Il colpevole perfetto/2

C’è un inaudito accanimento mediatico nei confronti del marito della povera Melania Rea, trovata morta il 20 aprile scorso in un bosco del Teramano.
Salvatore Parolisi, così si chiama il vedovo, è stato eletto come vittima ideale dal Sommo Sistema Accusatorio Parallelo che macina giudizi sommari esclusivamente a favore di telecamera o di taccuino.
Non sono un esperto della vicenda, però per giudicare mi basta astrarmi dalla foga giornalistica e constatare i fatti: questo signore è stato interrogato per ore e ore, vivisezionato nei suoi alibi, com’è giusto che sia. L’altra sera, addirittura, Porta a Porta ha imbastito un’intera puntata sul fatto che questo povero diavolo era rimasto in questura per otto ore di seguito. Chi ha visto la puntata saprà dipingere meglio di me la delusione rabbiosa di Bruno Vespa quando  si è reso conto di aver imboccato la strada sbagliata (almeno per quella sera): la giornalista inviata in loco, davanti al luogo in cui si svolgeva l’interrogatorio di Parolisi, è stata premiata come Vittima Sacrificale del Ventennio (unico precedente illustre, Paolo Brosio davanti al tribunale di Milano negli anni Novanta).
Il resto, almeno fino a ora, è tutto un assemblaggio di nulla: Parolisi interrogato, Parolisi si presenta con un sacchetto di plastica, Parolisi prende il caffé in procura di notte (giuro!), Parolisi non è indagato e resta parte offesa (come se uno al quale hanno ammazzato la moglie usurpasse questo triste status). Il tutto con titoloni su giornali e tg.
E perché tanto accanimento?
Perché c’è un sottotesto borghese e perbenista che andrebbe snocciolato senza ipocrisie.
Salvatore Parolisi è un adultero. E vabbé, direte voi, in questo Paese potrebbe essere quasi un titolo di merito. No.
Parolisi è un adultero debole, perché è vittima di una tragedia, perché appartiene alla oscura provincia italiana e perché il suo caso non può essere leva per nessuna istanza politicamente utile.
E’, insomma, un presunto (molto presunto) colpevole comodo per salire di grado nella scala della colpevolezza collettiva: un criminale plausibile perché fedifrago senza ragion di Stato.
C’è una differenza tra gli scopaioli di rango (o di censo eletto)  e quelli qualunque: i primi, se scoperti, pensano a chi dovranno farla pagare; i secondi pensano a chi gliela farà pagare.

Un dubbio a corpo freddo

La questione sta diventando vecchia, ma per le riflessioni ci vuole tempo (almeno dalle mie parti).
Il dubbio è: perché gli Usa hanno ucciso Osama bin Laden?

Per toglierselo dalle scatole. Allora perché mettere a rischio le vite degli incursori? Bastava bombardare con i soliti missili intelligentissimi, diciamo pure geniali, la palazzina in cui il terrorista abitava e non se ne parlava più.

Per cancellare un simbolo. Uccidere equivale a creare simboli e il discorso vale per vittime e carnefici (esempi: Giovanni Falcone e Pietro Maso).

Per farlo tacere. Persino le spy story di serie Z insegnano che prima di un’esecuzione c’è sempre un periodo di interrogatori: le arance si buttano dopo essere state spremute.

Per semplice vendetta. E il piatto da servire freddo?

Il pizzino di Obama

Uno sogna il mito della tecnologia, dei corpi scelti americani, dei satelliti e delle incursioni in diretta, delle operazioni in stile Jack Bauer, del presidente combattente e del combattente senza paura. Poi si deve arrendere all’evidenza che il mondo è paese, anzi paesello, quando tutto inizia sempre con un pizzino.

 

Yara e la prudenza che serve

di Alfred Breitman

Fidiamoci delle autorità, ma dati i tempi che corrono, vigiliamo sugli esiti delle indagini legate al caso della tredicenne Yara, scomparsa da Brembate Sopra (Bergamo) il 26 novembre scorso e già data per morta assassinata dagli inquirenti. Un testimone – vicino di casa di Yara – che ha dichiarato di averla vista insieme a due uomini adulti nei pressi dell’abitazione della giovane e che ha affermato di aver notato nelle vicinanze una citroen rossa ammaccata non solo non è stato creduto, ma è anche stato denunciato per procurato allarme e falso. Se vi sono altri testimoni di quello stesso evento, dopo la sorte toccata al primo, di certo non si faranno avanti. Successivamente sono scattate, in tempi record, intercettazioni nei confronti di un giovane operaio tunisino, che è stato bloccato mentre si trovava a bordo di un traghetto e accusato di omicidio. Pare che in una telefonata abbia detto: “Che Allah mi perdoni, ma non l’ho uccisa io”. Un’espressione che fa pensare che il giovane temesse di essere sospettato del crimine, magari – chissà? – dopo essere stato avvicinato da qualcuno che l’abbia spaventato comunicandogli tale ipotesi. Non ha detto: “L’ho uccisa io,” ma “non l’ho uccisa io!”. Vi sono attinenze con casi del passato: dal caso Romulus Mailat (il romeno, dopo la condanna in Cassazione è ricorso presso la Corte europea dei Diritti Umani) al caso Racz e Lojos, fino a quello della giovane Rom Angelica, che attende il giudizio in Cassazione riguardo al “tentato rapimento” di Ponticelli. Fidiamoci delle autorità, ma aiutiamole a seguire in ogni momento piste corrette, valutando gli alibi del tunisino e garantendo che i suoi diritti umani, durante gli interrogatori, siano sempre rispettati. Forse Yara è morta. Forse l’ha uccisa il tunisino. Forse i due uomini con la Citroen rossa esistono e forse no. Tuttavia, evitiamo che questo caso termini con un colpevole in galera a vita, ma con una coda di domande e dubbi senza risposta. E nuove ondate di xenofobia che agevolano solo le carriere di politici intolleranti e l’ascesa a un potere sempre più forte da parte dei movimenti razzisti.

Il perdono impossibile

Il pentito Gaspare Spatuzza chiede perdono per il più atroce degli atroci delitti di Cosa Nostra: l’uccisione di un bambino, Giuseppe Di Matteo. Non sono padre, non parlo quindi col cuore di genitore, però davanti alle belve che hanno tenuto sotto sequestro per 779 giorni un dodicenne e poi lo hanno strangolato e sciolto nell’acido, la parola perdono è proprio l’unica che non mi viene. E non sono il solo, per fortuna.

Scazzi amari

Sarah Scazzi scompare da un paese sconosciuto chiamato Avetrana e di lei si perdono le tracce per un mese e mezzo, si pensa a una fuga, si arriva a incolpare Facebook, poi si scopre che ad ammazzarla è stato lo zio Michele che l’avrebbe anche violentata da morta, poiché da viva lei non gli si concedeva, e che viene arrestato mentre la madre della vittima in tv sta lanciando l’ennesimo appello per ritrovare sua figlia il cui corpo viene effettivamente rinvenuto in un pozzo oscuro come il crimine di un caso inestricabile in cui ci sono troppi testimoni sotto i riflettori, ognuno con la propria verità, come la figlia dell’assassino, Sabrina, che viene accusata di complicità nel delitto perchè avrebbe avuto nei confronti di Sarah un’invidia per questioni sentimentali o come una sua amica, Mariangela, che parla coi magistrati e inguaia Sabrina senza però chiudere il cerchio perché prima zio Michele confessa di avere ucciso da solo, poi si corregge  dicendo di aver ucciso insieme alla figlia Sabrina, infine rivela di averla solo aiutata, la figlia, e di non aver torto un capello alla povera Sarah, ma di averla solo seppellita (mentre in realtà l’unica certezza è che sta cercando di seppellire la figlia).

To be continued.

La colpevole è la vittima

Un uomo ammazza la nipote con la complicità della figlia, ma la moglie teme per la vita della figlia perché, dice, in realtà lui adesso vuole uccidere la figlia che, dal canto suo, dice di essere stata incastrata dal padre che invece la accusa, mentre la moglie dice: io non ho paura.
Sta a vedere che la colpa è tutta della nipote che è morta senza darsi pena di lasciarci neanche un appunto per la prossima puntata di “Chi l’ha visto?”.

La chat di Renè

Agli appassionati del genere segnalo che Renato Vallanzasca ha un’affollata bachechina su Facebook e che il signore in questione risponde ai fans dal profilo della moglie.

Tutta una vita davanti

Anni di Omar Favaro quando è diventato un assassino: 17.

Anno in cui è diventato un assassino: 2001

Persone uccise da Omar: 2 (una donna e un bambino)

Coltellate inferte da Omar e dalla sua complice Erika De Nardo: 97

Anni di carcere che Omar avrebbe dovuto scontare: 14

Anno della scarcerazione: 2010 (ieri, 3 marzo)

Anni di Omar adesso: 26

Killer, trans e video

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Un video incastra il governatore del Lazio Piero Marrazzo. Un video mostra un omicidio di camorra a Napoli (l’assassino è stato catturato ieri). E, nelle nostre lande, un video accusa il professor Elio Rossitto, dell’università di Catania, di aver tentato di sedurre una studentessa con la promessa di un trenta e lode.
Un video è insomma non già prova dei fatti ma essenza della notizia.
Di Marrazzo infatti sapevano tutti da mesi: i passanti di via Gradoli, i trans della Capitale, il presidente del Consiglio. L’omicidio di Napoli risale all’11 maggio 2009, cinque mesi prima della diffusione del filmato. Agli atti vergognosi di Rossitto mancava soltanto la cornice di un varietà televisivo, dal momento che all’università di Catania non si parlava d’altro da qualche mese.
Il sistema dell’informazione moderna si basa su questo strano cortocircuito logico, ancor prima che deontologico: il video funziona da rianimatore di una notizia vecchia o, peggio, di giornalisti che non vogliono (o non sanno) più inseguire i fatti noti. Ripeto: noti.