Cassetti

stipo

”…Chiunque non dia prima o poi il suo pieno consenso, il suo pieno e gioioso
consenso al lato pauroso della vita, non potrà mai impossessarsi
dell’inesprimibile abbondanza e forza della nostra esistenza;
potrà solo camminare ai suoi margini, non sarà stato né vivo né morto.”

(Rilke)

di Silvia Amelotti

Quante delle nostre idee sono il risultato di convinzioni stratificate negli anni? Ci siamo affezionati perché le sentiamo rassicuranti, sono parte integrante della nostra identità. Ci puntellano come stampelle. Esercitare la capacità di critica equivale a non avere pregiudizi, significa immaginare soluzioni nuove, rielaborare le nostre esperienze, provare scenari diversi, indeterminati, lasciare il posto a idee “scomode”. Ecco, le cattive credenze sono come un paio di scarpe strette che fanno male, ma che si indossano fino ad anestetizzare la parte dolorante.
Come i busti di Salvador Dalì, siamo fatti di cassetti: ad alcuni abbiamo dato appena una sbirciatina, altri sono ancora sigillati. Il desiderio di aprirli è il desiderio dell’altro diverso–da–noi.
Un incontro, una lettura, un viaggio possono essere l’elemento di sorpresa, il motivo per cui ci si mette in discussione. Magari non cambiano la vita, ma la segnano in modo indelebile, ne ridefiniscono i contorni. I paesaggi assumono nuovi colori, i confini si ridisegnano.  A volte una persona, magari un perfetto estraneo fino a un momento prima, è in grado di dare un nome nuovo ai pensieri, di “risignificare” certe convinzioni, qualcuno che spalanca una finestra chiusa da anni. Peccato che cose così accadano raramente. O troppo spesso da non accorgersene.
Quali sono le vostre paure dicibili e indicibili? Quelle di cui vi siete liberati e quelle di cui vi liberereste volentieri?

La storia sono loro/2

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Il romanzo-soap frutto della follia di alcuni commentatori continua a regalare sorprese qui (sempre a partire dal quindicesimo commento). Ecco la protagonista Rosi Peloritano, vista da Gianni Allegra.

Aggiornamento. Ecco anche un altro protagonista, Bastiano Salaparuta.

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

La storia sono loro

L'iIlustrazione è di Gianni Allegra
L'iIlustrazione è di Gianni Allegra

Se avete un po’ di tempo a disposizione leggete il romanzo-soap-feuilleton che alcuni geniali commentatori hanno improvvisato cominciato a scrivere qui ieri (a partire dal quindicesimo commento).

Aggiornamento: Tommaso Lampedusa, protagonista dell’internet-fiction di cui sopra, ha adesso un volto. Glielo ha dato Gianni Allegra.

La bufala dei corpi incastrati

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di Tony Gaudesi

Quando il sesso unisce in maniera indissolubile. Una cassiera ed una guardia giurata di un non meglio identificato centro commerciale del Bergamasco sarebbero dovuti ricorrere all’aiuto del 118 per separarsi dopo un focoso amplesso clandestino nell’improvvisata alcova-toilette del supermercato in cui lavoravano. Un violento rapporto anale li avrebbe incollati l’uno all’altra fino all’arrivo al pronto soccorso. Non prima, però, di passare, coperti alla meno peggio, tra due ali di curiosissima folla. In mezzo alla quale non poteva mancare  il marito della donna, colto da ovvio e scontato malore.
In una situazione simile il condizionale non è un obbligo.  Troppa la puzza di bufala per garantire alla vicenda, a cuor leggero,  un posto nei menabò e nelle scalette dei tg. E infatti l’accattivante notizia (apparsa, a quanto pare,  nei primi giorni di maggio sulle pagine della Gazzetta dell’Adda) non è finita su molti giornali  e telegiornali. E’ sbarcata, come prevedibile, in una moltitudine di siti e blog, ma anche su  organi di informazione quali la Gazzetta di Parma e il portale di Tiscali. Anche  Tgcom l’ha ripresa,  ricamandoci pure sopra,  con l’unica accortezza del paracadute di una infinitesima incidentale buttata a centro di pezzo, che con un canonico “riferisce la Gazzetta dell’Adda”, scaricava al giornale di cui sopra paternità e responsabilità della notizia.
Peccato che lo stesso fatto, con dettagli diversi, era accaduto (o meglio sarebbe accaduto) qualche mese prima e qualche centinaio di chilometri più a Sud,  nel Salernitano, come riferisce un articolo che contiene quantomeno  i nomi del paese (Pontecagnano) e del supermercato (Carrefur).
E non finisce qui. Alcuni cibernauti giurano di avere sentito parlare della cosa addirittura anni prima a Civitavecchia, altri a Caserta. Anche in Sicilia negli anni Novanta si diffuse la stessa leggenda popolare. Sempre sesso selvaggio in primo piano con singola  o doppia separazione traumatica finale: medica in prima battuta e legale (ad opera dei rispettivi partners) in seconda.
Che il lato B non porti più quella fortuna che gli si è sempre attribuita? Più probabile che qualche cronista dalla piccola professionalità, ma dalla grande fantasia, abbia gonfiato il fatto (una base di verità c’è quasi sempre anche nelle bufale) facendolo traghettare dalle colonne del suo giornale di provincia a qualche autorevole testata, che per il solo fatto di ospitarlo ne ha certificato la genuinità.
Sarebbe bastata una piccola verifica, come professione comanda (leggi: controllo delle fonti) per disinnescare la notizia e stopparla. Ci sarebbe stato probabilmente qualche sorrisetto in meno, ma il lato B non avrebbe rischiato di vedere offuscata la propria, secolare, fama.

Allarme a bordo

Scrive oggi Roberto Alajmo sull’Unità:

In una sua illuminante conversazione Gianrico Carofiglio suggerisce un accostamento fra i concetti di dolore e vergogna. I ricettori del dolore svolgono un ruolo cruciale per l’organismo umano: senti il bruciore e allontani la mano dal fuoco. Ti fa male la pancia e vai dal medico. In assenza del dolore rischieresti di morire senza nemmeno rendertene conto.
Per una società di umani l’eclissi della vergogna è altrettanto pericolosa, perché falsa la percezione del futuro. Quando i singoli individui perdono la facoltà di vergognarsi del proprio comportamento o delle proprie opinioni, viene a mancare il segnale d’allarme che avverta del collasso morale ormai imminente. Si è guastato il radioaltimetro che doveva segnalare quanto basso stia planando l’aereo su cui ci troviamo.
A causare il disastro è spesso una semplice spia che si è fulminata.

Sono d’accordo.

“Mandaci una cartolina”

ironia

di Cinzia Zerbini

Tutti siamo convinti che certe cose accadano solo nel luogo in cui viviamo. Abitudini, manie, vizi, colpi di genio contribuiscono a farci sembrare unica la nostra terra. Magari non è così, però sfido chiunque a trovare fuori dalla Sicilia un necrologio che annunci la morte di un uomo e che si concluda con: “Mannaci ‘na cattulina” (mandaci una cartolina). L’ha scritto Carmen Consoli ed è stato pubblicato su La Sicilia di Catania, qualche giorno fa.
Giuseppe Consoli, deceduto a 72 anni, era suo padre.
Così ho pensato a quanto sia rara la capacità di affrontare con ironia la tragedia della morte.
Ho pensato che se la Consoli non dimentica mai la città dalla quale proviene, lo deve proprio a ciò che le hanno insegnato.
Ho pensato a quei papà che ti insegnano a vivere con il sorriso e che nel momento del dolore ti raccontano l’amore. Per molti di noi, i padri sono speciali perché hanno gli occhi dei principi delle favole e l’armatura dei cavalieri: è forse quest’immagine che ci induce, da grandi, a dir loro le bugie per sembrare migliori.
Infine ho pensato che forse una risata non cura il dolore e che l’ironia è solo un cerotto per le ferite. Però se in una prossima (fantomatica?) riforma della scuola mettessero anche una buona mezz’ora di “apprendimento dei principi di base per l’arte di prendersi in giro” il mondo ne guadagnerebbe.

Basta la parola

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Foto scattata sulla strada per Figueras (Spagna) dagli alunni dell’ITC “Ferrara” di Palermo, durante il viaggio d’istruzione dell’aprile scorso.

Grazie a Raffaella Catalano

Certe cattive notizie

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

di Verbena

Ho fatto un rapido calcolo: quando lui è nato, io portavo il reggiseno già da qualche mese.
Il suo primo giorno di scuola è certamente coinciso con una delle mie scappatelle col fidanzato del liceo. E quando si sarà reso conto, qualche anno dopo, che i bambini non li portano le cicogne, io ne stavo già programmando uno.
Non sono io ad essere avanti con l’età, è lui che è giovane. Pure molto bello, e credo persino in gamba. Ora, questo esemplare di uomo dalla pelle chiara e intatta, i capelli folti e lucidi, gli occhi da cerbiatto e le labbra carnose, dice di essere terribilmente attratto da me.
Io invece ho fatto fatica più d’una volta a  ricordare il suo nome, né mi ha lasciato dentro una traccia qualunque. Che ne so, uno sguardo speciale, una frase profonda, una cosa così.
Un giorno mi chiede il numero di cellulare ed è iniziato il battage di sms. Deliziosi in verità, raffinati persino, nessuna caduta di stile.
Lui mi confessa che gli interessa il mio cervello.
Che i miei discorsi trasudano profondità, ardore intellettuale. Che i miei occhi gli leggono dentro.
Non poteva darmi notizia peggiore.
Se fosse stato più scaltro avrebbe saputo che le donne alle soglie dei quaranta hanno bisogno anche di altre conferme. Di essere ancora attraenti, giovani e sensuali. Di avere ancora un bel culo.
Soprattutto se a dirlo è un fusto circondato da uno stuolo di ventenni.
Ma lui, il cerbiatto, certe cose non le sa ancora.
E’ in casi come questi che i mariti salgono di parecchie posizioni. E il bello è che non lo immaginano neppure.

Io, pittore in una città che non mi vuole

"Cappuccino italiano sulla rambla", illustrazione di Gianni Allegra
"Cappuccino italiano sulla rambla", illustrazione di Gianni Allegra

di Gianni Allegra

Sapevo che avrei fatto il disegnatore di fumetti già da piccolo. Ma il primo devastante colpo ai miei sogni di gloria lo sferrò un bambino più grande di me di un anno. Lui praticamente era un pre-adolescente, io un pre-pre-adolescente. Portava il mio stesso nome ed essendo brutto come la morte, magro, ma di una magrezza malaticcia e con la forfora che lo faceva somigliare a un cucuzzolo innevato, lo odiavo ferocemente. Ma in silenzio. Era manesco, quel sacco d’ossa incatenate e con la cute in perpetua desquamazione!
Gianni (lui) rise, anzi sghignazzò quando gli dissi che volevo fare il fumettista. Il suo teschio sembrava in preda a una crisi epilettica quando rideva e spruzzava saliva da quella voragine che probabilmente era la bocca. “I fumetti non si disegnano, si stampano!”.
Per un paio d’anni rimasi paralizzato di fronte alla consapevolezza crudele alla quale ero stato richiamato da quel dracula in sedicesimo, e cominciai a considerare seriamente l’ipotesi di fare il piccolo travet, come spesso mio padre lasciava intendere, visto che negli studi non ero brillante a causa di quella maledetta mania di scarabocchiare pupetti e soldatini e Capitan Miki e Grande Blek ovunque. Poi le cose andarono come sono andate, per fortuna.
Sapevo che avrei fatto il pittore quando ormai  non potevo anagraficamente più dirmi giovanissimo: a quarant’anni suonati. Il colore, passione coltivata a lungo e nell’inconscio più profondo, esplose furiosamente e io non potevo farci niente. Era una vendetta che veniva dall’abisso della mia anima: io da bambino non sapevo colorare. Disegnavo ed ero autisticamente attratto dal segno. Che fosse Bic blu macchiosa o pennino sopraffino, la cosa poco importava. Anzi, era la frugalità dei mezzi che mi rendeva eroico. Un eroe a metà: perché quel mostro teschiuto non riuscii ad assassinarlo mai.
Feci la prima mostra dopo cinque mesi scarsi di pittura furibonda, quando la mia cervicale non si lamentava così tanto. Non c’era posto per le mollezze del corpo stanco. Dovevo dipingere e basta. E dipingevo: pesci rossi volanti a tempera su cartoni telati. Una follia di cui ancora oggi non capisco il senso. Fu la Libreria del Mare, a Palermo, che mi battezzò “pittore”. Provai a togliere le virgolette da “pittore”, subito dopo. Il critico d’arte che vide i miei quadri si soffermò su un giallo che reputava pennellato male. “Perché non continui a disegnare fumetti?”. Avrei potuto rispondere che i fumetti si stampano e i critici vengono uccisi. Tacqui. Sono un pacifista, purtroppo.
Non ho cittadinanza nella veste di pittore a Palermo, per farla breve. Ho esposto in gallerie di Milano, Scicli, Siviglia, Londra. A Palermo solo in luoghi deputati ad altro. Questa volta devo l’ospitalità affettuosa ad una banca: Banca Etica (domani, alle 18). Il titolo della mia piccola personale è “Il Desiderio”. Nell’accezione freudiana: il desiderio che sollecita ogni gesto, la vitalità, l’eros. Stavolta, per favore, niente thanatos.

Versi

di Roberto Torta

Come la rugiada vorrei poter bagnare
ogni lettera del tuo nome
Ma io non me lo ricordo