Tutti da Fiorello, come Fiorello

E’ davvero un peccato che la trasmissione di Fiorello sia finita, anche se è immaginabile che la Rai – a meno di follie suicide – abbia fatto tesoro dell’esperienza.
Come ci siamo detti sin dall’inizio, la grandezza dello showman siciliano è quella di far sembrare nuovo ciò che è antico e collaudato. E questo in una nazione di dilettanti allo sbaraglio (magari con la spinta di papi) è una bella cosa. Però se una critica può essere mossa a Fiorello, senza il rischio di finire crocifissi su Twitter, questa riguarda la sudditanza degli ospiti. Tutti, da lui, parlano come lui, citano lui, si muovono come lui. Persino Roberto Benigni risparmia sulle battute e fa il verso al padrone di casa.
Ecco, in un prossimo spettacolo del più grande showman dopo il weekend sarebbe bello che la vecchia regola del varietà fosse rispettata: ognuno resta fedele al suo personaggio.
E poi Fiorello è così piacevolmente debordante che si può anche risparmiare sugli ospiti.

Fiorello e la novità di una tv antica

Perché Fiorello piace? Perché è rassicurante. Perché propone una tv antica che, dopo anni di buio catodico, sembra quasi nuova.
Con la sua verve da animatore – un tempo si sarebbe detto da animale da palcoscenico –  coinvolge anche i clienti più svogliati: grida, saltella, ripete le battute per i distratti. Dà soddisfazione a quelli delle prime file, ammaestrati per una comparsata a favore di telecamera, e suona la sveglia a quelli che sonnecchiano in fondo, i follower di Twitter.
E soprattutto è talmente bravo da spacciare l’acqua calda per novità dirompente. Se più di trent’anni fa Renzo Arbore con la sua “Altra domenica” avesse potuto rubare qualche minuto alla diretta (finta) di Canale 5, lo avrebbe fatto di certo. Solo che allora non c’era il Biscione e la competizione tra le reti televisive era solo una questione di lottizzazione.
Fiorello è un gran cazzeggiatore e ha il merito di riuscire a portare sul piccolo schermo tutti i suoi pensieri trasversali. Ogni tanto ci azzecca (geniale la trovata di fregare Mimmo Foresta alla D’Urso), ogni tanto no (quella con Caparezza si capiva a distanza che era una marchetta discografica o qualcosa del genere).
Alla fine ci si diverte, come nei vecchi varietà dove tutto era in qualche modo annunciato, anche le sorprese, e dove la serena professionalità degli autori garantiva un intrattenimento garbato.
#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend è un programma che merita perché, almeno per una volta, vale l’investimento economico: belle scenografie, ospitate non banali, orchestra tosta, regia senza fronzoli.
Unico interrogativo: che lo hanno pagato a fare Daniel Ezralow?

Santa Minetti

A Pomeriggio Cinque c’è una strana consegna del silenzio su uno degli inquilini della Casa del Grande Fratello, Filippo Pongiluppi, che è stato fidanzato con Nicole Minetti. Nemmeno un’accreditata opinionista (in questo caso il corsivo, per convenzione, sostituisce un’abbondante dose di virgolette) come Maria Monsé ieri è riuscita ad abbattere il muro eretto da Barbara D’Urso. Niente, di santa Minetti è bene non parlare.

Grazie a la Contessa.

 

Nelle fauci di Giuliano Ferrara

A guardare la sfuriata di Giuliano Ferrara contro Massimo Bernardini, conduttore di Tv Talk su Raitre, il telespettatore inciampa in un dubbio: sarebbe stato meglio replicare oppure è stato giusto lasciar perdere.
Se non avete visto il programma e vi interessa approfondire la questione, fermatevi un attimo, guardate qui e poi tornate a queste righe. Continua a leggere Nelle fauci di Giuliano Ferrara

Miss, mia cara miss

Miss Italia è in crisi, perde telespettatori quasi come il Tg1 di Minzolini. E Patrizia Mirigliani, quest’entità metafisica che si affaccia sulle nostre vite una volta all’anno al pari di una zucca di Halloween, punta il dito contro la Rai che non garantisce ospiti adeguati come fa invece col festival di Sanremo. Continua a leggere Miss, mia cara miss

Se alla Rai non piacciono i gay

Ciò che dovrebbe destare scandalo nella vicenda del telefilm censurato dalla Rai a causa di una scena in cui si ricostruisce un matrimonio gay in un convento, non è il perpetrarsi di un atto odioso contro gli omosessuali (era già accaduto con I segreti di Brokeback Mountain), bensì la presunzione che tutti gli italiani siano idioti. Continua a leggere Se alla Rai non piacciono i gay

A proposito di Current TV

Quando nei giorni scorsi ho letto della mobilitazione per salvare Current TV dalla “censura” di Sky mi è subito passato un pensiero non in linea col sentire comune: mi pareva una delle cosiddette notizie troppo belle per essere vere . Non ho scritto niente perché mi sentivo colpevolmente influenzato da una diffidenza personale: appena vedo catene di Sant’Antonio e appelli fluviali su internet, come quelli che giravano a proposito di Current, mi viene l’orticaria.
Poi ho letto la replica di Sky (ad opera di Tom Mockridge) e ho smesso di grattarmi.

Purtroppo, Joel (Hyatt, socio di Al Gore in Current TV, ndr) ha deciso di non accettare la nostra offerta e ha chiesto invece di avere il doppio di quanto Current percepisce attualmente, una cifra che arriva ad essere vicina a 10 milioni di dollari. Si tratta di una richiesta decisamente troppo alta, specie in relazione alle recenti performance del canale. Al Gore ha diffuso dati assolutamente inesatti sull’audience del canale, sostenendo che un abbonato di Sky su due guarda Current una volta la settimana. La realtà, purtroppo, è assai diversa: i dati Auditel dicono che solo un abbonato di Sky su 25 ha guardato Current almeno per 10 minuti in una settimana nel corso del 2011. Lo share del canale è dello 0,03% su media giornaliera e dello 0,02% in prima serata con una media giornaliera di 2.959 telespettatori, come rilevato da Auditel nel 2011. Si tratta di dati in calo del 20% sulla media giornaliera e addirittura del 40% in prima serata, se comparati al 2010. Se il canale avesse raggiunto l’obiettivo di 4500 telespettatori medi giornalieri, concordato nel contratto, la partnership sarebbe stata rinnovata automaticamente per ulteriori due anni.

 

Sgarbi senza sorprese

Dopo il flop della prima (e conseguentemente unica) puntata del suo nuovo programma, Vittorio Sgarbi, pur facendo autocritica, dà la colpa alla Rai perché non sarebbe interessata alla cultura.
E in qualche modo instilla il ragionamento secondo il quale, con questo pubblico, in prima serata hanno successo solo morbosità di cronaca e reality.
Non siamo lontani dalla realtà.
Tuttavia è giusto chiedersi se Sgarbi sia il protagonista ideale per un programma di buon livello culturale. E qui dobbiamo distinguere il critico dal personaggio. Se da un lato Sgarbi, piaccia o no, ha tutte le carte in regola per parlare di arte, dall’altro la sua frequentazione continua di ogni salotto televisivo in cui si discetta di Avetrana come del Grande Fratello, di sesso come di politica, di veline come di santi, lo rende mediaticamente vulnerabile: perché la sovraesposizione toglie appeal, e un personaggio che si rispetti deve (anche) incuriosire.
Invece di Sgarbi sappiamo tutto, anzi sappiamo tutto di ciò che Sgarbi sa.
Il programma su Raiuno doveva essere il contrappeso alla tv di sinistra, la celebrazione della fulgida cultura nazionale, un kolossal costosissimo, il nuovo modello di televisione di qualità.
Gli italiani non l’hanno guardato. Probabilmente perché non era scritto bene, probabilmente perché preferivano qualche tetta e qualche culo, probabilmente perché a nessuno piace aprire un pacco in cui c’è scritto “sorpresa” e trovarci dentro la solita bottiglia di whisky avanzata da Natale.

Magris, parole di peso

Ieri Claudio Magris ha detto sottovoce, a Che tempo che fa, quello che milioni di italiani tentano di dire sbraitando (ma nemmeno tanto): sulla politica, sull’etica, sulla buona educazione, sulla cultura. Se ve lo siete persi qui c’è il link.

Vai Masi, vai…

Il fatto che  Masi vada a combinare guai lontano dalla Rai è una notizia che dovrebbe riempire di gioia innanzitutto gli elettori di centrodestra. Perché i danni peggiori l’ormai ex direttore generale della radiotelevisione pubblica (pubblica?) li ha causati al sistema nervoso dei simpatizzanti del suo stesso schieramento, quel Pdl che Masi ha ciecamente e ridicolmente servito. Non c’è nulla di più scocciante che vedere affidate le proprie legittime istanze agli sconsiderati: mi metto nei panni di un estimatore del Pdl.
Masi si è impegnato, con ammirevole imperizia, a perorare cause importanti, come quella del contraddittorio in tv, con metodi da Corrida (non la manifestazione spagnola, ma il programma televisivo italiano). Un dilettante allo sbaraglio con stipendio a sei zeri.
Quando ha balbettato in diretta con Santoro, conduttore sgradito alla coalizione di cui Masi è umiliato (e umiliante) alfiere, gli ha regalato il trionfo dell’Auditel. Qualcuno avrebbe potuto pensare che tutto era architettato per portare acqua al mulino della Rai e avrebbe peccato di ottimismo perché un’altra telefonata,  stavolta fantozzianamente bavosa, a un’altra trasmissione – L’isola dei famosi di Simona Ventura – ha invece segnato un declino di ascolti.
Insomma Masi scimmiotta il suo idolo, il Gran Telefonista per eccellenza, senza riuscire a ottenere lo stesso profitto. Promette scintille ai poveri elettori di centrodestra e produce solo flatulenze mediatiche. Che fanno ridere sì, ma alla fine che sollievo quando si cambia aria…