C’è una singolare crociata del Giornale di Sicilia per il rispetto del contratto di lavoro dei giornalisti, anzi per il rispetto di un articolo in particolare, il numero otto, che riguarda i cosiddetti “rapporti plurimi” (niente a che fare col sesso). L’articolo in questione recita nella sua parte finale:
… In ogni caso il giornalista non potrà assumere incarichi in contrasto con gli interessi morali e materiali dell’azienda alla quale appartiene.
E quali sono questi incarichi che arrivano a intaccare gli interessi morali e materiali dell’amorevole azienda mamma, mammella e chioccia? Si chiamano collaborazioni e rappresentano la principale (o spesso unica) forma di guadagno per centinaia di giovani giornalisti che non hanno un’assunzione.
Funziona così: siccome un articolo il GdS lo paga due, tre o quattro euro, il povero collaboratore si fa un mazzo così per arrivare a pubblicarne – quando è bravo e benvoluto – una decina ogni due settimane e per raggranellare i suoi ottanta euro mensili lordi. Va da sé che il medesimo collaboratore non campa d’aria ed è lecito che abbia lo stesso appetito di un caporedattore o di un direttore: deve mangiare pure lui, magari non le aragoste appena arrivate da Mazara, ma un piatto di pasta e un panino al giorno gli devono essere concessi. Diciamo che, se non esagera, se la cava con una spesa di centocinquanta euro al mese. Soldi che bastano – è bene ricordarlo – soltanto per un panino e un piatto di pasta. Roba da “Boccone del povero”.
Gli euro pagati dal Giornale di Sicilia coprono appena il cinquanta per cento delle spese vitali.
Il collaboratore è quindi costretto a intensificare le sue collaborazioni. E mica può andarsele a cercare in giro per il mondo o nei grandi gruppi editoriali. Lui non è (ancora) una grande firma, deve farsi le ossa con le realtà locali.
Se è fortunato riesce a inserirsi in altre redazioni, di mensili e siti web, che lo pagano e gli consentono di raggiungere i famosi centocinquanta euro del minimo vitale.
Bene, sapete cosa fa il Giornale di Sicilia?
Diffida il collaboratore, in virtù del contratto di lavoro, a scegliere: il GdS o il mensile, ottanta miseri euro al mese o pussa via.
In tal modo il collaboratore si ritrova, come si dice, cornuto e bastonato: viene trattato come un giornalista assunto a tempo indeterminato pur non essendolo; gli viene caricato sul groppone un dovere che non corrisponde a un diritto che lo ripaghi adeguatamente.
L’enormità dell’ingiustizia è talmente palese che non servono sommi sindacalisti o giuslavoristi blasonati per dirimere la questione. Ci vogliono soltanto un Ordine dei giornalisti e un’Associazione della stampa che capiscano che questa da oggi è la loro missione principale: tutelare i deboli, schierarsi in modo chiaro ed efficace, mettere in coda le beghe da cortile e agire su tutti i fronti. Su quello sindacale, su quello politico e su quello giudiziario.
Il contratto di lavoro non è stato scritto per affamare la gente, ma per evitare le ingiustizie.