Tale e quale

“Vita, conquiste, battaglie e passioni di un uomo politico unico al mondo”. Da oggi sul quotidiano Libero (di nome) pubblica la biografia a puntate di Silvio Berlusconi.  Stando ai sondaggi dovrebbero esserci le truppe cammellate alle edicole.

Sembra

che, a causa di uno sciopero dei giornalisti, domani E-Polis Palermo non uscirà.

Giochi (tristi) di parole

la-rep

Comunque mescoliate le parole di questo titolo, il senso non cambia.

Esempio:
Metro, posti riservati a Franceschini
I milanesi: ecco i razzisti

Oppure:
In Libia Franceschini, Maroni felice
I migranti: ecco i razzisti

Oppure ancora:
Libia, posti riservati a Maroni
I razzisti: ecco i migranti
In metro i milanesi: Franceschini felice

Mainstreaming

tombstone-netscapeNon sono un pioniere di internet, ma neanche un novellino. Bazzico il web da poco più di dieci anni e ho fatto i gradini uno per volta: Altavista, i modem “a carbone”, Netscape, Icq, Napster, i primi blog bicromatici…
Ciò che mi ha subito affascinato della Rete è stata la vastità di argomenti a me sconosciuti. Navigare o, come si diceva un tempo, surfare era come muoversi con un aratro in un terreno sconosciuto: non sapevi mai quello che veniva fuori tra le zolle e l’unico effetto garantito era quello della sorpresa.
Nel tempo, com’è normale, le cose sono cambiate.
I giornali più illuminati hanno capito che internet non era il Grande Nemico, quelli più gretti hanno tentato di far finta che non esistesse. La tv ha messo su il baraccone della multimedialità spacciando per nuovi, contenuti riciclati e affidandosi a un’interattività zoppa (cioè con tempi di risposta da piccione viaggiatore).
E il web?
Da dispensatore di chicche, dritte, pareri originali, invenzioni, è diventato un figliastro che si nutre delle carni della matrigna. Sempre più spesso – e lo scrivo con seria autocritica – i blog, cioè l’espressione più promettente della circolazione di idee alternative, riciclano materiale dei giornali e delle tv che viene riaddentato dai media tradizionali per finire nuovamente tra le fauci dei consumatori di bit e così via. La conseguenza è il mainstreaming delle voci fuori dal coro.
I blog sono un’ottima vetrina di opinioni. Pensate: in quest’ambito non valgono le spintarelle, le amicizie, il valore della testata. Valgono solo gli autori dei post e dei commenti. Non c’è mediazione, non ci sono trattative prima di andare in stampa. C’è un contenuto, c’è il suo gradimento, ci sono le reazioni.
Eppure, se ci guardiamo attorno, abbonda la pigrizia e scarseggia l’inventiva.
Il mio timore è che i blog sostituiscano i giornali solo perché gli assomigliano sempre più.

Cattivelli

Alcuni fanno notare la strana coincidenza tra la presentazione del nuovo direttore de La stampa, Mario Calabresi, e il black-out che ha paralizzato il sito della testata per molte ore.  Cattivelli.

L’impegno e l’umiltà

palermo-in-tascaEsattamente un anno fa dedicai un post spietato a “Palermo in tasca”, un mensile gratuito che si stampa nella mia città. Andai giù duro contro quello che ritenevo fosse un giornaletto sgrammaticato e realizzato senza alcun criterio professionale.
Ai primi di giugno mi arrivò una e-mail dall’editore del periodico. Cominciai a leggerla con la rassegnazione di dovermi sorbire una buona dose di ingiurie. Invece, riga dopo riga, mi sorpresi a leggere frasi come “non possiamo darle torto, siamo nuovissimi e inesperti nel campo del giornalismo” e “anzi questa è per noi un’ottima occasione, se riuscissimo a metterci in contatto, per poter finalmente parlare con qualcuno che possa darci dei validi consigli”. La e-mail si concludeva con uno spiazzante “la ringraziamo di aver prestato attenzione alla nostra rivista”.
Ieri, mentre mi accingevo a iniziare la presentazione di un libro, un signore e un ragazzo si sono avvicinati. In mano avevano due copie di “Palermo in tasca”.
Erano l’editore e suo figlio (che lavora con lui).
“Finalmente ci conosciamo. Siamo venuti per farle vedere che il giornale è migliorato. Guardi, guardi qui…”, hanno detto.
Mi piace pensare che queste persone abbiano lavorato un anno per quel momento: il momento di raccogliere il minimo frutto del consenso di un loro censore, di strappare un cenno di premio per il loro amor proprio, di sentirsi sorretti da chi aveva mirato alle loro gambe.
“Palermo in tasca” ha ancora molta strada da fare per migliorarsi. Ma – lo ammetto – l’impegno e l’umiltà dei suoi editori valgono più di un mio giudizio.
Chapeau.

La scienza dell’informazione

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Ieri sera, alla ricerca di un tema da affrontare sul blog, riflettevo sulla grandezza di questo mezzo di comunicazione.
Chi ha lavorato nel mondo dell’informazione sa quanto è difficile trasmettere le opinioni libere. Anche il giornale più avanzato ha regole e impostazioni editoriali che lo rendono farraginoso, quindi un po’ distante dal pubblico.
Oggi, in tale ambito, gli equilibrismi sono sempre più un peso da sopportare. Risultato: leggiamo quotidiani che pur essendo freschi di stampa nascono vecchi; guardiamo tg che ci raccontano storie di cui conosciamo inizio, sviluppo e fine; seguiamo portali che mascherano una vetusta impostazione di stile cartaceo con la rapidità di aggiornamento di stile telematico.
La nuova comunicazione è un’altra cosa.
E’ parziale, perchè rappresenta il momento con la consapevolezza di non essere definitiva.
E’ completa, perché si sostenta della somma aritmetica dei momenti.
E’ condivisa, perchè si compone dei pareri che scaturiscono da un input.
E’ democratica, perchè è gratuita e facilmente accessibile.
E’ concorrenziale, perché competitiva in un ambito di regole uguali per tutti (sul web Pinco Pallino e Obama stanno sullo stesso piano).
Quando lavoravo in un quotidiano non ho mai ricevuto tanti suggerimenti, contributi, insulti (che in un certo senso fanno opinione), segnalazioni come adesso. E vi assicuro che è così per molti giornalisti (anche di testate importanti) che hanno scelto il web come destinazione principale dei loro scritti. Ritengo che la comunicazione su internet sia, con le dovute scremature, una vera fabbrica di idee. Vincono le più solide, ma le altre non soccombono, restano e si vedono lo stesso: il massimo del pluralismo. Io stesso mi sono trovato spesso in minoranza, in questo blog, e ne ho tratto insegnamento. E ho motivo di ringraziarvi.
Infine una notazione. Le opinioni sono come il prosciutto, il peso sulla bilancia non dà garanzie sulla qualità. Solo assaggiandole (leggi: vagliandole) si ha contezza del loro valore. Sono ottimista: vedo in giro ottimi salumieri.

La fortuna di avere un maestro

salvo_licataQuesto post scaturisce dalla riflessione di qualche giorno fa, e in particolare da un’incitazione di D’Artagnan (dalle cui posizioni dissento quasi sempre, ma sulle quali sventola la bandiera del pluralismo di questo blog).
Non so quanti di voi abbiano avuto un maestro nella vita professionale. Io sono stato fortunato perché, molti anni fa, ho incontrato la migliore figura che un giovane apprendista possa aspettarsi: un ottimo maestro e un pessimo esempio.
Si chiamava Salvo Licata e si trovò a capitanare un gruppetto di aspiranti giornalisti che aveva appena addentato i vent’anni e guardava il mondo dell’informazione dal buco della serratura. Nella prima metà degli anni Ottanta, Salvo divenne caposervizio di una televisione privata. Lui che veniva dalla carta stampata aveva umilmente imparato le nuove tecniche dell’immagine. E prestava alla tv il suo fiuto per la notizia, la sua voglia di raccontare le storie nascoste di persone non importanti.
Odiava l’ovatta istituzionale e le domande complicate. Scavava nelle frasi tutti i significati possibili e ne estraeva un distillato prezioso: quello della verosimiglianza, più abbordabile e meno etereo della verità. Era un diffidente e il peggio (meglio) di sé lo dava quando si trovava a tu per tu coi politici e, peggio (meglio) ancora, coi loro galoppini. Un pomeriggio mi trovai a far da traduttore tra i suoi grugniti e il ringhio del portaborse di un potentissimo  europarlamentare democristiano che chiedeva spazio, senza argomenti plausibili, nel tg della sera. Finì che lo cacciò in malo modo: nella mia memoria rimane una scena epica.
Un maestro infligge più pene di quanto dispensi complimenti. Quando una mattina mi presentai in redazione con un abbigliamento che Salvo non gradiva (transitavo dalla fase rockettara a quella sfascio-vegetariana), lui telefonò a mia madre: “Signora, ha visto com’è uscito di casa suo figlio stamattina?”. Quando iniziai (accadde solo una volta e mai più!) un pezzo su una ricorrenza con la frase “Come ogni anno…”, lui sbraitò a un millimetro dal mio naso: “E perché uno dovrebbe starti a sentire?”. Quando arrivai con dieci minuti di ritardo mi cacciò via con un cenno, senza sprecare parole. Però quando gli comunicai che avevo cominciato a leggere Pirandello, dedicò una mezza mattinata ad ascoltare le mie impressioni. E ogni volta che la giornata fu difficile ci portò tutti a cena. E quando l’azienda decise che doveva fare alcune assunzioni, seppi (mai da lui, ovviamente) che aveva parlato di me come mai mi sarei aspettato.
Un maestro ti manca quando non c’è più. Ti manca la telefonata improvvisa, quando ormai sei avviato nella tua professione e quando lui è in pensione, fuori dal giro. Ti manca la mezza parola che riannoda il filo di un discorso iniziato vent’anni prima. Ti manca la sua ruvida carezza e la sua intransigenza che ti ha fatto piangere (tu, che credevi di essere ormai uomo-maschio-realizzato e invece eri un orecchiante della vita ancor prima che del mestiere).
Ti manca sentirti raccontare le sue storie, un po’ favole un po’ cronaca, di bettole, preti, puttane, comunisti, teatranti, naufragi e salvatori.
E allora non ti resta che ritenerti fortunato anche se il destino ti ha riservato un ruolo diverso da quello che il tuo maestro aveva, a denti stretti, auspicato. Perché un vero maestro, se non ti boccia subito, si identifica e sogna anche per te. E’ questa umanissima fallacità che lo rende indimenticabile.

Te lo dico tra una settimana

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Prendo spunto dalla rubrica TeleVisioni di Aldo Grasso, che questa settimana elogia il mio programma televisivo preferito, Report, per chiedervi: ma non vi dà fastidio che le inchieste siano scomparse dagli organi di informazione?
La domanda è frutto di una mia tara mentale perché, da giornalista, sono stato costretto a sospettare che le inchieste provochino un sussulto solo agli addetti ai lavori, siano essi cronisti o soggetti a vario titolo coinvolti. So bene che non è così, però il tempo mi ha indotto questo pensiero.
Per realizzare un’indagine giornalistica ci vuole tempo, quindi ci vogliono soldi. Un giornalista che viene distaccato per seguire una pista è un giornalista che non produce quotidianamente quindi ci vorrà qualcun altro che si occupi della cronaca fresca. “Cosa scrivete oggi?” è la tipica domanda che il capocronista pone agli uomini del suo team. L’azienda dovrebbe metterlo in condizioni di sentirsi rispondere, ogni tanto: “Te lo dico tra una settimana”.
Capite che è difficile.
C’è poi l’aspetto più delicato, quello degli equilibri. Un’inchiesta punta a dimostrare o a scoprire qualcosa. Quindi il risultato sarà inevitabilmente disequilibrato. Se infatti non ci sarà una tesi che prevarrà su un’altra, l’inchiesta non avrà dimostrato un bel niente: sarà un collage di opinioni, un pastone, un normale articolo di cronaca. L’indagine giornalistica, come qualunque tipo di indagine, deve scardinare una porta, strappare un telo, scoperchiare un baule. E quanti editori in Italia, oggi, sono disposti a rischiare davanti al proprietario di quella porta, di quel telo, di quel baule?
Infine, il mestiere. Per scavare in una storia complicata ci vuole una grande esperienza. Già la mia generazione di giornalisti si trovò in debito d’ossigeno: negli anni ’80 i giornali si trasformavano e le aziende investivano moltissimo in tecnologie e quasi nulla in contenuti. Il risultato fu quello di creare professionisti sempre più duttili dal punto di vista produttivo e sempre più poveri di stimoli. Oggi va ancora peggio. Il mestiere si impara nelle aule universitarie e non nelle strade, nei pronto soccorsi, nelle aule di giustizia, in quelle consiliari, nei commissariati… Risultato: ragazzini freschi di laurea che non sanno scrivere una breve, che considerano i vecchi colleghi colleghi vecchi, che giudicano l’importanza della notizia dal ruolo di chi gliela fornisce.

Giornali, Sicilia, idee

Sta accadendo qualcosa di importante nel mondo dell’informazione siciliana. Il granitico sistema tripolare, ancorato a Giornale di Sicilia, La Sicilia e Gazzetta del Sud, deve fare i conti con gli spifferi di vitalità che provengono da nuove iniziative. E non parlo dell’edizione palermitana de La Repubblica, che in nove anni poco ha inciso sugli equilibri editoriali isolani.
La diffusione dei blog d’autore, quindi di spazi d’opinione di media-alta qualità, ha reso meno efficaci certe cortine fumogene che rallentavano (e a volte impedivano) la circolazione di molte notizie. Esempio: per diffondere un’opinione o per esprimere un parere titolato, prima o si aveva qualche santo in paradiso (leggi: redazione) o si ricorreva a un amico del santo in questione oppure si rimaneva socialmente afoni. Si assisteva, così, a un impoverimento di idee pubbliche poiché le voci “titolate” alle quali era consentito l’accesso alle colonne di un giornale erano poche e, ancor peggio, sempre le stesse. Oggi bastano un paio di blog ben fatti per raggiungere migliaia di persone e soprattutto per dar voce a chi non l’avrebbe mai trovata, pur meritandosela, nel “sistema tripolare”.
Ci sono poi nuovi eventi, inquadrati in una genuina ottica imprenditoriale, che rendono il panorama ancora più interessante. Un giovane gruppo palermitano, in circa due anni, ha messo su tre nuove riviste, ha assunto giovani disoccupati e valorizzato teste pensanti, ha creato un portale di informazione regionale, si è impegnato nella produzione di eventi di alta qualità e, con una buona dose di geniale coraggio, si è buttato nell’informazione cartacea on demand. Cioè nella pubblicazione di un giornale che va in edicola solo quando ci sono grandi notizie. Un bel passo avanti se considerate che qualche decennio fa un giornale siciliano dedicò la sua apertura a tutta pagina all’ennesima crisi dell’ennesimo governo Andreotti titolando: “Nessuna novità di rilievo”. In tempi più recenti, un altro quotidiano di casa nostra aprì col titolo: “E’ scoppiata l’estate”. Ed era giugno.
Oggi, sempre meno lettori hanno voglia di leggere e sempre più lettori hanno voglia di riflettere. Le notizie ci raggiungono ovunque ci troviamo, essere disinformati è un lavoro difficilissimo. Alcuni giornali si riciclano come risolutori di problemi (non so perché, ma mi ricordano il ruolo di Harvey Keitel in Pulp Fiction) ritenendo che i veri cronisti siano i cittadini che protestano per un rubinetto che perde o per un piccione che sfoga il suo attacco di dissenteria sul loro balcone. E’ come credere che il miglior medico sia il malato.
Quel che di buono sta accadendo nell’informazione siciliana è invece che ognuno, in queste nuove realtà, riprende il proprio ruolo e, se ne ha le capacità, ne sperimenta di nuovi. Senza ruffiane mediazioni e altro motivo d’ispirazione che non sia l’appassionante inseguimento di un’idea.