Dite a Grillo che sono preoccupato

beppe grillo

Dove vuole arrivare Beppe Grillo? La domanda la pongo a me stesso e non ai militanti del Movimento 5 stelle che, come telecomandati, mi risponderebbero: “Ad azzerare il sistema attuale”. Che poi sarebbe anche una risposta che mi convince se solo intravedessi i passaggi elementari di una strategia così dirompente. Perché – lo dico pubblicamente – io il movimento di Grillo l’ho votato: mi sentivo di dare fiducia ai giovani, alle facce nuove, alla politica pulita, alla democrazia low-cost.
Però adesso sono allarmato perché non ci capisco niente.
Grillo mostra, almeno nelle prime battute, di muoversi con schemi vetusti, lui che si pone come il grande rinnovatore. La logica di schieramento rigida e inscalfibile è roba da partito comunista di quarant’anni fa, chi ha la mia età se la ricorda. La blindatura delle dichiarazioni non concordate e l’accentramento del sistema di comunicazione è un’invenzione di Berlusconi, anno di grazia 1994. La ruggine del “chi non è con me è contro di me” è l’elemento che ha distrutto movimenti di popolo come la Rete, ed è passato qualche decennio. Continua a leggere Dite a Grillo che sono preoccupato

Chi cerca il pelo nel Grillo

C’è una gara – nel web, nei giornali, nei tinelli – a chi gode di più nel tentare di cogliere in fallo i parlamentari del Movimento 5 stelle o Beppe Grillo. E’ – lo scrivevo ieri in un tweet – una moda tipicamente italiana quella di puntare alla decostruzione di qualcosa che si è appena, democraticamente, costruito. Non intendo tirare la volata a quelli del M5S (tra l’altro ne ho scritto anche criticamente talvolta qui e sulla carta stampata) però mi piacerebbe vivere in un Paese in cui, dopo le elezioni, ci si concentra tutti sul risultato e sui frutti che quel risultato può dare. Il che non intaccherebbe lo spirito critico, ma almeno darebbe l’impressione di essere popolo, comunità, nazione, e non una gigantesca macchina a gettoni che si tira fuori a ogni consultazione elettorale.
Mi piacerebbe che un giorno qualcuno, di qualsiasi partito, coniasse uno slogan di questo tenore: noi lavoriamo per voi, voi abbiate la pazienza di restare uniti.

Entrino i clown

La nuova copertina di The economist (vista qua) sembra essere stata fatta proprio come un un lettore italo-scettico si aspettava.

Grillo, il trionfo e le risposte che servono

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Da ieri pomeriggio se uno dice “rivoluzione civile” è più intuitivo pensare al “Movimento 5 stelle” che al partito di Antonio Ingroia, che pure quelle parole se le era messe nel simbolo. E ciò perché alla luce dei fatti (e dei misfatti) elettorali i candidati di Beppe Grillo sono i protagonisti di un mutamento epocale che introduce una sorta di nuovo modello di rappresentanza sociale.
Se in passato si è parlato della Sicilia come di un laboratorio politico – un modo spesso elegante per ammantare nefandezze e tradimenti di una veste pittoresca e un po’ naif – oggi è il caso di identificarla come un palcoscenico: niente esperimenti, ma esibizioni, niente soluzioni scientifiche, ma doppi salti mortali.
Il movimento di Beppe Grillo ha riempito le piazze e i cuori di molti disillusi dalla politica, pur non riuscendo a influire sensibilmente, come invece da più parti ci si aspettava, sui refrattari al voto, ed ha saputo approfittare del vento contrario della politica per accelerare l’andatura: i velisti la chiamano bolina, tutti gli altri furbizia. All’Ars con la restituzione di parte dei compensi dei deputati e con l’opposizione al Muos e alle trivelle nel Belice ha dato una sua efficace interpretazione della “politica del fare”. Un buon punto di partenza, certo, ma tra l’atto dimostrativo, figlio legittimo dell’entusiasmo e della novità, e una coerente strategia amministrativa c’è differenza: una cosa sono i numeri in cui esibirsi, un’altra sono quelli da far quadrare.
L’esito delle elezioni politiche è quindi per il “Movimento 5 stelle” l’occasione per tendere i muscoli e spiccare il grande salto. Il vero ostacolo da superare è la coesistenza con gli altri, partiti e soprattutto elettori. L’ambizione dei grillini di rappresentare la vera Italia si schianta con i risultati elettorali che ci raccontano di tante piccole Italie, e soprattutto di tante piccole Sicilie che votano da un lato guardando dall’altro. Sinora Grillo ha scelto di non rispondere delle sue scelte riscuotendo una fiducia degna di un mahatma. Tra i suoi seguaci ha mostrato le migliori casalinghe, ha esibito i disoccupati più valorosi, ha schierato i laureati più incompresi. Si è persino scelto i giornalisti che dovevano interagire con lui (tagliandone fuori la maggior parte). (…)

La moda dell’onestà

Grillo promette: “L’onestà diverrà di moda”. E’ una bella prospettiva che non può avere oppositori: trovereste qualcuno che promette il contrario? Vabbè, forse sì… ma per praticità escludiamo i lestofanti.
Comunque il problema è questo: basta l’onesta per governare un Paese?
Ovviamente no. Però l’Italia si trova in una posizione più scomoda, in cui chiede non già di essere governata, bensì implora una ricostruzione. Che è una cosa diversa.
Per amministrare servono competenze e furbizia. Per scavare tra le macerie servono braccia forti, magari giovani, e abnegata onestà. Perché tra governi politici e tecnici, tra ministri esperti e creativi, tra figli di papà e figli di puttana, abbiamo consegnato la nostra nazione a gente che quanto a capacità distruttiva considera gli Unni poco meno che pivelli.
La moda dell’onestà, con tutte le scintille qualunquiste che può suscitare, è quindi più che auspicabile, chiunque la proponga.
Il modello di governo che l’Italia degli onesti si aspetta è semplice e di un’intransigenza ferrea: lavorare a testa bassa per tirare su tutto ciò che è venuto giù. Senza fronzoli, senza privilegi, senza odiosi orpelli.
Altrimenti le prossime elezioni, se le faremo, le faremo nelle caserme.

Beppe Grillo, il silenzio non è d’oro

Grillo ha scelto di non concedere interviste. Il leader del Movimento 5 stelle ha una manifesta allergia nei confronti dei giornalisti, basta vedere l’insofferenza con cui li respinge quando se ne trova qualcuno tra i piedi. E’ una scelta che difficilmente può essere condivisibile, anche tra i suoi accoliti suppongo.
In campagna elettorale la comunicazione – quella vera, non quella ossequiosa delle Barbare D’Urso e delle altre pie imploranti come busta paga impone –  è fondamentale. Perché, oltre a diffondere idee e progetti, dà la possibilità agli elettori di tastare il polso del candidato, di metterlo alla prova, di verificarne la tenuta. Grillo dice: il nostro programma è tutto sul web. Sì ma, se solo fosse possibile, qualcuno dovrebbe chiedergli se lui comprerebbe mai un’auto vedendola solo sul catalogo.
Il mondo, nell’ottica del capo del Movimento 5 stelle, è tutto un complotto, tutto un magna magna. Chissà, magari è vero. E magari Grillo ha il lanternino per guidarci alla scoperta della verità. Però in un Paese che ha perso la fiducia chiedere un voto sulla fiducia è un passo ardito: per combattere un’epidemia bisogna dimostrare non soltanto di essere medici ma anche di avere i farmaci giusti.
La sensazione è che Grillo giochi molto col suo personaggio – interessante e ammaliante – e sottovaluti l’intelligenza dell’elettorato. Lo dimostra la sufficienza con la quale il comico si rivolge a chi osa fare una domanda. Caro Grillo, la sa una cosa? C’è un sacco di gente intelligente, furba e colta in quest’Italia di mezze calzette, gente che la voterebbe se solo lei si degnasse di darle conto, senza ridacchiare quando uno chiede. Solo che lei sta dimostrando di confondere il palco di un artista con quello di un politicante.
Le rivoluzioni hanno bisogno tanto di fede quanto di coraggio: la prima si coltiva in solitudine, il secondo si rafforza col confronto.
Grillo, mi duole molto dirlo, in questo momento rischia di andare a combattere con un esercito di automi.

Quello che mi convince di Beppe Grillo

A parte le frasi folkloristiche sui missili e sulla morte dei politici, due o tre di cose che ho ascoltato di Beppe Grillo nel suo comizio di Parma sono più che giuste, talmente scontate da sembrare banali.
Ad esempio nessuno ha pensato di mettere realmente mano alla semplificazione delle leggi, nonostante ci sia una sorta di ministero ad hoc. Grillo, da buon affabulatore, spiega che se una legge non si capisce, ha in sé un trucco. E ha ragione: basti pensare al groviglio di norme fiscali o ai capitoli di una finanziaria. Perché nessuno ha mai pensato di togliere le astrusità dai codici e scrivere in buon italiano?
Altro argomento sono i costi della politica. Tutta roba già detta, già sentita. Ma Grillo può vantare il successo dell’esperimento siciliano, in cui i suoi deputati hanno girato alla Regione la stragrande parte del loro compenso. Chi lo aveva mai fatto prima?
Infine i controlli fiscali con la presunzione di colpevolezza del contribuente. Vi ricordate quando ci dissero che “pagare le tasse è bello”? Ora ci vogliono convincere che non solo è meraviglioso dissanguarsi, ma è eccitante essere trattati da evasori sino a prova contraria. No, tuona Grillo (a ragione): non è lo Stato che deve chiedere al cittadino come spende i suoi soldi, ma esattamente il contrario.
Come vedete sono tutti temi elementari, che potrebbero stare alla base di ogni programma di ogni partito. Chi si sognerebbe di dire che le leggi devono essere scritte in modo incomprensibile o che è bene che i partiti costino milioni e milioni di euro?
Grillo ha dalla sua parte la linearità, anche violenta, dei ragionamenti: se rubi sei un criminale e non puoi stare al governo; se sei giovane, sei più forte di un vecchio; se un movimento a costo zero diventa una forza politica, vuol dire che la politica può essere fatta a costo zero.
Al momento, pur avendo in passato mosso critiche a Beppe Grillo, non ho sentito proposte più convincenti.

Il cielo sopra Scalfari

Non riesco a farmene una ragione. C’è più di una nota stonata in certe campagne giornalistiche come quella di Eugenio Scalfari che non perde occasione per dipingere Beppe Grillo come il leader “del populismo e dell’antipolitica”.
Non sono in grado di scommettere sulla riuscita dell’operazione del Movimento 5 Stelle però guardo con interesse a tutto ciò che è nuovo. Mettiamola così: non sarò lungimirante, ma cerco di mantenere accesa la fiammella della curiosità.
Scalfari, e quelli come lui, invece tengono a distanza con la canna tutto ciò che non hanno costruito, plasmato, influenzato, allevato, foraggiato (e poi, magari, abbandonato). Il frequente rimprovero, pretestuoso al limite dell’imbarazzo, a Grillo sull’uso di un linguaggio esplicito durante comizi la dice lunga sulle reali intenzioni del grande vecchio di Repubblica.
Signora maestra, Beppe dice le parolacce!
In quale galassia veleggiava Scalfari quando la Lega invocava pallottole per i magistrati, o chiamava negri di merda gli immigrati? E certo, quella non era una forza antipolitica costruita sul populismo, era una realtà di governo. Una realtà di diti medi alzati, di allusioni falliche, di canottiere unte e coscienze bisunte.
La sensazione è che a Scalfari non interessi nulla di ciò che viene dal basso, e che si occupi prevalentemente di quel che cade dal cielo.
Per affinità.

Io sono per Grillo nuotatore

Mi ha molto colpito la virulenza di certe reazioni alla traversata dello Stretto di Messina compiuta ieri da Beppe Grillo. Come se si parlasse di un ladro o un tangentista o di un corruttore.
Chissà quanto è costata l’assistenza delle motovedette… chissà quante persone sono state mobilitate a spese nostre… questa pagliacciata quello lì poteva risparmiarsela… e via blaterando.
Sarei felice di discutere faccia a faccia con i geni che hanno mosso queste obiezioni all’impresa sportiva (e avverto i lettori meno assidui che ho spesso criticato Grillo su questo blog) ma non frequento i salotti della politica e la corte dei miracoli che vi galleggia intorno.
Andare a contestare al Movimento 5 Stelle sprechi di denaro pubblico è l’errore strategicamente più grave che un qualsiasi candidato possa fare. Perché una contestazione,  a prescindere della sua fondatezza, deve tener conto della sua contestualizzazione. Siamo in Italia, il paese dei contributi smisurati ai partiti, il paese delle menzogne istituzionali, delle promesse grottesche.
Grillo inaugura una campagna elettorale in Sicilia con una nuotata e si scatena il putiferio. Nessuno, nei secoli dei secoli, ha mai fiatato per camper, treni, navi da crociera, aerei con puttanone, congressi, cene, sfilate, adunate in piazze imbellettate ad hoc: quelle campagne elettorali chi le pagavano, Hansel e Gretel?
Ora un signore non più giovane, detestabile quanto volete, ma simbolo di una fetta d’Italia onesta e incazzata, compie un’impresa che nessun politicante “tradizionale” sarebbe capace di emulare: tre chilometri di nuoto in un’ora e un quarto.
Cosa c’è da ridire?
Ognuno fa la politica come vuole. C’è chi la fa a bracciate, e chi abbracciando (e baciando), chi urlando e chi sussurrando promesse. La messinscena fa parte del gioco. Tutti quei puri dell’ultima ora che storcono il naso davanti all’evento dello Stretto ritengono che affittare il principale teatro di una città per rincoglionire i presunti elettori sia un’operazione più raffinata che mettere in mostra una felice forma sportiva?
Avevamo i nani e le ballerine guidati da uno scadente pianista da crociera e abbiamo il coraggio di lamentarci se un tizio che vuole cambiare il Paese sa nuotare, e pure bene?

Grillo, la mafia e qualche cazzata

Rapida dimostrazione del fatto che chi semina vento raccoglie tempesta.
Ieri Beppe Grillo a Palermo, ostentando un’antipatia stupida nei confronti dei cronisti che erano lì a interrogarlo, ha fatto un ragionamento complesso sulla mafia che tende a mantenere in vita le sue vittime in quanto fonti di reddito attraverso il pizzo. Argomento da prendere con le pinze, com’è giusto quando si parla di Cosa nostra in terra di Cosa nostra. La battuta è stata mal sintetizzata da siti e agenzie in un titolo di questo genere: “La mafia non strangola le sue vittime”. Che è una cazzata di proporzioni ciclopiche.
Superficialità giornalistiche a parte (molti Soloni tuonano dai loro divanetti in similpelle al solo tintinnar di catene antimafia), Grillo ha meritato questo trattamento frutto di superficialità e, diciamolo, anche di una certa incultura. Perché lui è il padre di ogni pregiudizio e sta mostrando di essere il migliore (o peggiore?) cultore dei luoghi comuni. I politici? Rubano tutti. I giornalisti? Peggio dei politici. Le tasse? Una rapina. E via dicendo.
Chi di giudizio sommario ferisce….
E’ un peccato però che ci vadano di mezzo i volenterosi cittadini del Movimento 5 stelle.