L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore
Non so voi, ma la prima cosa che ho pensato quando ho letto questo articolo di Bernard Henry Lèvy su Michael Jackson è stata: “Tanto per scrivere qualcosa”.
Anche la Francia ha il suo Alberoni?
L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore
Non so voi, ma la prima cosa che ho pensato quando ho letto questo articolo di Bernard Henry Lèvy su Michael Jackson è stata: “Tanto per scrivere qualcosa”.
Anche la Francia ha il suo Alberoni?
Io invece ho pensato: che noia!
Quindi la contessa ha pensato comunque ad Alberoni!
Lo pagano. Deve pur scrivere qualche cosa. Ma potrebbe anche non farlo, non pensate?
A me invece è piaciuto particolarmente, tra il visionario e il macabro, sembrava già uno spunto per un romanzo (kafkiano?).
Penso che aver saccheggiato un paio di vocabolari per poter far sfoggio di cultura e proprietà di linguaggio, non necessariamente significhi trasmettere idee e concetti. Che poi è la cosa che normalmente ci si aspetta da un filosofo…
A me è sembrata semplicemente un’interpretazione forzata. Della quale mi sembra poco convinto lui per primo.
Se anche non avesse scritto niente, io non avrei sentito la mancanza di queste parole, che trovo poco illuminate.
Non ho bisogno neanche di leggerlo, lo “vedo” (modo di dire) da anni esibire il suo cliché nelle tv francesi; e la sua camicia bianca, ridicolo! Non ha sortito un tubo di personale dalla sua mente, neanche un’aforisma: « Aforisma: una verità detta in poche parole – epperò detta in modo da stupire più di una menzogna. »
(Giovanni Papini) Lui niente, “stupisce”, al contrario, solo le sue camicie e i capelli da eterno studente fighetto. Ha imparato tante cose (compresi i filosofi) a memoria, da bravo studente, e cita e ripete; solo quello … Ma il suo cliché vende bene, lui e la sua moglie piccola starlette militano per le cause dei poveri, dei miserabili ed esclusi dalla società capitalista, certo, pero’ vivono in un appartamento di 500 M2 a Saint Germain des Près; è vero, non sono i soli a sfruttare la charity-business. Non l’ho letto, ma non mi aspetto niente di buono da chi sfrutta la miseria del prossimo (anche quella di jackson?) per alimentare il proprio cliché, e di conseguenza il proprio conto in banca.
Sono d’accordo con “la contessa”.
… con le sue camicie …
Saint Germain des Prés. Approfitto della correzione ( des prés ) per dire che a suo tempo il quartiere beneficiava di un certo cliché comunque fondato ( cantanti, attori, registi, autori, intellettuali, scrittori, clubs, artisti vari … ), oggi è il ritrovo dei ricchi parvenus e non, tra i quali non pochi italiani ( del nord in prevalenza ) con “soldi da spendere”, insomma, è sempre un bellissimo quartiere, ed è il più caro di Parigi (da 9000 a 15000 € al M2).
Sulla ricchezza del conto in banca di Lèvy e su quello che spende a cena non moralizzo. Sono affari suoi. Mi infastidisce la povertà dei suoi argomenti nell’articolo in questione.
MA io non moralizzo, cacciatorino. Anch’io ho vissuto in quel quartiere, per diversi anni, fino a qualche anno fa. Io criticavo la sua pochezza, e lo sfruttamento della miseria altrui – l’uso ipocrita della charity-business – per fini pubblicitari, per alimentare il cliché. Se io aiuto un clochard con i suoi animali non lo racconto in giro! Come vedi non è la stessa cosa che hai capito tu.
P.S. quando ho scritto “con soldi da spendere” intendevo nell’immobiliare, per ottenere redditi in percentuali “da miseria”, 2%; 2,5%; in casi eccezionali 3%. Pero’ quei soldi si devono “spendere”. Ma poi tutte le cattive fame le abbiamo noi siciliani, e meridionali in genere.
@Gigi: mi perdoni, ma mi è sembrato che nei suoi pochi interventi ci sia una già notevole percentuale di “hai capito male” o “non è come hai capito tu”. Le cose sono due: o lei è un incompreso perenne o forse non si spiega così chiaramente come crede. Non me ne voglia, magari è solo un’impressione.
Cacciatorino, in effetti è valida la tua seconda ipotesi.
Non te ne voglio per niente.
O forse era chiaro solo per me che se chiedo “cu è fissa ?” era sottinteso il significato, visto quello che avevo detto prima.
O forse, se criticavo la pochezza, in tutti i sensi, di Lèvy, e la sua abilità nell’uso della charity business ad uso del suo cliché mi sembrava evidente che avevo accennato al suo conto in banca solo come conseguenza, secondaria rispetto agli elementi principali della mia critica, anche se nel suo caso gli elementi sono legati tra loro, cioè, abile utilizzo di cliché (dai risultati letterari discutibili, o mediocri) e di charity business per arricchirsi.
Pero’, più ci penso e più mi convinco che quella valida è la tua seconda ipotesi.
Prometto, e mi riprometto, di migliorarmi.
Ciao.
Leggo solo ora l’impressione di Giacomo Cacciatore sull’ articolo di Levy riguardo a Michael Jackson: è stata la mia stessa impressione, con l’aggiunta della constatazione che spesso chi scrive, come chi parla, non è documentato.
Sara’ che questa morte mi ha colpito cosi’ tanto (io stessa ne sono meravigliata, a 55 anni ) , sara’ che ormai sono allergica a chi sputa giudizi senza approfondire, sarà che non sopporto le persone così sicure di se da emettere sentenze, senza lasciare spazio a nessun ‘ ombra di dubbio.