Spremuta di fan

Il famoso caso Ferragni, dopo le rivelazioni di Selvaggia Lucarelli recentemente compattate nel suo libro “Il vaso di Pandoro, ascesa e caduta dei Ferragnez”, è uno spunto importante per identificare il nostro periodo storico come l’epoca dei fan.

I fan hanno acquisito un ruolo sempre più determinante, soprattutto nel mondo dell’arte ma penso anche ad ambiti diversi come quello della pubblicità e della comunicazione in generale, grazie alla possibilità (molto moderna) della cosiddetta riproducibilità tecnica delle opere. Un tempo infatti un’opera veniva ammirata, ascoltata una tantum. Oggi invece viene riprodotta e necessita quindi di un gran numero di persone che la consumino, la digeriscano a ripetizione. Attenzione, non sto parlando di pubblico generico, ma di fan. La differenza è abissale e la spiega bene Claire Dederer nel suo libro “Mostri” (che vi consiglio vivamente): “Chi fa parte di un pubblico generico consuma un’opera d’arte senza esserne definito; il fan invece è un superconsumatore, un ultraconsumatore, un consumatore che viene consumato”. Nel libro la Dederer affronta il tema dei temi: distinguere o no le vite dalle opere di geni come Roman Polanski, Picasso, J.K. Rowling, Michael Jackson, Woody Allen, Vladimir Nabokov? Possiamo continuare ad ammirare le loro opere anche se alcuni di loro si sono comportanti in modo discutibile se non addirittura criminale?

Il caso Ferragnez è ovviamente ben diverso: non si tratta, senza offesa per nessuno, di geni o di pilastri culturali. Ma il ruolo dei fan è comunque identico a quello che si verifica nei casi degli artisti di cui sopra.

Il fan davanti al prodotto dei suo divo, che sia pandoro o romanzo, che sia canzone o reel, si nutre bulimicamente dell’oggetto del suo desiderio e tende a perpetrarlo ciecamente, in un ciclo senza fine. Per dire, in molti hanno pianto per i Beatles o per l’addio dei Take That, ma lì c’era un’emozione lineare: che nasceva, esplodeva e si spegneva.
Oggi si parla di fan impazziti proprio perché il fluido del prodotto si miscela con l’allure più o meno sintetica del produttore conferendo al seguace (follower) una passione cieca, irrazionale, spesso contraddittoria: si amano personaggi negativi le cui opere diventano gesta. Questo status speciale del fan condiziona tutte le scelte dell’industria che pare coccolare il suo pargolo adorante, ma invece lo rende qualunque, inutile come singolo, inesistente come essere pensante.

L’esperienza estetica è legata alla nostalgia, al ricordo, al vissuto di ognuno di noi. La riproducibilità tecnica estremizzata dai nuovi mezzi di fruizione tecnologici azzera i puntelli del ricordo in quanto spalma l’evento che doveva essere memorabile in un tempo in(de)finito e artificiale (la compulsività del fan lo rende cieco).  
I Ferragnez sono il frutto perfetto di questo albero dai frutti artificiali. Plastica, bit, algoritmi. Come i loro fan, solo più ricchi.

And the winner is… Disco Inferno

disco inferno

L’altra sera mi è capitato di fare una cosa che non facevo da secoli. Ballare. L’occasione è stata utile non solo per far ridere gli astanti con le mie movenze da tecno-bradipo, ma per riportare alla memoria vecchie musiche (ma non musiche vecchie).
Per ragioni anagrafiche sono molto legato alla discomusic, al soul e al funky. Però la mia personale top ten di brani dance è quanto di più popular ci possa essere.

10) I was made for loving you – Kiss

9) I feel love – Donna Summer

8) High steppin’ hip dressin’ fella – Love Unlimited

7) Music and lights – Imagination

6) Billie Jean – Michael Jackson

5) Le freak – Chic

4) Ladies night – Kool and the gang

3) You should be dancing –Bee Gees

2) Boogie wonderland – Earth Wind & Fire

1) Disco Inferno – The Trammps

Non ci sono più i morti di una volta

Non esistono più le grandi scomparse di una volta, quelle morti che facevano un buco nella storia.
Fate una prova, elencate gli scrittori, i musicisti, i cantanti, i pittori che non ci sono più e cercate di misurare il grado di mancanza che sono riusciti a generare con la loro dipartita.
Oggi mi pare che tutto sia diverso. Dico mi pare perché è ovvio che siamo in un ambito in cui vige la dittatura della soggettività.
Di fatto, per quel che è la mia percezione, Steve Jobs se n’è andato qualche giorno fa e, a parte qualche fiore davanti a un Apple store, il dibattito è tutto sulla sua eredità tecnologico-sociale e sulle colpe degli iPhone addicted. Due anni fa è morto Michael Jackson e se ne parla ancora solo perché c’è un mistero sulla sua fine. La scorsa settimana hanno dato il Nobel per la medicina a uno che era morto tre giorni prima.
Storie diverse, ovviamente. Ma con un sottotesto comune. La ferita si rimargina presto, come per effetto di una polvere miracolosa.
Quando mori Jimi Hendrix, la sua Fender “mancina” divenne un simbolo del rock. Leonardo Sciascia è ancora un autore da bestseller. La grandiosità di Antoni Gaudì non è stata offuscata dalla sua fine grottescamente misera.
Insomma il personaggio oggi non vive più nel mito delle sue opere, ma al contrario sono le sue opere a seppellirlo.

Otto matrimoni e un funerale

Liz Taylor sarà seppellita nello stesso cimitero di Michael Jackson, Farrah Fawcett, Dean Martin, Truman Capote e possibilmente vicino a Marylin Monroe.
Si dice che i suoi occhi non fossero proprio viola, ma so che da giovane era uno schianto di donna. Si dice che molte delle sue battaglie civili, non ultima quella contro l’Aids, fossero ispirate da motivi personali, ma non mi risulta che un’esperienza diretta vada a detrimento dell’impegno a fin di bene. Si dice che nonostante i sette mariti (sposò Richard Burton due volte) negli ultimi anni trovasse compagnia in un cagnolino di nome Sugar, ma sappiamo come gli animali sappiano essere degni supplenti degli esseri umani.
Si dice che fosse l’ultimo mito di Hollywood, ma ci piace credere che i miti non muoiono mai, anche se per diventare davvero miti hanno bisogno di morire.

Pioggia, cocaina, siti web

Foto di Paolo Beccari
Foto di Paolo Beccari

Su I love Sicilia di questo mese.

Millimetri di pioggia caduti in quattro ore nel Messinese, il primo ottobre scorso: 230

Millimetri di pioggia caduti mediamente nel Messinese, in un anno: 893

Nell’Ennese: 695

Nel Trapanese: 452

Millimetri di pioggia caduti su Firenze, nell’alluvione del 1966, in 24 ore: 190

Euro previsti dal piano della Protezione civile per interventi nella zona di Giampilieri, dopo l’alluvione del 2007:  11.000.000

Effettivamente arrivati: 945.000

Euro chiesti dal Comune di Scaletta Zanclea, dopo l’alluvione del 2007: 20.000.000

Effettivamente arrivati: 500.000

Comuni a rischio idrogeologico della provincia di Messina: 91

Euro spesi dalla Regione Friuli per il software che consente al T9 dei telefonini di scrivere sms in friulano: 35.000

Euro spesi da Giampaolo Tarantini nell’estate 2008 in cocaina: 35.000

Euro pagati a Patrizia D’Addario per un’intervista alla tv turca Haberturk: 35.000

Euro spesi mensilmente da Michael Jackson per i farmaci: 35.000

Euro sborsati all’asta da un fan di Michael Jackson per aggiudicarsi un suo guanto: 35.000

Posto del Corriere.it nella classifica italiana dei siti più cliccati: 17

Di Youporn: 14

Di Facebook: 2

Di Google:1

Scie chimiche e scie comiche

Foto di Paolo Beccari
Foto di Paolo Beccari

Ieri mattina ho partecipato a un dibattito radiofonico su scie chimiche e altri presunti complotti ai danni dell’umanità.  Il mio contributo alla trasmissione era puramente giornalistico, ma più che portare fatti (non sono un esperto di complotti) difendevo La Notizia come entità ormai sconosciuta.
Gran parte degli argomenti branditi dai “complottisti” sono basati su notizie non verificate, non pesate e coltivate in modo estensivo. Cioè, uno spara una fesseria che è talmente bella da non poter essere relegata in un ruolo di fesseria. Un altro la riprende, un altro fa lo stesso e così via. La fesseria a ogni passaggio si arricchisce di nuovi elementi, diciamo di microfesserie, che con uno strano meccanismo finiscono per legittimare ulteriormente la testimonianza di partenza (che, non dimentichiamolo, è una fesseria). Né più né meno una catena di Sant’Antonio di una innocente superficialità, una catena che non ha una fine: il “complottista” perfetto, infatti, non prevede una soluzione per i misteri che crede di voler svelare. Perché constatare che le cose spesso capitano per caso e che, addirittura, hanno un inizio e una fine, comporta un procedimento mentale in cui bisogna arrendersi all’evidenza. E l’evidenza è nemica del “complottista”.
Qualcuno dovrebbe spiegare a queste persone che il colpo di scena viene a noia in un copione costruito solo coi colpi di scena. Ma che ci volete fare? L’uomo sulla luna, l’11 settembre, la morte di Michael Jackson sono eventi troppo complessi per non essere stati architettati da un Grande Vecchio che sta a metà tra Fantomas e Totò Diabolicus.
Risate, applausi, sipario.

La famiglia ringrazia

Michael Jackson

Alberoni di Francia

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Non so voi, ma la prima cosa che ho pensato quando ho letto questo articolo di Bernard Henry Lèvy su Michael Jackson è stata: “Tanto per scrivere qualcosa”.
Anche la Francia ha il suo Alberoni?

L’innovatore infelice

michael-jackson

Ora qualcuno vi rimbambirà con la storia della rockstar maledetta, sfruttata e incompresa. Chi invece con Michael Jackson è nato, cresciuto e invecchiato sa bene che le cose sono andate diversamente.
Jacko era un genio della musica, calcolatore e furbo. Un uomo forte della sua debolezza e delle sue debolezze. Un artista incapace di piegarsi alle ragioni dell’umana convivenza: il culto della parte proibita di sé, la distanza da un aspetto fisico legittimo, la droga della solitudine.
Jackson ha suonato, cantato e arrangiato pop, R&B, funk, soul, disco, dance. Ed è stato il più bravo. Prima che le classifiche musicali fossero monopolizzate dai grandi circuiti radiofonici, ha piazzato i suoi album ai vertici e ha costretto la storia ad occuparsi di lui, almeno come recordman (Thriller è ancora l’album più venduto di tutti i tempi).
Non è stato incompreso, ha voluto essere incomprensibile per tutto ciò che stava fuori dalla sua musica. Tanto lineari erano le sue architetture armoniche, tanto aggrovigliate apparivano le sue vicende personali.
Michael Jackson era, per sua stessa scelta, un innovatore infelice, un folletto deluso dalla propria bizzarria. Nei suoi piani – ne sono certo – non c’era la felicità, ma l’invenzione.
Forse se n’è andato troppo tardi.