Il supplizio

Ieri a “Italia sul due”, una specie di trasmissione di approfondimento sui temi della cronaca, si discuteva del successo di Fiorello. E, a corredo delle opinioni di personaggi a me quasi del tutto sconosciuti (l’unico di cui mi ricordavo era Dario Salvatori), si riproponevano i passi salienti della fortunata trasmissione di Raiuno: canzoni, battute, sketch. Solo che per un perfido gioco di diritti e soprattutto per colpevole ignoranza degli autori (ammesso che “Italia sul due” abbia degli autori), questi numeri non erano quelli originali, bensì erano rifatti da un povero imitatore che si è umiliato persino nel taroccare la scenetta di Edward Cullen che sparisce davanti alla telecamera.
Immaginate il livello della trasmissione.
Come se non bastasse uno dei principali interlocutori era un tale Antonio Marziale che pur dichiarando di non aver visto #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend veniva interpellato proprio su quello che non sapeva, secondo la moda emergente tra gli opinionisti in tv: discettare su tutto fuorché su ciò su cui si è preparati.
Sono bastati pochi minuti di questo supplizio per: 1) farmi capire che era tardi per bighellonare davanti alla tv; 2) riallineare, dopo la Fiorello night, il livello qualitativo dei programmi Rai alla media di infimo livello che ben conosciamo.

Tutti da Fiorello, come Fiorello

E’ davvero un peccato che la trasmissione di Fiorello sia finita, anche se è immaginabile che la Rai – a meno di follie suicide – abbia fatto tesoro dell’esperienza.
Come ci siamo detti sin dall’inizio, la grandezza dello showman siciliano è quella di far sembrare nuovo ciò che è antico e collaudato. E questo in una nazione di dilettanti allo sbaraglio (magari con la spinta di papi) è una bella cosa. Però se una critica può essere mossa a Fiorello, senza il rischio di finire crocifissi su Twitter, questa riguarda la sudditanza degli ospiti. Tutti, da lui, parlano come lui, citano lui, si muovono come lui. Persino Roberto Benigni risparmia sulle battute e fa il verso al padrone di casa.
Ecco, in un prossimo spettacolo del più grande showman dopo il weekend sarebbe bello che la vecchia regola del varietà fosse rispettata: ognuno resta fedele al suo personaggio.
E poi Fiorello è così piacevolmente debordante che si può anche risparmiare sugli ospiti.

Fiorello e la novità di una tv antica

Perché Fiorello piace? Perché è rassicurante. Perché propone una tv antica che, dopo anni di buio catodico, sembra quasi nuova.
Con la sua verve da animatore – un tempo si sarebbe detto da animale da palcoscenico –  coinvolge anche i clienti più svogliati: grida, saltella, ripete le battute per i distratti. Dà soddisfazione a quelli delle prime file, ammaestrati per una comparsata a favore di telecamera, e suona la sveglia a quelli che sonnecchiano in fondo, i follower di Twitter.
E soprattutto è talmente bravo da spacciare l’acqua calda per novità dirompente. Se più di trent’anni fa Renzo Arbore con la sua “Altra domenica” avesse potuto rubare qualche minuto alla diretta (finta) di Canale 5, lo avrebbe fatto di certo. Solo che allora non c’era il Biscione e la competizione tra le reti televisive era solo una questione di lottizzazione.
Fiorello è un gran cazzeggiatore e ha il merito di riuscire a portare sul piccolo schermo tutti i suoi pensieri trasversali. Ogni tanto ci azzecca (geniale la trovata di fregare Mimmo Foresta alla D’Urso), ogni tanto no (quella con Caparezza si capiva a distanza che era una marchetta discografica o qualcosa del genere).
Alla fine ci si diverte, come nei vecchi varietà dove tutto era in qualche modo annunciato, anche le sorprese, e dove la serena professionalità degli autori garantiva un intrattenimento garbato.
#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend è un programma che merita perché, almeno per una volta, vale l’investimento economico: belle scenografie, ospitate non banali, orchestra tosta, regia senza fronzoli.
Unico interrogativo: che lo hanno pagato a fare Daniel Ezralow?