Cammarata e il Giornale di Sicilia


Nell’intercettazione pubblicata oggi dal Giornale di Sicilia il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, dà dello psicopatico al condirettore del giornale, Giovanni Pepi, e suggerisce all’ex presidente dell’Amia, Gaetano Lo Cicero, di tenere pulite le strade in cui abitano Pepi e il direttore del quotidiano Antonio Ardizzone.
Queste righe ci dicono alcune cose a mio parere importanti.
1)    Il sindaco, che ha sempre teso a minimizzare l’emergenza immondizia, ammette che Palermo annega nella spazzatura e invita, colpevolmente, Lo Cicero a fregarsene del “resto della città” e a concentrarsi solo sulle zone calde.
2)    Il Giornale di Sicilia, che in passato e per lungo tempo ha tenuto nei confronti di Cammarata, un atteggiamento benevolo e protettivo ha, negli ultimi mesi, cambiato registro.
3)    Il camper del GdS ha un’utilità sociale e, da oggi, giudiziaria. Vero giornalismo on the road.
4)    Un sindaco che parla così di un giornalista è un cialtrone.
5)    Un sindaco di Palermo mollato dal giornale di Palermo, se non si chiama Leoluca Orlando, va a picco senza lasciare bollicine.

Giornalisti e rapporti plurimi

C’è una singolare crociata del Giornale di Sicilia per il rispetto del contratto di lavoro dei giornalisti, anzi per il rispetto di un articolo in particolare, il numero otto, che riguarda i cosiddetti “rapporti plurimi” (niente a che fare col sesso). L’articolo in questione recita nella sua parte finale:

… In ogni caso il giornalista non potrà assumere incarichi in contrasto con gli interessi morali e materiali dell’azienda alla quale appartiene.

E quali sono questi incarichi che arrivano a intaccare gli interessi morali e materiali dell’amorevole azienda mamma, mammella e chioccia? Si chiamano collaborazioni e rappresentano la principale (o spesso unica) forma di guadagno per centinaia di giovani giornalisti che non hanno un’assunzione.

Funziona così: siccome un articolo il GdS lo paga due, tre o quattro euro, il povero collaboratore si fa un mazzo così per arrivare a pubblicarne – quando è bravo e benvoluto – una decina ogni due settimane e per raggranellare i suoi ottanta euro mensili lordi. Va da sé che il medesimo collaboratore non campa d’aria ed è lecito che abbia lo stesso appetito di un caporedattore o di un direttore: deve mangiare pure lui, magari non le aragoste appena arrivate da Mazara, ma un piatto di pasta e un panino al giorno gli devono essere concessi. Diciamo che, se non esagera, se la cava con una spesa di centocinquanta euro al mese. Soldi che bastano – è bene ricordarlo –  soltanto per un panino e un piatto di pasta. Roba da “Boccone del povero”.

Gli euro pagati dal Giornale di Sicilia coprono appena il cinquanta per cento delle spese vitali.

Il collaboratore è quindi costretto a intensificare le sue collaborazioni. E mica può andarsele a cercare in giro per il mondo o nei grandi gruppi editoriali. Lui non è (ancora) una grande firma, deve farsi le ossa con le realtà locali.
Se è fortunato riesce a inserirsi in altre redazioni, di mensili e siti web, che lo pagano e gli consentono di raggiungere i famosi centocinquanta euro del minimo vitale.

Bene, sapete cosa fa il Giornale di Sicilia?

Diffida il collaboratore, in virtù del contratto di lavoro, a scegliere:  il GdS o il mensile,  ottanta miseri euro al mese o pussa via.
In tal modo il collaboratore si ritrova, come si dice, cornuto e bastonato: viene trattato come un giornalista assunto a tempo indeterminato pur non essendolo; gli viene caricato sul groppone un dovere che non corrisponde a un diritto che lo ripaghi adeguatamente.

L’enormità dell’ingiustizia è talmente palese che non servono sommi sindacalisti o giuslavoristi blasonati per dirimere la questione. Ci vogliono soltanto un Ordine dei giornalisti  e un’Associazione della stampa che capiscano che questa da oggi è la loro missione principale: tutelare i deboli, schierarsi in modo chiaro ed efficace, mettere in coda le beghe da cortile e agire su tutti i fronti. Su quello sindacale, su quello politico e su quello giudiziario.

Il contratto di lavoro non è stato scritto per affamare la gente, ma per evitare le ingiustizie.

Un giornalista non vale un cassonetto

Le storie dei giornalisti, cioè le storie di coloro i quali dovrebbero raccontarle, sono ontologicamente poco interessanti, come la carie dei dentisti o gli ombelichi degli ombelichisti. Però ce n’è una del Giornale di Sicilia di Palermo che va raccontata, seppur in breve.
Nel 2008 l’azienda e il cdr (comitato di redazione, cioè l’organo sindacale) si accordano su un premio di produttività che andrà corrisposto in buoni pasto l’anno seguente ai giornalisti. Poi però, al momento di aprire la borsa, gli editori fanno un passo indietro adducendo come motivo le incertezze dei mercati internazionali, la crisi mondiale e forse anche l’invasione delle cavallette. Quelli della redazione del GdS, che sono brave persone e che si fidano ancora di quel che scrivono i giornali, per un po’ ci credono e alzano le spalle: la crisi è crisi, se è guerra è guerra per tutti, e porca miseria tocca a noi dare l’esempio.
Passa qualche settimana fino a quando sulle colonne dello stesso Giornale di Sicilia si legge che l’editore ha deciso di stanziare 50 mila euro per l’acquisto di cinque nuovi autocompattatori per dare un esempio nella lotta all’emergenza rifiuti.
Il GdS non è nuovo a simili sponsorizzazioni. Qualche anno fa si lanciò in una campagna di restyling dei cassonetti di Palermo patrocinandone un rivestimento artistico: in pratica i contenitori dei rifiuti venivano avvolti in grandi tele adesive che riproducevano le opere di importanti pittori siciliani. Risultato: i cassonetti venivano bruciati lo stesso, ma con una sorta di effetto Giovanna d’Arco che prometteva un trafiletto nella Storia.
Finì come finì, senza un briciolo di memoria nella città che della memoria fa briciole.
Ora l’iniziativa del GdS, quella degli autocompattatori (non quella dei cassonetti d’artista che era talmente ardita da poter essere definita insensata a clamor di popolo), potrebbe essere condivisibile se non ci fosse un fondamentale accordo pregresso con la redazione: i premi di produttività non sono promesse da marinaio o cartoncini del “gratta e vinci”.
E soprattutto l’operazione non desterebbe sospetto se l’interlocutore non fosse quel sindaco Cammarata che è primo attore delle vicende che riguardano la raccolta dei rifiuti a Palermo, come le recenti vicende giudiziarie confermano.
Morale: i giornali non sono spazzatura, ma la spazzatura conta più dei giornalisti. Almeno con questo sindaco e con certi giornali.

L’elemosina degli editori

Mi segnalano un’interessante ricerca dell’Ordine dei giornalisti, dalla quale estrapolo le cifre che seguono.

Euro pagati dal Giornale di Sicilia per un articolo al di sotto delle 20 righe: 1,03

Per un articolo da 1.000 a 2.500 battute: 3,10

Euro percepiti dal Giornale di Sicilia dallo Stato come contributi all’editoria: 497.078*

Euro pagati da La Sicilia per una notizia flash: 2,60

Per una notizia non flash: 3,20

Per un articolo regionale: 10,33

Per un articolo nazionale: 15,50 euro

Euro percepiti da La Sicilia dallo Stato come contributi all’editoria: 255.809*

Per i lettori di questo blog, tutto ciò non costituisce novità. L’elemento aggiuntivo è che però, stavolta, l’Ordine nazionale ha deciso di trasmettere gli atti di questa ricerca alla magistratura: che è cosa buona e giusta.

Con queste righe spero di aver reso il mio buon servizio alla nobile causa, quindi – lo dico a tutti i colleghi giornalisti – finitela di telefonarmi, inviarmi e-mail per “ricordarmi” chi devo votare alle elezioni di questo weekend. La maggior parte di voi è per me gente sconosciuta e a me scoccia fingere familiarità con chi non ho mai visto, ascoltato e, quel che è peggio, letto.

* (Elaborazione Italia Oggi del 12 maggio 2007, dati riferiti al 2006)

Grazie a Tony Gaudesi.

L’albero Falcone, i fogli e le foglie

L’indignazione prêt-à-porter per l’oltraggio all’albero Falcone meriterebbe come minimo un convegno (al quale mi piacerebbe partecipare, anche come cameriere). Invece viene liquidata dai media come la reazione a un fatto di cronaca: come un evento e non come un fenomeno.
Ebbene, secondo me, dietro c’è molto altro.

C’è l’affezione comoda al simbolo più comodo. Un albero non è – per esempio – una scuola, non c’è bisogno di mantenerlo, non costa nulla e vale tantissimo in termini di ritorno d’immagine. Non a caso l’albero Falcone è il ritrovo ideale per politici di ogni stagione. In un luogo del genere le fedine penali dovrebbero valere più delle cariche istituzionali, eppure la coltura estensiva della memoria a buon mercato fa tali miracoli che nemmeno la più truce riforma berlusconiana potrebbe eguagliare. E poi i morti non possono protestare.

C’è un costume furbo di mostrarsi senza schierarsi. Davanti all’albero Falcone chiunque gode dello status di rifugiato antimafioso senza dover dimostrare nulla fuorché la propria presenza. Non è richiesta un’opinione, men che meno un’intenzione.

C’è l’usurpazione di un passato che è di tutti, ma non per tutti. Falcone e Borsellino appartengono alla nostra storia ma, è bene ricordarlo, non sono – e non sono mai stati – un modello universale. Tra quelli che passeggiano sotto l’albero di via Notarbartolo ci sono ancora mandanti più o meno occulti ed esecutori più o meno coperti di delitti che hanno rischiato di radere al suolo le nostre speranze.

C’è infine una certa antimafia casual, figlia dell’anti-antimafia degli anni ’80 che contrastava la Primavera di Palermo e flirtava coi poteri forti ancora (e per poco) non insozzati di sangue. Esiste un’ampia pubblicistica al riguardo, basta andare a consultare le collezioni del Giornale di Sicilia degli anni Ottanta: dalla signora che protesta per le sirene delle scorte, alle campagne di stampa contro i metodi del pool antimafia orchestrate dai soliti noti.

Il titolo del Gds ieri, a proposito di quello che veniva definito “misterioso assalto all’albero Falcone” era: “Sfregio alla città”.
Per lo sfregio alla civiltà scrivere al direttore.

Il capocronista Romano

Cambio al vertice della Cronaca di Palermo del Giornale di Sicilia.
Da oggi il nuovo capocronista è Marco Romano, giornalista di esperienza e gran brava persona. Non a caso, questo pomeriggio, Romano si è presentato in redazione con tanto di regali: agende Moleskine per i colleghi.

Auguri.

Diego nel paese delle meraviglie

Il Giornale di Sicilia, con meritorio spirito d’iniziativa, si è offerto di dar corpo al sindaco invisibile di Palermo. Da ieri si può scrivere a Diego Cammarata, tramite un’e-mail fornita dal quotidiano di via Lincoln, per chiedergli come va, come è andata e come andrà.
La rubrica del giornale più rubrichizzato della Via Lattea (presto ci sarà quella che raggruppa le pagine pari per distinguerle da quelle dispari) s’intitola Parola di sindaco e, visto il personaggio, è una bella scommessa.
Il primo cittadino di Palermo è infatti noto per la sua allergia al contraddittorio, per il suo magico defilarsi in uno sbuffo di cipria, per la sua capacità acrobatica di schivare ogni impegno che comporti impegno, per la sua evanescente coerenza del negare sempre.
Parola di sindaco, nel mio immaginario, equivale a Fedeltà di marinaio, o a Genio di un boy scout (in omaggio al comico Jack Benny), o a Vergine di una Selen, oppure fate voi…
Comunque, torniamo a noi. Anzi a lui.
Nel suo esordio sul Gds (lo potete ammirare qui) Cammarata incorre a secondo rigo in un lapsus freudiano. Così si rivolge al fortunato lettore selezionato dalla direzione del giornale.

Innanzitutto voglio ringraziarLa per il tono della Sua lettera, propositivo e attento.

Perché? Si aspettava forse un tono incazzato? E come mai? Chi può mai avercela con lui, sindaco propositivo e attento?
La spiegazione inconscia la fornisce lo stesso Cammarata nell’excusatio del rigo seguente.

In una città grande come Palermo è possibile che si registrino alcune inefficienze nei servizi pubblici.

Il tono è quello di una celebre intervista in cui si descriveva Palermo come una città felice: pochi aggiustamenti e sarebbe un eden in terra, con tanti Cammaratini bianchi a suonare, cantare e brindare leggeri nel cielo.
Segue la disamina del problema lamentato dal lettore, la pulizia di Villaggio Santa Rosalia, nota emergenza della città. Con tanto di autoassoluzione, pratica di cui il sindaco di Palermo è campione mondiale.

E’ anche grazie alla segnalazioni dei cittadini che spesso veniamo a conoscenza di queste inefficienze che non sempre arrivano subito, e direttamente, a nostra conoscenza.

Finisce come nelle favole Fabbri.

La ringrazio signor (…) di avermi scritto e spero che, anche senza il tramite del Giornale di Sicilia, continuerà a farlo. Per rilevare disservizi e guasti e, quando lo riterrà, per rassicurarci sulla bontà degli interventi eseguiti.

Insomma, sentiamoci caro signore. Mi chiami anche in privato. Io sono il sindaco di tutti, e tutti mi interessano. Sono al suo servizio, per servirla servizievolmente. Qualità e convenienza per tutti, non ci sono paragoni. Si fa credito a pensionati, nullatenenti e protestati. Venghino signori.
Il meraviglioso Diego nel meraviglioso paese delle meravigliose meraviglie.

Quasi nomi e cognomi

Sul caso Clelia Coppone il Cdr del Giornale di Sicilia contrattacca. E per poco non fa nomi e cognomi.

P.S.
Vorrei dire la mia su tutta questa storia. Prima però dovrei far approvare un Lodo Palazzotto.

Ok per gli uomini, ma le cose?

E il link porta per giunta a “Uomini e cose di Siracusa“.

Aggiornamento. Ora Siracusa è diventata Ragusa.

Da Gds.it

Didascalie viventi

Sul sito del Gds, con gran senso dell’umorismo, hanno pensato di ritoccare la foto del direttore e del condirettore in modo da stabilire con certezza chi è il primo e chi è il secondo.

Grazie a una segnalazione di Tanus.

Aggiornamento. La foto è stata ritoccata nuovamente.