In qualsiasi modo

Beppe Grillo dice che “bisogna andare al voto in qualsiasi modo” ed è sorprendente come non si accorga del fatto che al Paese serve esattamente il contrario. E cioè una riforma elettorale per non andare al voto in qualsiasi modo.

I grillini e lo specchio deformante del web

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Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

E’ vero: la vittoria ha cento padri, ma la sconfitta è orfana. Per questo già da tre giorni gli esponenti siciliani del Movimento 5 Stelle stanno cercando di trovare qualche genitore per il disastro delle amministrative siciliane. (…)
In Sicilia per queste elezioni è sostanzialmente mancato Beppe Grillo come è mancato Silvio Berlusconi, e le rispettive formazioni politiche sono colate a picco. Ciò induce a pensare che la capacità di presa, di calamitare attenzione, del Movimento 5 Stelle sia più simile a quella del Pdl che a quella del Pd, che infatti ha stravinto senza avere un vero leader (manco a pagarlo). Continua a leggere I grillini e lo specchio deformante del web

Il web, la politica e le minacce vaganti

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

La busta coi proiettili inviata al vicepresidente dell’Ars Antonio Venturino ripropone il tema del rapporto tra il linguaggio della politica e il seme della violenza, tra la forza del verbo e l’origine di un’intimidazione. Nello specifico, trattandosi di un caso che riguarda un ex esponente del Movimento 5 Stelle, è bene sottolineare che qui nessuno sta cercando di collegare la ruvidità di certe parole di Beppe Grillo al detonatore di un qualunque tipo di violenza fisica. Non esistono cioè delinquenti “in sonno” che si risvegliano, come nel film “Telefon” di Don Siegel, quando qualcuno scandisce le parole cruciali (o magiche, fate voi).
Esiste invece un complesso amalgama sociale che trova nella Sicilia una sua specificità. Continua a leggere Il web, la politica e le minacce vaganti

L’ultima cazzata di Grillo

Beppe Grillo, al quale pur si deve una boccata di aria fresca nell’antro della politica italiana, ce la sta mettendo tutta per dimostrarsi peggiore di com’è. Dopo una serie di cazzate che hanno come ultimo anello (cronologico) la lista di proscrizione dei giornalisti, ieri è arrivata la madre di tutte le minchiate: la gogna per il ministro Dario Franceschini che ha inviato un sms agli amici in cui perorava la causa della compagna, Michela Di Biase, candidata al Consiglio comunale di Roma.
Nella furia collettiva di un qualunquismo becero, nel turbine di ignoranza in cui il primo che urla ha più ragione dell’ultimo che pensa, l’accusa di Grillo (Franceschini tiene famiglia!) è un’offesa alla vera politica che il Movimento 5 stelle dovrebbe invece difendere.
Cosa ci aspetta in un futuro grillistico?
Che un marito non possa più fare campagna elettorale per la moglie? Che le colpe dei padri ricadano per linea ereditaria sui figli? Che la purezza sia certificata dalla società di Casaleggio? Che la verità rivelata sia vergata su carta telematica del blog di Beppe Grillo?
Suvvia, Franceschini ha tutto il diritto di inviare sms a chi vuole per sostenere la campagna elettorale della compagna. E purtroppo Grillo ha tutto il diritto di inanellare una scempiaggine dietro all’altra per decretare la fine di un movimento che sembrava alba e che invece è notte sempre più fonda.

La visione stipendiocentrica dei grillini

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Un estratto dall”articolo di oggi su la Repubblica.

Più che al cuore del problema bisogna mirare all’ombelico della questione: perché ombelichismo e autoreferenzialità sono ingredienti fondamentali dell’ultima polemica che coinvolge il Movimento 5 Stelle siciliano.
Il vicepresidente dell’Ars Antonio Venturino è stato messo fuori gioco dal suo gruppo parlamentare perché da due mesi non restituisce più nulla della sua busta paga: in pratica si comporta come tutti i colleghi degli altri partiti. Lui dice che 2.500 euro netti al mese non bastano per il corretto svolgimento del suo mandato parlamentare e prova ad ammantare il suo ragionamento/sfogo con considerazioni più prettamente politiche: le occasioni perdute per far ripartire il Paese, l’inciucio, il rapporto inesistente con Beppe Grillo e via discorrendo.
Sarà. Ma quello che produce la deflagrazione nel movimento non è il mal di pancia del Venturino politico e libero pensatore, ma il portafoglio del Venturino parlamentare regionale. Ed è inutile andare a scavare tra le parole, che qui non sono pietre ma monete, giacché tra i grillini la fatwa è immediata quando si sgarra sull’impegno elettorale che riguarda i rimborsi (e Beppe Grillo non ha usato metafore per esporre il vicepresidente dell’Ars al ludibrio dei suoi movimentisti). Continua a leggere La visione stipendiocentrica dei grillini

Lo sparatore di Roma e gli sparatori di cazzate

attentato luigi preiti sparatoria palazzo chigi

Dopo la sparatoria di ieri davanti a Palazzo Chigi il mondo della PP, Politica Pelosa, ha ceduto alla tentazione di banalizzare il banalizzabile. Di chi è la colpa? Di Grillo, del Movimento 5 Stelle e di chi usa toni accesi su blog e giornali, mica di un fallito che si è giocato tutti i suoi soldi al videopoker e che qualche media ha dipinto frettolosamente come “un disperato che ha perso il suo lavoro”.
Le parole forti in politica non le ha inventate il M5S, basti pensare senza andare troppo lontano nel tempo alle delicatezze linguistiche di Bossi, Calderoli e vari altri intellettuali della Lega Nord. O basti rievocare gli attacchi di Berlusconi ai coglioni che votano a sinistra e ai malati di mente che affollano la magistratura.
Ora se un idiota si mette a sparare all’impazzata e subito dopo ha l’accortezza di pronunciare le parole “politica, politici”, automaticamente viene come deresponsabilizzato dai media: chi alimenta il clima d’odio? Chi carica di tensione sociale gli strati deboli della popolazione? Chi bla bla bla?
Ci vorrebbe un pizzico di buonsenso prima di sfornare opinioni come se fossero pagnotte. Il clima d’odio e la tensione sociale sono frutto di ventenni di politiche dissennate, di vergognose ruberie, di atteggiamenti criminali da parte di chi dovrebbe rappresentare lo Stato e invece rappresenta il lato oscuro di uno stato fantasma.
Non sono i comizi di un comico prestato alla politica che armano la mano di un delinquente, ma l’ignoranza diffusa in un Paese sottosviluppato e affamato da una classe politica corrotta o nel migliore dei casi incapace.

La morte del Pd

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Il disastro del Pd è il disastro di un partito – l’ultimo rimasto in Italia – che non ha saputo arrendersi alla crudele realtà del tempo che passa. Bersani e Bindi hanno gestito alleanze e progetti con la lungimiranza di un ubriacone a secco di alcol.
Un tempo ci insegnavano che è più difficile saper vincere che saper perdere, oggi questi catorci della politica italiana ci hanno dimostrato che è possibile perdere anche quando si vince.
Prima Berlusconi, ora Grillo hanno cucinato il Pd nel brodo dell’illusione, lasciandolo rosolare nel sogno di una vittoria a mani basse e servendolo al sangue dopo averlo affettato con precisa freddezza. Perché il difetto fatale di questa sinistra fanfarona è quello di cantare vittoria quando la vittoria non è nemmeno in vista. Dopo D’Alema, non c’è stato più un leader con la giusta dose di plausibile aggressività: da Fassino a Bersani, infatti, è stato tutto un crollo di credibilità fisica, ideologica, strategica.
Il Pd muore oggi di consunzione, ma è come se l’avessero assassinato.

Da un miliardario all’altro

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Quella voce lì la conosco, è di un povero ragazzo frustrato che deve dire che ha sentito una cosa che non ha sentito per 10 euro a pezzo. È uno sfruttato, si tratta di apprendisti giornalisti.

L’attacco di Beppe Grillo al giornalista Vasco Pirri è la cartina al tornasole della difficoltà di un comico che si è fatto leader di un movimento politico.
Chi conosce Vasco e le sue scelte professionali difficili, nel segno di un’onestà che è intellettuale e oggettiva, sa che le parole di Grillo sono ingiuste. Chi non lo conosce non può che ritenere insensato l’attacco di un neo-leader di partito nei confronti di un professionista che per sbarcare il lunario deve macinare articoli su articoli, consumare suole delle scarpe, rompersi le palle dalla mattina alla sera con surrogati di notizie e veline insopportabili.
Ora quali sono i concetti che Grillo vuole introdurre in un’Italia sciagurata che ormai pende dalle sue labbra? Che se uno guadagna 10 euro a pezzo è un reietto mentre se ne guadagna 1.000 è un genio? Che se uno ha la sciagura di essere sfruttato (non è il caso di Vasco Pirri, naturalmente) diventa automaticamente un lavoratore di serie B? Che l’ordine dei giornalisti deve rivolgersi al M5S per far transitare i giornalisti dal girone di apprendisti a quello di professionisti? Che un precario non è attendibile per questioni genetiche? Che se uno non ha i milioni di Grillo non merita stima?
Un Paese che dipende dagli umori di uno come Beppe Grillo – al quale, lo ripeto e lo ripeterò sino allo sfinimento, ho dato fiducia alle elezioni – è un paese che deve imparare a fare autocritica, come il guru improvvisato al quale ha affidato il suo destino. Io provo a farla qui dicendo che non mi piace un movimento che non distingue i toni da campagna elettorale dalla razionalità delle esigenze istituzionali. Un movimento che non riesce a conciliare onestà e buona volontà con competenza e buon senso è la ruota sgonfia di un’automobile che voleva essere una Ferrari e che invece è un’utilitaria che non si stacca dal parcheggio. Quindi, fatta un’eccezione per i grillini di Sicilia che alla Regione hanno imboccato una via precisa senza i sofismi e gli svarioni dei colleghi che operano nella Capitale, è bene dar voce al timore maggiore: non vorrei che in Italia la follia dello strapotere passasse da un miliardario a un altro.

Io ho visto troie e puttanieri. E voi?

Le troie di Battiato, i puttanieri di Grillo. La politica scopre, con un ritardo pluridecennale, le difficoltà dei facili costumi. Ora tra le vestali di Montecitorio è tutto un rigurgito di indignazione, fioccano le stigmatizzazioni e si aprono i cieli delle scomuniche.
In realtà chi ha un senso dell’ovvio minimamente sviluppato capisce benissimo quali sono i bersagli di quel turpiloquio. Le parole saranno sì pesanti, ma quello che tutti noi abbiamo dovuto digerire in questi anni di prostituzione politica – perché di questo si è trattato e sfido chiunque a dimostrare il contrario – non è roba da poco. Ci siamo dimenticati delle carriere di certe parlamentari che prendevano la rincorsa dalla camera da letto del capo? O dobbiamo sorvolare sui curriculum di altre showgirl, ballerine, calendariste e agitatrici di tette a scrocco, per atterrare nella realtà o ai suoi confini?
Le troie e i puttanieri nel nostro Parlamento ci sono stati, e pure senza preoccuparsi di non dare nell’occhio. Chi dice che non ciò è vero, è in malafede (o rientra nelle categorie succitate).

La voce del (fratello del) padrone

Senza titolo

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