Autobiografia

Per la prima puntata del suo nuovo programma su Raiuno (“Il mio canto libero” dal 18 maggio), Vittorio Sgarbi ha scelto come argomento Dio. Evidentemente partire con un’autobiografia gli dà sicurezza.

La tv di Barbara D’Urso

Barbara D’Urso è una signora che sta in televisione, su Canale 5, e parla sempre fissando i confini della sua proprietà. Dice “il mio programma”, “il mio pubblico”, “il mio amico”, “la mia idea”, “il mio libro” e così via. Un approccio del genere non lo aveva neanche Raffaella Carrà in Canzonissima: e sì che la Carrà allora poteva permetterselo.
Sappiamo bene che non è l’uso sconsiderato dell’aggettivo possessivo che può creare indignazione. Il riferimento alla persona (specie se la propria) è ormai il dato emergente di un qualsiasi concetto  in un’Italia che è sempre più loro, con leggi sempre più sue e cazzi sempre più nostri. Quindi la D’Urso è ben allineata con l’andazzo del Paese.
Ciò che colpisce è invece l’ambito nel quale il culto della proprietà viene espresso: la televisione, cioè il luogo d’origine di ogni comunità più o meno virtuale, il simbolo della popolarità, il germe della moltitudine.
La D’Urso non ha niente di esclusivamente suo in quel programma, a cominciare dal merito per cui le è stato affidato uno spazio quotidiano.
C’è una sola persona che in tv può usare la parola “mio”. E non è la D’Urso.

Nessuno tocchi l’elefantino

Vedo il programma di Giuliano Ferrara, non mi piace, ma sono felice che ci sia (il programma, più che Ferrara). Perché la pretestuosità delle polemiche alimentate da un Pdl a corto di argomenti (che non riguardino barzellette, after hour e vizi privati) è messa a nudo dalla messa in onda di “Qui Radio Londra”, dopo il tg delle 20 su Raiuno. Ogni sera Ferrara attacca magistrati (ieri sera Fabio De Pasquale), opposizione e non allineati senza che nessuno batta ciglio. E il bello è che così deve essere, è giusto che sia.
La democrazia vera si misura tra i picchi delle opinioni, non nelle pianure nebbiose della censura. Non si può invocare il contraddittorio come ingrediente fondamentale del giusto processo alla verità, quando in realtà è solo un condimento del verosimile: le idee non si imbrigliano per decreto legge.
Insomma, le apparizioni quotidiane di Giuliano Ferrara sono la legittimazione di qualunque altro opinionista la pensi in modo diverso da lui.
Nessuno tocchi l’elefantino.

Al servizio di Jack Bauer

La scorsa settimana, approfittando della pausa forzata impostami dall’influenza, ho divorato una cinquantina di episodi della fortunata serie televisiva americana “24”, la cui peculiarità  sta nel raccontare in tempo reale quel che accade nell’arco delle 24 ore di azione: ogni episodio dura virtualmente un’ora al netto delle pause pubblicitarie debitamente sottratte al computo totale, come se durante i consigli per gli acquisti i protagonisti del telefilm non restassero con le mani in mano.
La narrazione è incentrata sull’attività di un’unità antiterrorismo di Los Angeles (che verrà trasferita, a serie inoltrata) e sulla figura carismatica dell’agente Jack Bauer, interpretato da Kiefer Sutherland.
La forza della sceneggiatura sta nell’immaginare che una persona possa, in un solo giorno, sopravvivere a un’esplosione nucleare, farsi torturare, cadere con un aereo, risolvere i problemi di una figlia imbecille, combattere contro i terroristi, tendere un agguato a un esercito di rivoltosi, beccarsi un paio di arresti cardiaci, piangere una donna assassinata e non fermarsi mai neanche per andare in bagno.
Cazzate, direte voi. Invece gli americani ci insegnano che l’inverosimile, se raccontato bene, riesce a tenere incollati davanti alla tv più del plausibile.
Terminata la prima tornata di dvd, io e mia moglie ci siamo rivolti come due tossicodipendenti che chiedono una nuova dose all’amico che ce li aveva prestati. Lui, con malcelato sadismo, ha messo sul tavolo sette serie, per un totale di 168 episodi.
A casa nostra in questo momento siamo schiavi di Jack Bauer.

I single e il Kinder Bueno

A Pomeriggio Cinque va in onda un servizio su come andare a caccia di single al supermercato. Una bionda ben in carne (potrebbe essere una “famosa”, ma io non so chi sia) urta i maschietti con la scusa di attaccare bottone.
Il dubbio che mi assale riguarda il perché la tv si ostini a considerarci tutti idioti ed è secondo, per importanza, a quello sul Kinder Bueno: perché mai Andrew Howe non si tromba l’amica starnazzante che invade casa sua a tutte le ore del giorno con la scusa di mangiare a scrocco?

Respiro di sollievo

Una buona notizia. Chiude la vergognosa trasmissione di Barbara D’Urso.

La Canalis su tutti i canali

In tv nelle ultime settimane c’è il caso imbarazzante di Elisabetta Canalis. Trascinata a forza davanti alle telecamere dalla produzione del film “A Natale mi sposo”, la bella ex velina passa da un programma all’altro biascicando qualcosa sulla pellicola che la vede nell’inopinata veste di attrice. Poi, quando l’intervistatore di turno cerca di cambiare argomento (quanti secondi di chiacchiera intellettualmente decente si possono dedicare a un cinepanettone?), la Canalis rischia di fare scena muta: di Clooney non si parla e di altro non si sa che dire.
Quando ancheggiava negli studi di “Striscia” lei faceva un figurone: ovvio, era quello il ruolo giusto. Senza offesa, una stangona bella e giovane fa sempre la sua figura quando deve interpretare il ruolo di stangona bella e giovane. Se invece la si promuove sul campo attrice o, peggio, donna di pensiero, la ragazza fa solo figure patetiche. Ovviamente mi guardo bene dal cadere nel luogo comune “bona uguale stupida”. Però nessuno mi può convincere sulla fiducia del contrario: una bona non è automaticamente una persona intellettualmente interessante.

Chi ha diritto di stare in tv

Ho assistito all’ultima puntata di “Vieni via con me” con la consapevolezza di aver finalmente visto un programma fatto da persone che hanno pieno diritto di stare in tv.
Non c’entrano i gusti, come è ovvio, c’entra la professionalità o meglio, se mi consentite, la titolarità. Perché di professioni ce ne sono molte, soprattutto improvvisate, ma di spettanze di diritto televisivo pochissime.
Al di là di alcuni umani cedimenti nel luogocomunismo, la sinistra classica che viene fuori dal fortunato progetto di Fazio e Saviano è (almeno) consolante: il pacifismo, il volontariato, l’antimafia, lo stare dalla parte delle vittime di ogni sopruso. Le vecchie, care, indimenticabili cause perse alle quali molti di noi si erano pericolosamente disabituati in un Italia che stempera le sue emergenze tra festini e puttane (per pochissimi, ed è quello il disintegratore sociale). Certo poi pensi alle parole “sinistra”, “progetto”, “fortunato” e pensi che ne manca una: ossimoro.
Tornando al programma di Raitre, è stato bello riscoprire il buon artigianato di una tv militante ma fatta ad arte (regia fantastica), nonostante la delusione sui titoli di coda: dov’era Paolo Conte, la cui musica ci ha accompagnato per quattro settimane?

Se gli italiani vogliono questo…

Una delle argomentazioni che più mi manda in bestia è: “Se gli italiani vogliono questo, allora è giusto che questo gli si dia”.
Il riferimento è a qualcosa che viene elargita dal regime, ovviamente.
Che sia verità ufficiale, programma televisivo, contentino legislativo poco importa.
Lo zoccolo duro del berlusconismo conclamato, e purtroppo anche di quello inconscio (in caso di persone che non sanno ancora di essere inglobate, ma che hanno già dentro il virus del partito dell’amore) ha il suo argomento forte nella valorizzazione dello status quo.
Siccome le cose sono così – è il succo del loro pensiero – non c’è motivo per cui non vadano così. Del resto se vanno così ci deve essere un motivo, e il motivo è che vanno così perché piace che vadano così.
A nulla vale ricordare che il valore primordiale della cultura è quello di spiegare come guardare alla realtà con altri occhi, come immaginare mondi migliori, come costruire cose che non necessariamente devono andare così.
Perché è giusto ricordare a queste persone che è possibile vivere in uno Stato in cui il premier si comporti da persona seria, in cui i ministri rispettino le istituzioni che rappresentano, in cui l’identità nazionale sia una e una sola, in cui emerge solo chi ha merito (e non parentele o legami sessuali), in cui le testate giornalistiche siano vedette e in cui il potere sia sotto il continuo giudizio del popolo, in cui uno per vedere in tv un programma che non sia di tette-culi-sangue-risse-gossip non debba aspettare anni.
E’ possibile sì. A patto che si dica chiaro e tondo che, al giorno d’oggi, l’ignoranza è come una malattia. Non va tollerata, va debellata.

Garantisce Maroni

Ho visto solo ieri la seconda puntata di “Vieni via con me”. E ho goduto per un programma di qualità. Erano anni che non assistevo a una trasmissione così ben fatta, curata nei dettagli, rispettosa dello spettatore.

Da abbonato Rai sono finalmente soddisfatto.

Gli strilli del petulo Maroni sono una conferma della qualità del prodotto. Quando non piace a lui e a quelli come lui, una trasmissione dovrebbe meritare una sorta di bollino di qualità.