Cassetti

stipo

”…Chiunque non dia prima o poi il suo pieno consenso, il suo pieno e gioioso
consenso al lato pauroso della vita, non potrà mai impossessarsi
dell’inesprimibile abbondanza e forza della nostra esistenza;
potrà solo camminare ai suoi margini, non sarà stato né vivo né morto.”

(Rilke)

di Silvia Amelotti

Quante delle nostre idee sono il risultato di convinzioni stratificate negli anni? Ci siamo affezionati perché le sentiamo rassicuranti, sono parte integrante della nostra identità. Ci puntellano come stampelle. Esercitare la capacità di critica equivale a non avere pregiudizi, significa immaginare soluzioni nuove, rielaborare le nostre esperienze, provare scenari diversi, indeterminati, lasciare il posto a idee “scomode”. Ecco, le cattive credenze sono come un paio di scarpe strette che fanno male, ma che si indossano fino ad anestetizzare la parte dolorante.
Come i busti di Salvador Dalì, siamo fatti di cassetti: ad alcuni abbiamo dato appena una sbirciatina, altri sono ancora sigillati. Il desiderio di aprirli è il desiderio dell’altro diverso–da–noi.
Un incontro, una lettura, un viaggio possono essere l’elemento di sorpresa, il motivo per cui ci si mette in discussione. Magari non cambiano la vita, ma la segnano in modo indelebile, ne ridefiniscono i contorni. I paesaggi assumono nuovi colori, i confini si ridisegnano.  A volte una persona, magari un perfetto estraneo fino a un momento prima, è in grado di dare un nome nuovo ai pensieri, di “risignificare” certe convinzioni, qualcuno che spalanca una finestra chiusa da anni. Peccato che cose così accadano raramente. O troppo spesso da non accorgersene.
Quali sono le vostre paure dicibili e indicibili? Quelle di cui vi siete liberati e quelle di cui vi liberereste volentieri?

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

20 commenti su “Cassetti”

  1. Cara Silvia, le mie paure ho imparato a guardarle con rispetto e sottile diffidenza. Mi è capitato di sopravvalutarle, e più spesso di combatterle con razionalità e un pizzico di spavalderia. Ma enunciarle significherebbe renderle reali, concrete. Preferisco continuare a pensare che si tratti del mio “lato oscuro della forza”.

    Felice di averla trovata su questo blog, un esordio degno della sua bella testolina, mia cara!

  2. Mi associo al giudizio della contessa. Ho già ricopiato la frase di Rilke.
    Paure: tante, troppe, a volte inutili. Molte superate grazie all’età. Di certo ne aspetto di nuove.
    Molti i cassetti sigillati… ma ogni cosa ha il suo tempo.

  3. Ho paura di invecchiare (male).
    Paura di restare sola.
    Paura di non piacere più.
    Paura di vedere mia figlia soffrire senza potere evitarlo.
    Paura di perdere mia madre.
    Non ho paura di dare un nome alle mie paure.

  4. Preferisco guardarle in faccia, le mie paure. Non le superi in bravura ma se le incontri le riconosci.

  5. Però c’è anche chi non vuole incontrarle. Chi non le vede. Chi non sa riconoscerle come tali

  6. C’è anche chi…per convenienza, per pigrizia, per debolezza, per ignoranza.. .

  7. Un bell’esordio, carissima. E mi hai solleticato una frustrazione che sto cercando di combattere: diffidenza, noia preventiva e forse sì – in definitiva – paura delle cose nuove, delle piccole scommesse quotidiane. E’ un grosso problema per uno che scrive. Come lo è starsene ingabbiato nelle proprie sicurezze, trasformarle in rituali che non spostano nulla, ma nemmeno fruttano qualcosa. Invidio chi gode della propria curiosità. Spesso mi sorprendo a non capirlo e me ne dolgo. Ma li raggiungerò a piccoli passi: questione di tempo, pane e pazienza come scrisse qualcuno nelle celle degli inquisitori…

  8. Mia adorata Silvia, chiedo venia per il mio intervento tardivo. Hai fatto bene a rimproverarmi.
    Hai scritto una bella cosa, come forma e come contenuto. E’ proprio come te: bella come forma e come contenuto. Cosa dirti più di questo?

  9. @cacciatorino, mi permetto di risponderti solo perchè mi stai a cuore. Un piccolo passo per progredire è quello di non provare compiacimento per i nostri difetti. Ripeto, più ci si affeziona più ce ne lamentiamo.
    Spero davvero sia un esordio che prelude ad altre mie partecipazioni future perchè vale la pena essere ascoltati. Da voi.
    @abbattiamo. Sai quanto tengo al tuo parere. E’ arrivato finalmente! Grazie.

  10. Al contrario di Silvia, non ho paura di invecchiare. Sarà perchè ho già superato il giro di boa dei fatidici quaranta,sarà perchè mi vedo cambiare inesorabilmente ma lentamente, giorno dopo giorno, sarà perchè oggi sono molto più sicura di me e so quanto valgo; non molto, a dire il vero, ma credo che riconoscere i propri limiti sia un buon punto di partenza. E cercare di superarsi, di guadagnare ogni giorno un tot, un buon percorso da seguire. La paura di perdere mia madre si traduce per me nella mia incapacità di concepire la morte,la fine della vita. Quel giorno, il giorno in cui mia madre è scomparsa, è stato per me come saltare la cavallina. Di qua insieme, e di là, oltre l’ostacolo, da sola. una sensazione di incredulità mista a rabbia e alla inevitabile rassegnazione che mi segue da poco meno di tre anni. Perciò il mio lato pauroso della vita è legato esclusivamente a perderla, questa maledetta meravigliosa vita che vivo respirando a grandi boccate, che ascolto nei tonfi del mio cuore, nei primi innocenti discorsi di mia figlia,riuscita a superare i problemi che condizionavano la sua crescita. La sua vittoria è la mia vittoria e oggi, niente mi fa paura, eccetto che morire. ma evito di trastullarmi in questo pensiero.
    un bacio a Gery

  11. “Un piccolo passo per progredire è quello di non provare compiacimento per i nostri difetti. Ripeto, più ci si affeziona più ce ne lamentiamo”.
    Grazie.
    Non c’avevo mai pensato.

  12. @c. Siamo facili se ci pensi. In noi convivono un sentimento e il suo esatto contrario. Anima e animus, tendenze di sesso opposto.

  13. Sono d’accordo con voi, Silvia e C. E aggiungo che compiacersi dei propri difetti mi sembra un’abitudine di molti palermitani. Anzi, spesso di certi difetti si fa una bandiera, un tratto distintivo. Io mi dissocio da questo atteggiamento.

  14. @abbattiamo. Il palermitano, in molti casi, è scaramantico. Si lamenta con anticipo delle cose per scongiurarne una possibile comparsa.Non trovi?

  15. @silvia: cara, purtroppo provengo da due mesi di convivenza con operai, idraulici, manovali e maestranze varie di provenienza palermitana a denominazione controllata. Si lamentano sempre, comunque, prima, dopo, durante. Io più che scaramanzia, la chiamerei sana, inveterata, immotivata voglia di non fare un c… Purtroppo batto sullo stesso tasto: per me il palermitano (sempre con le dovute eccezioni) è una categoria da rieducare. In tutte (o quasi) le sue manifestazioni.

  16. Aggiungo: hai presente il modo di dire: “nnimicu ‘ra cuntintizza?” (nemico della contentezza, per gli italiani). Il palermitano l’ha inventato per il prossimo, ma non si è mai reso conto che calza a pennello a nessun altro come a lui stesso.

  17. Poi, nei confronti di una cittadinanza che, più o meno regolarmente ormai, sforna forse la più alta fetta di eletti tra le file del Pdl nella nazione (ne parlavamo ieri con gery e il suo consorte) non riesco a nutrire nè stima né fiducia, nè simpatia. O sono autolesionisti o boccaloni o troppo furbi. Decidete voi. Scaramantici non direi. Non darei loro una veste così romantica o chissà quale dignità antropologica.

  18. Sono d’accordo con te circa il fatto che i palermitani possiedono dei tratti distintivi discutibili, così come i romani, i milanesi, i torinesi ecc…
    Ho un marito come te altamente intollerante a certi comportamenti. E’ la veemenza con la quale viene esternata che mi lascia un pò perplessa. Sarà deformazione professionale, ma ho come l’impressione che il problema stia altrove.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *