Prendo spunto dalla rubrica TeleVisioni di Aldo Grasso, che questa settimana elogia il mio programma televisivo preferito, Report, per chiedervi: ma non vi dà fastidio che le inchieste siano scomparse dagli organi di informazione?
La domanda è frutto di una mia tara mentale perché, da giornalista, sono stato costretto a sospettare che le inchieste provochino un sussulto solo agli addetti ai lavori, siano essi cronisti o soggetti a vario titolo coinvolti. So bene che non è così, però il tempo mi ha indotto questo pensiero.
Per realizzare un’indagine giornalistica ci vuole tempo, quindi ci vogliono soldi. Un giornalista che viene distaccato per seguire una pista è un giornalista che non produce quotidianamente quindi ci vorrà qualcun altro che si occupi della cronaca fresca. “Cosa scrivete oggi?” è la tipica domanda che il capocronista pone agli uomini del suo team. L’azienda dovrebbe metterlo in condizioni di sentirsi rispondere, ogni tanto: “Te lo dico tra una settimana”.
Capite che è difficile.
C’è poi l’aspetto più delicato, quello degli equilibri. Un’inchiesta punta a dimostrare o a scoprire qualcosa. Quindi il risultato sarà inevitabilmente disequilibrato. Se infatti non ci sarà una tesi che prevarrà su un’altra, l’inchiesta non avrà dimostrato un bel niente: sarà un collage di opinioni, un pastone, un normale articolo di cronaca. L’indagine giornalistica, come qualunque tipo di indagine, deve scardinare una porta, strappare un telo, scoperchiare un baule. E quanti editori in Italia, oggi, sono disposti a rischiare davanti al proprietario di quella porta, di quel telo, di quel baule?
Infine, il mestiere. Per scavare in una storia complicata ci vuole una grande esperienza. Già la mia generazione di giornalisti si trovò in debito d’ossigeno: negli anni ’80 i giornali si trasformavano e le aziende investivano moltissimo in tecnologie e quasi nulla in contenuti. Il risultato fu quello di creare professionisti sempre più duttili dal punto di vista produttivo e sempre più poveri di stimoli. Oggi va ancora peggio. Il mestiere si impara nelle aule universitarie e non nelle strade, nei pronto soccorsi, nelle aule di giustizia, in quelle consiliari, nei commissariati… Risultato: ragazzini freschi di laurea che non sanno scrivere una breve, che considerano i vecchi colleghi colleghi vecchi, che giudicano l’importanza della notizia dal ruolo di chi gliela fornisce.
Scusate l’autocitazione ma vuole suffragare la tesi di Gery. Ho fatto pochi scoop…(s) nella mia vita professionale “costretto” com’ero a occuparmi sempre di ballerine e soubrettes (ma in compenso una sera mi sono commosso ascoltando fuori taccuino le paturnie di Ugo Tognazzi, ho mangiato “musso” con Tino Buazzelli, mi son fatto grandi risate con l'”orso” Vittorio Gassman, ho bevuto – io semiastemio – libidinosissimi drinks con Carmelo Bene e ho sorseggiato un indimenticabile caffè con Woody Allen, ho fatto scorpacciate di tunnìna col mio amico Massimo Ranieri). In un periodo in cui il mio giornale non sapeva che farsene di me (scherzo: almeno al desk, parlo di quasi una ventina d’anni fa) mi ha inviato per la Sicilia a cercare di capire come funzionassero le cose della cultura nell’Isola fra burocrazia e incuria. Ascoltavo per gran parte delle mie visite lamenti/alibi per lo più da mezzemaniche di rango. Una sera, a Caltanissetta, in un piccolo capannone/laboratorio/archivio librario fuori mano, annesso a una parrocchia, vidi delle “statue” seminascoste. “E queste qui cosa sono?”, chiesi scostando una tenda con impertinente curiosità. Erano alcuni gruppi della Settimana Santa (la Maestranza, se memoria non m’inganna) che stavano marcendo vittime dell’umidità. “Rischiamo di non portarle più in processione”, mi dissero sconsolati. Chiamai il giornale, chiesi un giorno in più, mi fu concesso e, fotografo alla mano, il giorno dopo intervistai confraternite religiose, prelati semialti, assessori, restauratori ecc. Quelle splendide statue artiginali (in gesso e cartapesta, credo, squillanti colori) sono state salvate e credo che ancora facciano la lor figura nella processione della Settimana Santa. Mi servì solo un giorno in più per un piccolo, intrigante, popolare reportage. Poca roba, ripeto, non voglio imbrodarmi. Ma pensate se anche oggi, un cronista, un inviato potesse prendersi il lusso di dire: sto fuori ancora un giorno, torno domani, o fra una settimana, e vi racconto cose che quasi non ci credereste. Era la stampa, bellezze.
Le inchieste sono il sale della professione. Almeno per me. Visto che agli editori interessano poco, da qualche anno me le faccio da sola. Le autoproduco per poi venderle. Ma qui non siamo negli Usa e l’esempio – riuscito- di Report è pressocché unico nel panorama televisivo italiano. Sottoscrivo quello che dice Gery, fare inchieste costa troppo e richiede un sacco di tempo. E aggiungo che una volta vendute vengono pagate molto poco. Non dimentichiamo però che le inchieste costano anche di più in termini di potere, di qualunque argomento trattino. E questo è il miglior deterrente per i maggiori editori di casa nostra.
Invito Aldo Grasso e tutti voi a vedere “Chi l’ha visto?” in questa edizione condotta dalla Sciarelli. Non è una boutade, la mia. Lì le inchieste le fanno, eccome. Se oggi si sa tutto sui tantissimi omicidi delle cosiddette Bestie di Satana (inizialmente molto sottovalutate dagli inquirenti) e qualcosa in più su Emanuela Orlandi, sulla banda della Magliana e su altri intrighi d’Italia lo si deve a quella trasmissione. Che è molto più incisiva di quanto si pensi, dato che da tempo non si limita più a cercare ragazzini adolescenti che fanno le bizze e scappano di casa per sfuggire a genitori oppressivi.
Caro Gery e caro Totò, tutto vero sulle inchieste soprattutto oggi che vengono ordinate non per fare lo scoop o capire come vanno le cose ma solo perchè dietro c’è sempre un dare e un avere. Ma oltre al reportage, ci sono anche le centinaia di notizie, belle, gustose, spesso ilari: a volte basterebbe una telefonata per scoprire molte cose. Ebbene, quelle notizie finiscono nel cestino, perchè “non c’è spazio”, perchè “ma a te chi ti ci porta”, “ma tu che c’entri?”. Insomma, basterebbe poco per fornire qualcosa in più. Allora una proposta: ognuno di noi, può scovarne una, riscriverla e magari farla leggere sul tuo blog.
Mezzo saluto, l’altro mezzo appresso
Uno dei motivi per cui questo blog è per me, da tempo, un immancabile appuntamento quotidiano, è che in ogni post ritrovo momenti salienti che rappresentano la mia condizione e i miei pensieri più attuali. Leggere adesso dei “giornalisti duttili dal punto di vista produttivo, ma privi di stimoli” o di “aziende che investono moltissimo in tecnologie e poco in contenuti”, mi ha folgorata. Sono alle prese con una crisi esistenzial/professionale che deriva proprio da tutto questo stato di cose, che avanza a dispetto di una formazione e di un’intensa voglia del ritorno di quanto di più romantico e viscerale c’era in questa professione, e che sembra ormai essersi imposta senza rimedio con il proliferare, appunto, di reclute “al passo con i tempi” e poco disposte a considerare con ragionevolezza l’esistenza di chi ha cominciato…in un altro modo. Vorrei evitare di esprimermi come chi si sta autorelegando tra…i meno nuovi del settore – diciamo così – (nonostante, credetemi, l’età avanza galoppante), sono comunque molto preoccupata…
Buongiorno e buon lavoro a tutti.
Quello che scrive Raffaella a proposito di “Chi l’ha visto?” è vero, anzi verissimo (la Sciarelli poi è giornalista di stoffa buona). E’ in quei programmi lì che oggi si fa il giornalismo di una volta. Se pensate che l’unico tg a fare un certo tipo di indagine, in Italia, è “Striscia la notizia” e che il miglior commento ai fatti del giorno prima lo fanno quelli di “Blob”…
Aggiungerei le Iene: inchieste sul traffico d’armi, sulla droga, sul turismo sessuale e quant’altro.
Beh, è allora è obbligatorio citare l’ottimo lavoro che fanno i giornalisti di Rai News 24. Vi ricordate l’inchiesta di Sigfrido Ranucci -ora a Report- sul fosforo bianco a Falluja? Provocò uno scompiglio internazionale e fu realizzato col sudore. Apprezzo moltissimo il lavoro delle Iene, ma per inchiesta s’intende soprattutto un lavoro di scrupolosa ricerca di fonti, una cucitura documentale fuori dall’ordinario. E per questo ci vuole tempo e mestiere. Ammetto di non seguire “Chi l’ha visto”. Rimedierò presto.
Lo stile di “Chi l’ha visto?” è indubbiamente più rigoroso di quello delle Iene.
Una precisazione. Conosco anche alcuni giovani giornalisti molto preparati, che sono venuti fuori dall’università. Però sono una netta minoranza.
Verissimo, Gery, sono d’accordo. Non si può fare di tutte le erbe un fascio e accendere i soliti lumini nel solito cimitero degli elefanti. Ce ne sarebbero, sono, saranno di giovani preparati e anche bravi. C’è ancora un giornale che offra loro l’occasione giusta?
Toto, come sai coi giornali io ho già dato. Però se c’è qualcuno che ha una risposta la dia.
@Filippo. Proposta accolta. Se avete notizie non pubblicate, inviatemele. Facciamo una rubrica, della serie “dal cestino della redazione”. Passate parola.
Non ho nè la voglia nè tantomeno la pretesa di dare un giudizio su trasmissioni del calibro di Chi l’ha visto, ci mancherebbe altro, e poi ammiro la Sciarelli…Però, nel mio piccolissimo, posso dirvi che, a proposito di un caso di cronaca, in particolare, che ha avuto una risonanza quasi fuori dal comune – e magari fosse così per tutti gli altri casi del genere – (sottolineo che vivo e scrivo da Marsala…) posso affermare di essere stata testimone di alcune trasmissioni costruite abbastanza a tavolino con la complicità di avvocati megalomani nonchè mitomani, e giornalisti compiacenti, felici di dare seguito ad una vicenda condita da molti falsi scoop e molto poche vere notizie, date in pasto all’attento e ignaro pubblico giustamente sensibile…ma mai veramente informato e “graziato” da sincere e soprattutto risolutive novità.
Faccio una professione diversa del giornalismo, e posso testimoniare che nella maturazione professionale, umana,etica una grande importanza hanno sempre avuto i grandi maestri.Sono sicuro che anche nel vostro campo ci saranno grandi figure capaci di fare scuola anche di vita ,come mai non ne sento mai parlare?
@D’Artagnan. Non ne ha sentito parlare perché parlare dei propri maestri è una maniera disinvolta per autocelebrarsi. Comunque non è escluso che ceda alla tentazione.
@D’Artagnan: non so che lavoro faccia. Ma se ha ancora la sensibilità di ricordare i suoi maestri, è certamente una nobile professione.