Un presidente piccolo piccolo

giorgio napolitano

La mazzata di Giorgio Napolitano al Movimento 5 Stelle è senza precedenti. Ed è sbagliata nella forma e nella sostanza. Mai prima di oggi, il presidente della Repubblica aveva caricato a testa bassa un partito politico con regolare rappresentanza in Parlamento, neanche quando si trattava di bande di lestofanti acclarati.
Il fatto che il presidente della Repubblica accusi pubblicamente un partito di fregarsene dei problemi del Paese equivale a stangare la classe politica più giovane (e anche inesperta) e condizionare l’elettorato come mai era accaduto prima. Significa inoltre uscire da un ruolo istituzionalmente equidistante ed entrare in un ambito che non compete al Capo dello Stato.
Le posizioni del M5S possono essere più o meno condivisibili, questo attiene al dibattito politico e  a noi elettori. E’ certo che a fare una classifica di politici che se ne fregano dei problemi del Paese ci sarebbe ben altro da elencare. Eppure Napolitano sino ad adesso è stato equilibrato, e anche un po’ equilibrista, quando c’era da ululare per la vergogna di politici ladri, puttanieri, delinquenti, voltagabbana. I suoi richiami sono stati apprezzati, spesso, per il garbo e per la serena fermezza che oggi, ironia della sorte, sanno tanto di pavidità.
Non mi piace un Presidente che fa il politicante, forte coi deboli, arrogante, conservatore. Non mi piace proprio.

Il tetto che scotta

movimento 5 stelle sul tetto di monetcitorio

Al netto delle simpatie politiche, delle tare ideologiche, dei risentimenti personali, c’è da chiedersi: ma è mai possibile che un Paese in sbattimento per scoprire come salvare dalla legge – e contro la legge – un vecchio pregiudicato, proprietario di un partito che a sua volta è proprietario di una decina di milioni di voti, abbia la faccia di chiedere il conto a quattro parlamentari incensurati che pacificamente, e per mero interesse della collettività, hanno occupato il tetto di Montecitorio?
Si può essere più Online gokken een Nederlands live casino wordt steeds populairder, met de huidige internet technologie is het mogelijk om met dealers uit een echt casino uw favoriete casinospellen te spelen . o meno d’accordo con la politica del Movimento 5 Stelle, ma sprecare tempo istituzionale per andare a cercare il pelo nell’uovo in una manifestazione che ha comunque qualcosa a che fare con la democrazia, è spaventosamente scandaloso rispetto all’esercizio di incostituzionalità in cui i nostri parlamentari si stanno esibendo per strappare dalle maglie dei codici, delle norme basilari della Repubblica, un personaggio losco e pericoloso come Silvio Berlusconi.
Insomma, il danno economico di un manipolo di parlamentari che si asserraglia sul tetto di un palazzo del governo può mai essere ipotizzato, in una Nazione asserragliata sul tetto della civiltà per evitare che i delinquenti prendano, o mantengano, il potere?

Ricordate, il web non è democratico

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Dopo gli ultimi eventi che riguardano il Movimento 5 Stelle (ma non a proposito della politica del Movimento) mi ha colpito l’ennesimo riproporsi del concetto di democrazia in rete. E’ una discussione ormai antica, ma che non si arricchisce di nuovi contributi rimanendo vincolata a un concetto vetusto di maggioranza.
Il web, oggi più di ieri, non garantisce diritti e non sancisce patti di uguaglianza. La falsa prospettiva che chiunque in rete possa avere diritto di parola ha fatto molti danni non già alla verità, che è concetto astratto e delicato, ma alla verosimiglianza, che è concetto più alla portata di noi mortali. Un clic non è un voto, un clic non vale come un altro clic: non esistono certificazioni scientifiche e logiche che diano al web la corona di sovrano della democrazia.
E ciò soprattutto perché quel che è infinitamente grande, è infinitamente ristretto nell’attendibilità giacché se non ci si può contare con ragionevole certezza non si ha l’idea base del terreno su cui muoversi e confrontarsi.
Per non parlare dell’emivita di un clic ragionato, figura molto di moda in questi tempi di politica telematica (e, ripeto, non è solo al M5S che mi riferisco): in un secondo col mouse si può scegliere qualcosa e il suo contrario, basta un movimento impercettibile di polso.
Insomma, chiunque sul web può fare qualunque cosa con la speranza di contare come chi invece si muove con cauti ragionamenti. E ciò è esattamente il contrario della democrazia.

I grillini e lo specchio deformante del web

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Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

E’ vero: la vittoria ha cento padri, ma la sconfitta è orfana. Per questo già da tre giorni gli esponenti siciliani del Movimento 5 Stelle stanno cercando di trovare qualche genitore per il disastro delle amministrative siciliane. (…)
In Sicilia per queste elezioni è sostanzialmente mancato Beppe Grillo come è mancato Silvio Berlusconi, e le rispettive formazioni politiche sono colate a picco. Ciò induce a pensare che la capacità di presa, di calamitare attenzione, del Movimento 5 Stelle sia più simile a quella del Pdl che a quella del Pd, che infatti ha stravinto senza avere un vero leader (manco a pagarlo). Continua a leggere I grillini e lo specchio deformante del web

Il web, la politica e le minacce vaganti

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

La busta coi proiettili inviata al vicepresidente dell’Ars Antonio Venturino ripropone il tema del rapporto tra il linguaggio della politica e il seme della violenza, tra la forza del verbo e l’origine di un’intimidazione. Nello specifico, trattandosi di un caso che riguarda un ex esponente del Movimento 5 Stelle, è bene sottolineare che qui nessuno sta cercando di collegare la ruvidità di certe parole di Beppe Grillo al detonatore di un qualunque tipo di violenza fisica. Non esistono cioè delinquenti “in sonno” che si risvegliano, come nel film “Telefon” di Don Siegel, quando qualcuno scandisce le parole cruciali (o magiche, fate voi).
Esiste invece un complesso amalgama sociale che trova nella Sicilia una sua specificità. Continua a leggere Il web, la politica e le minacce vaganti

La visione stipendiocentrica dei grillini

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Un estratto dall”articolo di oggi su la Repubblica.

Più che al cuore del problema bisogna mirare all’ombelico della questione: perché ombelichismo e autoreferenzialità sono ingredienti fondamentali dell’ultima polemica che coinvolge il Movimento 5 Stelle siciliano.
Il vicepresidente dell’Ars Antonio Venturino è stato messo fuori gioco dal suo gruppo parlamentare perché da due mesi non restituisce più nulla della sua busta paga: in pratica si comporta come tutti i colleghi degli altri partiti. Lui dice che 2.500 euro netti al mese non bastano per il corretto svolgimento del suo mandato parlamentare e prova ad ammantare il suo ragionamento/sfogo con considerazioni più prettamente politiche: le occasioni perdute per far ripartire il Paese, l’inciucio, il rapporto inesistente con Beppe Grillo e via discorrendo.
Sarà. Ma quello che produce la deflagrazione nel movimento non è il mal di pancia del Venturino politico e libero pensatore, ma il portafoglio del Venturino parlamentare regionale. Ed è inutile andare a scavare tra le parole, che qui non sono pietre ma monete, giacché tra i grillini la fatwa è immediata quando si sgarra sull’impegno elettorale che riguarda i rimborsi (e Beppe Grillo non ha usato metafore per esporre il vicepresidente dell’Ars al ludibrio dei suoi movimentisti). Continua a leggere La visione stipendiocentrica dei grillini

Uno che di fucili se ne intende

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Se qualcuno tra qualche mese prende i fucili non lamentiamoci, abbiamo messo un altro banchiere all’economia. La situazione se non migliora, peggiora e non so quanto la gente possa resistere, non so quanto il Movimento possa frenare la violenza della gente, che è nella natura delle cose.

Quelle dell’ideologo del Movimento 5 Stelle, Paolo Becchi, vengono definite dichiarazioni choc, come se vivessimo a Disneyland. In realtà si tratta di acqua fresca, specie se confrontate con l’immensa mole di citazioni di uno come Umberto Bossi, capo storico della Lega Nord e ministro in due governi di Berlusconi.

“Quando avremo perso tutto, quando ci avranno messo con le spalle al muro, resta il fatto che le pallottole costano 300 lire”. 23 settembre 1993

“Se non avessimo impedito la rivolta si sarebbe incendiato tutto il Nord. E se in Sardegna, un’area isolata, qualche mitra lo puoi trovare, in Lombardia trovi tutto, dai cannoni agli aeroplani…”. 29 agosto 1994

“Il processo storico va avanti verso il cambiamento con o senza violenza, io spero senza violenza inutile. Prima della fine del ’97 l’Italia come la conosciamo non ci sarà più, ci sarà la Padania”. 26 ottobre 1996

“Amici magistrati, il rischio è che ci sia una Pasquetta, ma più che una Pasquetta come quella del 1916 in Irlanda: non verrebbero 1.500 uomini a imbracciare il fucile; saranno 150.000 e il giorno dopo un milione e poi…”. 18 aprile 1998

“Democristiani, socialisti, comunisti… Questa era gente da tirar giù, da portare in piazza e fucilare, perché quando uno fa fallire un paese lo si fucila”. 25 settembre 2003

“Non abbiamo mai tirato fuori fucili, ma c’è sempre una prima volta”. 26 agosto 2007

“Se non si va al voto facciamo la rivoluzione, vuol dire che mettiamo in piedi la polizia del Veneto, della Lombardia, del Piemonte. Certo ci mancano un pò di armi, ma prima o poi quelle le troviamo”. 23 gennaio 2008

“Se necessario, per fermare i romani che hanno stampato queste schede elettorali che sono una vera porcata e non permettono di votare in semplicità e chiarezza, potremmo anche imbracciare i fucili”. 6 aprile 2008

“Ora dobbiamo portare a casa tutto il possibile democraticamente. Per i fucili c’è tempo…”. 19 agosto 2010

Dite a Grillo che sono preoccupato

beppe grillo

Dove vuole arrivare Beppe Grillo? La domanda la pongo a me stesso e non ai militanti del Movimento 5 stelle che, come telecomandati, mi risponderebbero: “Ad azzerare il sistema attuale”. Che poi sarebbe anche una risposta che mi convince se solo intravedessi i passaggi elementari di una strategia così dirompente. Perché – lo dico pubblicamente – io il movimento di Grillo l’ho votato: mi sentivo di dare fiducia ai giovani, alle facce nuove, alla politica pulita, alla democrazia low-cost.
Però adesso sono allarmato perché non ci capisco niente.
Grillo mostra, almeno nelle prime battute, di muoversi con schemi vetusti, lui che si pone come il grande rinnovatore. La logica di schieramento rigida e inscalfibile è roba da partito comunista di quarant’anni fa, chi ha la mia età se la ricorda. La blindatura delle dichiarazioni non concordate e l’accentramento del sistema di comunicazione è un’invenzione di Berlusconi, anno di grazia 1994. La ruggine del “chi non è con me è contro di me” è l’elemento che ha distrutto movimenti di popolo come la Rete, ed è passato qualche decennio. Continua a leggere Dite a Grillo che sono preoccupato

Chi cerca il pelo nel Grillo

C’è una gara – nel web, nei giornali, nei tinelli – a chi gode di più nel tentare di cogliere in fallo i parlamentari del Movimento 5 stelle o Beppe Grillo. E’ – lo scrivevo ieri in un tweet – una moda tipicamente italiana quella di puntare alla decostruzione di qualcosa che si è appena, democraticamente, costruito. Non intendo tirare la volata a quelli del M5S (tra l’altro ne ho scritto anche criticamente talvolta qui e sulla carta stampata) però mi piacerebbe vivere in un Paese in cui, dopo le elezioni, ci si concentra tutti sul risultato e sui frutti che quel risultato può dare. Il che non intaccherebbe lo spirito critico, ma almeno darebbe l’impressione di essere popolo, comunità, nazione, e non una gigantesca macchina a gettoni che si tira fuori a ogni consultazione elettorale.
Mi piacerebbe che un giorno qualcuno, di qualsiasi partito, coniasse uno slogan di questo tenore: noi lavoriamo per voi, voi abbiate la pazienza di restare uniti.

Dal “resistere” al cubo, al lapidario “vaffanculo”

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Ci sono due modi per cercare di capire come il “Movimento 5 stelle”, che ha la ruvidezza della protesta e la profondità dell’opinione, possa aver attecchito in modo così esemplare in una terra come la Sicilia, nella quale il voto di scambio – sia reale che simbolico – è sempre stato il perno di ogni competizione elettorale.
Il primo consiste nello scattare una fotografia dell’attuale situazione sociale ed economica e nell’analizzarne, con una lente d’ingrandimento, alcuni dettagli. Nella grana dell’immagine sono evidenti molti spazi vuoti: è il vuoto delle promesse che non possono più essere fatte, il vuoto di credibilità della politica isolana, il vuoto di motivazione strategica dei partiti. Nel voto di scambio è fondamentale la merce che passa di mano e se questa manca, viene meno la garanzia sulle speranze a buon mercato. Il movimento di Grillo ha riempito questi buchi, ponendosi non come alternativa – che sarebbe stato un tipico ragionamento politico, di quelli classici insomma – ma fisicamente come mastice, che ha chiuso, sigillato gli spazi vuoti.