Non esistono più le grandi scomparse di una volta, quelle morti che facevano un buco nella storia.
Fate una prova, elencate gli scrittori, i musicisti, i cantanti, i pittori che non ci sono più e cercate di misurare il grado di mancanza che sono riusciti a generare con la loro dipartita.
Oggi mi pare che tutto sia diverso. Dico mi pare perché è ovvio che siamo in un ambito in cui vige la dittatura della soggettività.
Di fatto, per quel che è la mia percezione, Steve Jobs se n’è andato qualche giorno fa e, a parte qualche fiore davanti a un Apple store, il dibattito è tutto sulla sua eredità tecnologico-sociale e sulle colpe degli iPhone addicted. Due anni fa è morto Michael Jackson e se ne parla ancora solo perché c’è un mistero sulla sua fine. La scorsa settimana hanno dato il Nobel per la medicina a uno che era morto tre giorni prima.
Storie diverse, ovviamente. Ma con un sottotesto comune. La ferita si rimargina presto, come per effetto di una polvere miracolosa.
Quando mori Jimi Hendrix, la sua Fender “mancina” divenne un simbolo del rock. Leonardo Sciascia è ancora un autore da bestseller. La grandiosità di Antoni Gaudì non è stata offuscata dalla sua fine grottescamente misera.
Insomma il personaggio oggi non vive più nel mito delle sue opere, ma al contrario sono le sue opere a seppellirlo.