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Siccome c’è un’odiosa sentenza che mette in dubbio la libertà di chi, come me, scrive con assiduità su un blog, preferisco tacere per oggi. Tanto per togliere elementi a chi vorrebbe accusarci di stampa clandestina.

Lasciate parlare Dell’Utri

Secondo me Marcello Dell’Utri ha diritto di parola in un pubblico consesso, come tutti. Persino Totò Riina, Michele Greco e Leoluca Bagarella (tanto per fare esempi non a caso) hanno potuto dire la loro mentre erano agli arresti.
E sapete perché la penso così? Non per questioni legate alla libertà di parola o ad altre menate che ormai stanno sui libri e non nella vita, ma per un motivo prettamente pratico.
Dell’Utri, come chiunque altro, fornisce con le sue parole un giudizio di se stesso molto più aderente alla realtà di qualunque inchiesta giornalistica o giudiziaria. Insomma più parla, più noi capiamo perché parla.
Quanto ai contenuti, che si tratti di patacche, di reperti storici, di Mangano, di eroi di mafia o di panini con la milza, non ce ne frega un tubo.

Salvate Silvio

Non mi indigno per il Berlusconi che cita Mussolini, ma per il Berlusconi che – dal medesimo pulpito – afferma di non aver potere come presidente del consiglio. E non mi indigno per la sua ennesima menzogna, ma per la sottovalutazione generale della sua capacità di intendere e di volere. Del resto uno che dice che in Italia c’è fin troppa libertà di stampa non va fischiato, ma curato.

Partito dell’odio, ex ante

Volevo scrivere un post sulla libertà d’espressione, sull’articolo 21 della Costituzione, sulla censura, sulla democrazia minacciata, sulla mania di grandezza degli uomini che grandi non saranno mai, sulla freschezza della cultura, sulla vetustà dei diktat, sui telefoni dei potenti, sui telecomandi dei comuni mortali, sull’importanza della storia, sulla vacuità delle promesse spacciate per futuro certo, sulla tv di Bernabei, sul canone, sulle canaglie, sui cani da guardia, su chi dice e ripete “ex ante”, sulla noia del partito d’opposizione, sull’aridità desertica delle idee imposte dall’alto, sulla banda larga, sulla Banda Bassotti, sulla bandana, su Bondi, sulla codardia degli intellettuali, sulla narcolessia di Napolitano, sulla differenza tra una prostituta e un giornalista, sull’improvvisa utilità dell’Assostampa, su Danilo Dolci, sul modello Cina per internet e non solo, su chi critica e non si sbraccia, su chi si sbraccia e non può criticare, sulla Rai, su Raiperunanotte…
Però poi ho letto questa frase di Antonio Gramsci e ho capito qual è il vero “partito dell’odio” al quale bisogna iscriversi.

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

Grazie a Mara Marino.

La scoliosi della democrazia

In Italia, e da nessun altra parte del mondo civile, c’è un capo del governo che si lamenta, con toni da ducetto, della stampa non allineata.
Ai suoi elettori, e agli incoscienti che lo adorano come un Messia, vorrei ricordare che quando la stampa soddisfa il potere è segno che qualcosa non va. Non a caso i nostri padri costituenti – che non erano tutti imprenditori, comunisti e magnacci – vergarono l’articolo 21 della nostra Carta.

Ho lavorato per anni in un giornale molto sensibile al potere e ai cambi di vento. Ricordo la faccia di un giovane cronista che, con le lacrime agli occhi, tornava dalla cazziata di un dirigente dell’epoca (fine anni Ottanta). Motivo? Lo sprovveduto giornalista non era stato sufficientemente prono davanti a un big della politica del tempo. La frase con la quale venne rimproverato fu pressappoco questa: “Non si dice di no a un eurodeputato”.

Ora mi rendo conto che la piaggeria, quando non è connivenza, è come la scoliosi: alla lunga dà problemi.
Quel dirigente se ne è andato da Palermo.
Quel cronista si è ibernato al giornale.
Quell’eurodeputato ha fatto malafine.

La stampa libera dà modo a molti di tenere la schiena dritta. Che è un ottimo modo per prevenire la scoliosi.

La responsabilità dei singoli

La condanna di Google per violazione della privacy in merito al celebre filmato del ragazzo Down ha riaperto il dibattito sui controlli ai quali sottoporre i contenuti del Web.
Dico subito che non sono tra i sostenitori della libertà assoluta di fare e disfare quel che si vuole nella Rete (come nel mondo reale). Sono contro l’anarchia.
D’altro canto so bene che l’alternativa, al momento, sarebbe il modello cinese con filtri e censure persino a livello di router.
Però, per fare un esempio non troppo originale, credo che la condanna di Google sia assimilabile alla condanna di una fabbrica di armi per un omicidio compiuto con le pistole che portano il suo marchio.
Sono inoltre indeciso se andare a fondo della vicenda, indagando sul perché i giudici hanno preferito il reato di violazione della privacy rispetto a quello di diffamazione o di istigazione alla violenza, o se derubricare il tutto a improvvisazione giuridica. Per comodità scelgo la seconda opzione: c’è meno da spiegare e per di più oggi mi sento stanco.
Il vero problema è la responsabilità dei singoli. Argomento intoccabile in questo Paese perchè ogni volta che lo si invoca, il singolo per eccellenza (cioè il capo di tutti i singoli, veri, presunti, onorevoli e disonorevoli) grida al complotto. Eppure basterebbe fare in modo che su internet ognuno sia riconoscibile, abbia un codice a barre, una targa, per evitare certe penose rincorse legislative e certi aborti giuridici. Voglio vedere poi se qualche idiota ha ancora il coraggio di postare un video con un ragazzo Down picchiato e umiliato.
La libertà non ha nulla a che fare con l’anonimato. Le rivoluzioni, se proprio vale la pena di farle, si fanno a volto scoperto e coi propri nomi.

Giornalisti o posteggiatori?

parcheggio

Quale può essere la qualità dell’informazione se il maggiore giornale dell’Isola, il Giornale di Sicilia, paga per un articolo 2,10 euro?
Pensateci bene: tra telefonate, sopralluoghi e tempo di scrittura un cronista arriva a guadagnare in mezza giornata (quando va bene) quanto un posteggiatore abusivo prende in un paio di minuti.
Ci si sbraccia e si pontifica per la libertà di informazione, si raccolgono firme, ci si scaglia contro i nemici istituzionali della verità. E, come spesso accade, ci si distrae mirando in alto quando il bersaglio è rasoterra.
Se la libertà di informazione non ha prezzo, è giusto però che abbia un costo. Molti editori hanno costruito fortune sulla buona fede e sull’ingenuità di giornalisti e aspiranti tali. Il concetto secondo il quale uno che scrive su un giornale è un privilegiato, quindi brilla di luce riflessa e non c’è bisogno di pagarlo, andrebbe inserito nel codice penale. Nel senso che spacciare per sfogo di orgoglio personale il frutto di un lavoro faticoso (e a volte rischioso) dovrebbe essere un reato come lo è vendere pasticche di ecstasy travestite da Baci Perugina.
I frutti della politica dell’informazione low-cost sono sotto gli occhi di tutti: trasmissioni a tasso di intelligenza zero, atti di killeraggio mediatico per mano di oscuri praticanti, appiattimento sulle posizioni dominanti senza rimorsi.
La morale è, come spesso accade, figlia di un ragionamento scontato: le cose pregiate costano, quelle così così no.

Il silenzio dei blogger

C’è una corrente di pensiero secondo la quale la giornata di silenzio dei blogger contro il Ddl Alfano è stata inutile o controproducente. Lo slogan di questa anti-protesta è: urliamo contro chi vuole ridurci al silenzio.
Strategia opposta rispetto a quella adottata ieri da centinaia di blogger in tutta Italia.

Ho aderito, e molti di voi con me, alla mobilitazione silenziosa contro un provvedimento che traveste da regola democratica un insieme di cavilli liberticidi. Un esempio per tutti: l’obbligo di rettifica in tempi ristrettissimi (48 ore) quando capita nel week-end o in momenti in cui il blog è sguarnito (del resto il blog non è una testata giornalistica e non c’è alcun vincolo di presidio) diventa un trappolone. Infatti il potente di turno – forte di avvocati e consulenze, magari a spese della collettività – può far leva su un’imperfezione della vostra critica per farvi condannare al pagamento di cifre enormi.
L’esigenza di un maggior equilibrio è una scusa per tagliare le gambe all’unico sistema di circolazione di idee libere che attualmente esiste in questo Paese. L’equilibrio vero infatti lo si trova pesando le parti sui due piatti della bilancia, e non truccando la stessa. In realtà – ma questo nessuno lo dice – quando si vive in un sistema governativo blindato nei suoi mezzi d’informazione e nelle sue maggioranze bulgare, è difficile che qualche blog non allineato possa costituire un pericolo per la democrazia.

Protestare contro chi per raggiungere un finto equilibrio vuol cambiare gli strumenti e le unità di misura è opera quotidiana di questo e di moltissimi altri blog. Se per un giorno abbiamo voluto cambiare modalità di protesta non è certo per stanchezza, vigliaccheria o follia.

Mettiamola così: uno dei maggiori strateghi politici degli ultimi secoli è riuscito a bloccare eserciti e a mettere in crisi immensi apparati politici scardinando gli schemi della lotta sociale. Si chiamava Gandhi e faceva tremare il nemico quando imponeva ai suoi di fermarsi e di sdraiarsi per terra. Non sarà il nostro caso però, coi fulgidi esempi di moderni condottieri che la cronaca ci impone, citare una figura di tale livello fa bene al cuore, no?

Io detesto

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

di Verbena

Chi fa la fila e mormora tutto il tempo contro quelli che vengono prima.
Chi si vergogna del suo dialetto e poi sbaglia i congiuntivi.
Chi predica la libertà ma poi giudica dalle apparenze.

I signori che non fanno mai centro e si dichiarano moderati.
Le signore all Burberry: per loro la vita è tutta un check.

I taccagni.
I duri e i puri.

Lo smalto nero sulle unghie.
I profumi vanigliati.
Il bagnoschiuma alla menta.

L’odore della minestra nelle mense.
Le melanzane fritte in spiaggia, con 40 gradi all’ombra.

Quelli che scambiano il rigore per snobismo.
Quelli che credono di avere capito tutto dell’amore.