare idee (anche in modo estremo) a uso e consumo dell’elettorato è per un politico una specie di patto col diavolo.
Ma il limite non può non esserci, altrimenti anche il patto più indecente e l’impegno più pericoloso – tipo ritratto di Dorian Gray – si stemperano nel crepuscolo del ridicolo.
E’ quel che accade in questi giorni al segretario del Pdl Angelino Alfano che, vittima di una grave crisi di amnesia o di qualcos’altro che non voglio nemmeno immaginare, ha derubricato la riforma giustizia a problemuccio sollevato dal centrosinistra.
Non so chi sia la mente strategica dei discorsi di Alfano – una ci sarà di certo, in politica nulla si crea e poco si autodistrugge – però siamo di fronte a un campione mondiale di faccia tosta.
Oggi Alfano dice che c’è ben altro a cui pensare che non la giustizia (e la Rai). “Parliamo di banche e di lavoro”, tuona da un tg compiacente.
Ma come, chiederebbe un italiano qualunque, voi che per vent’anni non avete fatto altro che occuparvi di lodi e scorciatoie penali, di plasmare la giustizia sulle esigenze del capo supremo, ora improvvisamente ostentate una verginità? E sempre l’italiano qualunque, se solo avesse voce, domanderebbe senza malignità: lei, Alfano, che ministero occupava sino a qualche mese fa?
Prendiamone coscienza: più di quelli dalla faccia tosta, sono i senza vergogna ad avvelenare il futuro di questo Paese.

Questo partito non è un albergo

Il fake del segretario del Pdl Angelino Alfano mi ha fregato. Ci avevo creduto e, peggio ancora, gioivo per quello che, secondo me, sarebbe stato l’hashtag del secolo: #hounpartitodaportareavanti. Peccato.

Post aggiornato dopo la sua pubblicazione.

Se la Banda Bassotti si scioglie

La rottura drastica tra Pdl e Lega è una di quelle notizie che non andrebbero soltanto diffuse, ma declamate.
Una cosa tipo: “Udite udite, i partiti che per quasi vent’anni hanno fatto finta di essere alleati, i cui leader hanno diluito in cena, dopocena e aperitivo i rispettivi sentimenti di antipatia, i cardini di quella coalizione che ha reso possibile l’impossibile, che ha architettato leggi folli, che si è esibita in una polluzione di condoni, che ha inventato la giustizia pret-à-porter, gli attori di quella tragica messinscena che ha promesso all’Italia un sogno e che invece l’ha fatta precipitare nell’incubo, i personaggi che hanno condiviso rutti estivi e crostate invernali sfilando con canottiere o con bandane davanti ai flash dei fotografi e usando la volgarità come principale mezzo di comunicazione, ecco questi qua oggi hanno gettato la maschera. Sono sempre stati diversi, divisi e lontani, come Caino e Abele, le guardie e i ladri, Fede e Travaglio, Superman e Candy Candy. Sveglia! Stavano tutti insieme per becera strategia. Peggio di un matrimonio di convenienza quando lui, giovane e aitante, prende per moglie una decrepita petroliera texana”.
Solo che in questo caso i parenti della sposa sono sessanta milioni.
Tutti incazzati.

Silvio, che ci canti?

Silvio Berlusconi rilancia, si prepara a una nuova marcia sulla nazione e addirittura tira fuori dal cilindro un nuovo inno. Il passaggio cruciale della fondamentale opera artistica è:

“Noi siamo il Popolo della Libertà, gente che spera, che lotta e che crede nel sogno della libertà”.

Pare che per giungere a questa mirabolante sintesi di note e parole sia stato determinante l’apporto dell’onorevole Maria Rosaria Rossi (chissà se ha anche ballato). Anche se a occhio la rima così ricercata ricorda più Fabri Fibra che una elegante parlamentare (anche se J-Ax minaccia querele per plagio).
Il passato comunque è difficile da dimenticare e il vecchio inno di Forza Italia non andrà mai in soffitta, bensì troverà un posto nei cassetti della storia, quella stessa storia che il testo voleva rimodellare. Si cantava infatti:

“Nella tua storia un’altra storia c’è,  la scriveremo noi con te”.

In realtà l’unica cosa che Berlusconi tentò di riscrivere furono le leggi che interessavano l’orchestra tutta, compreso il direttore. Ma questo è un dettaglio che non può appesantire il volo dell’arte.

Via, via!

Ieri ho visto in tv Daniela Santanché che sbraitava contro il nuovo governo e i comunisti e parlava di economia e si agitava sotto i riflettori e ammiccava davanti alla telecamera con quella sua espressione senza espressione, come un manichino che schiaccia l’occhio a un passante. Diceva, tra le altre cose, che lo spread è ancora alto e che quindi alla base non c’era un problema di governo, che gli italiani meritano di essere governati da chi hanno votato e blablabla.
Solo un occhio attento poteva, però, notare un dettaglio: c’era un frame di nervosismo sul video. C’era la solita Santanchè, insomma, ma con un pizzico d’ansia in più. Un’ansia che, spero, crescerà di ora in ora, di giorno in giorno sin quando non sarà tolto a questa signora ogni potere in più rispetto a un normale cittadino che si spezza la schiena lavorando e che ride o piange con una faccia di sua proprietà.
La Santanché è il simbolo di un’Italia che detesto, che nel mio piccolo ho combattuto e che combatterò sempre. L’Italia degli arrivisti senza talento, degli ammanicati, dei prevaricatori per censo, della plastica inquinante, delle urla senza ideologia. Via, vada via! Che brutta visione.

L’alluvione salva Minzolini

Il Tg1 di ieri sera ha parlato di Berlusconi solo alle 20,15, dopo quasi venti minuti di alluvione di postumi di alluvione di riflessioni sull’alluvione e di seguiti sul post-post alluvione. Insomma, la pioggia e le esondazioni hanno salvato il prode Augusto Minzolini che, di diritto e al netto del suo editoriale, ha declassato le notizie sulla crisi del Pdl e sul conseguente destino di questo Paese ad argomento di secondo piano. Peccato che tutti i più importanti organi di informazione del mondo diano ben altro rilievo ai capricci berlusconiani e alle reazioni delle borse mondiali alle voci, ai sussurri di dimissioni.
Poi Giuliano Ferrara, non contento della bufala diffusa poche ore prima quando aveva dato per imminenti le dimissioni di Berlusconi, ha regalato la più insulsa lezione che ci si potesse aspettare da un ascaro a buon mercato: è bene che trionfi la “politica del lieto fine”, ha detto a Qui radio Londra. E’ chiaro a tutti, anche a chi non vede Ferrara, quale possa essere il lieto fine auspicato dall’elefantino.
Insomma una serata preziosa per gli aspiranti giornalisti: è bastato stare davanti alla tv mezz’ora per imparare come non si fa il mestiere. Se fossi un editore ne farei una dispensa da vendere a caro prezzo.

Manca solo la rivoluzione

Se le farse pubbliche bastassero a innescare le rivoluzioni, in Italia avremmo risolto ogni problema. Persino la crisi di governo, un argomento serio e delicato, rientra nel copione recitato dai quattro attorucoli che ci governano. Berlusconi, con un messaggio indirizzato ai suoi usa toni melodrammatici, Bossi fa finta di accendere una miccia umida, Alfano getta acqua sul fuoco mai acceso. Avanspettacolo, insomma. Continua a leggere Manca solo la rivoluzione

Le donne del Pdl

Per un giorno soltanto sarebbe bello cedere taccuini, tastiere, telecamere e microfoni alle elettrici di Silvio Berlusconi. Per sentire quello che hanno da dire sul loro leader senza chiedere loro niente. E sarebbe istruttivo – quasi scientificamente interessante – capire come si pongono nei confronti di una formazione politica che, scherzando e alludendo, potrebbe un giorno chiamarsi “forza gnocca”. Inoltre avrebbe grande importanza conoscere cosa ne pensano le signore perbene, laureate, colte che sono la base dell’elettorato del Pdl del linguaggio di un premier sboccato e irrimediabilmente fuori registro.
Sarebbe bello lasciarle sfogare, senza commenti aggiunti, senza facili ironie. Per capire se questo Paese ha ancora la possibilità di cambiare rotta e di veleggiare verso un futuro qualsiasi, anche così così, che non sia però occupato militarmente da truppe di corruttori, maniaci sessuali, vecchi bavosi e faccendieri truffaldini.