Il colpevole perfetto/1

Il colpevole dell’omicidio della povera Yara c’era, era perfetto, marocchino e povero, il carnefice ideale in un Bergamasco che già si rivoltava contro quegli immigrati di merda che corrompono l’aria col solo respiro, violentano le fanciulle per sport e rubano il lavoro agli operosi lombardi, però il colpevole perfetto se lo sono lasciati sfuggire perché qualcuno ha scoperto che la frase incriminata, quella che aveva fatto saltare sulla sedia gli investigatori che lo intercettavano, in realtà il marocchino non l’aveva mai pronunciata e che le poche parole registrate sul nastro della polizia erano state tradotte male e, come se non bastasse, tutto quel che era seguito, l’allarme per la fuga, l’inseguimento in mare, il coraggioso testacoda del capitano della nave che si era scostato dalle acque internazionali per far sì che il pericoloso colpevole perfetto finisse in manette in territorio italiano e il conseguente fermo dell’assassino predestinato, erano stati frames di un’illusione in un macabro gioco del gatto col topo in cui il gatto è rimasto a bocca asciutta e il topo, quello vero, non si è ancora visto.

Yara e la prudenza che serve

di Alfred Breitman

Fidiamoci delle autorità, ma dati i tempi che corrono, vigiliamo sugli esiti delle indagini legate al caso della tredicenne Yara, scomparsa da Brembate Sopra (Bergamo) il 26 novembre scorso e già data per morta assassinata dagli inquirenti. Un testimone – vicino di casa di Yara – che ha dichiarato di averla vista insieme a due uomini adulti nei pressi dell’abitazione della giovane e che ha affermato di aver notato nelle vicinanze una citroen rossa ammaccata non solo non è stato creduto, ma è anche stato denunciato per procurato allarme e falso. Se vi sono altri testimoni di quello stesso evento, dopo la sorte toccata al primo, di certo non si faranno avanti. Successivamente sono scattate, in tempi record, intercettazioni nei confronti di un giovane operaio tunisino, che è stato bloccato mentre si trovava a bordo di un traghetto e accusato di omicidio. Pare che in una telefonata abbia detto: “Che Allah mi perdoni, ma non l’ho uccisa io”. Un’espressione che fa pensare che il giovane temesse di essere sospettato del crimine, magari – chissà? – dopo essere stato avvicinato da qualcuno che l’abbia spaventato comunicandogli tale ipotesi. Non ha detto: “L’ho uccisa io,” ma “non l’ho uccisa io!”. Vi sono attinenze con casi del passato: dal caso Romulus Mailat (il romeno, dopo la condanna in Cassazione è ricorso presso la Corte europea dei Diritti Umani) al caso Racz e Lojos, fino a quello della giovane Rom Angelica, che attende il giudizio in Cassazione riguardo al “tentato rapimento” di Ponticelli. Fidiamoci delle autorità, ma aiutiamole a seguire in ogni momento piste corrette, valutando gli alibi del tunisino e garantendo che i suoi diritti umani, durante gli interrogatori, siano sempre rispettati. Forse Yara è morta. Forse l’ha uccisa il tunisino. Forse i due uomini con la Citroen rossa esistono e forse no. Tuttavia, evitiamo che questo caso termini con un colpevole in galera a vita, ma con una coda di domande e dubbi senza risposta. E nuove ondate di xenofobia che agevolano solo le carriere di politici intolleranti e l’ascesa a un potere sempre più forte da parte dei movimenti razzisti.