Per ricordare cosa è accaduto quest’anno e come gli eventi sono stati vissuti dalla Rete c’è un bellissimo sito da vedere. Se avete fretta, memorizzate l’indirizzo e tornate quando sarete un po’ più liberi. E’ una lettura che va fatta con calma.
Per ricordare cosa è accaduto quest’anno e come gli eventi sono stati vissuti dalla Rete c’è un bellissimo sito da vedere. Se avete fretta, memorizzate l’indirizzo e tornate quando sarete un po’ più liberi. E’ una lettura che va fatta con calma.
Cuore di figlia. Barbara Berlusconi tuona contro Mara Carfagna e, sino a un certo punto, contro la condotta libertina del padre.
L’Italia è uno strano Paese. Se tu prendi i singoli, uno per uno, ti diranno peste e corna dell’attuale premier. Poi alla conta, nel marasma della moltitudine, votano quasi tutti per lui, per il fottutissimo sciupafemmine (anche minorenni) che ci dà il tormento e che fa invidia.
Il guaio è che lo stesso fenomeno probabilmente riguarda anche i suoi parenti. La Berluschina, ad esempio, lancia il sasso (e ostenta imbarazzo per il caso Ruby) ma poi dice: “Sarebbe ingiusto se della sua (di Berlusconi, ndr) straordinaria vita politica si ricordasse solo questa stagione”. Che è come dire: Attila era quello che era, ma amava i pettirossi.
Il berlusconismo, di cui Barbara è vittima incolpevole (ricordiamoci che i figli ancora non possono accollarsi tout court le colpe dei padri), è anche questo. Dissentire e giustificare, stroncare e rianimare, generalizzare e ritenersi unici. Verrà un tempo in cui si potrà dire con franchezza: questo mi sembra sbagliato e basta, questo è giusto e basta. Ma quel tempo non è adesso.
Il governo degli equivoci – tra Carfagne moralizzatrici e Capezzoni catechisti – non può durare in eterno. Mussolini ci mise venti e passa anni per inventare un regime e – diciamolo chiaramente – non era Berlusconi. Finì come finì. Berlusconi ha solo cercato di disegnarsi un regime su misura, sulle sue questioni giudiziarie e sessuali. Comunque finisca, teniamo la Storia a distanza di sicurezza.
In tutte le città del mondo la maratona è una festa.
Nella mia vita ho corso un po’ qua e là e quando mi è capitato di avere l’onore di partecipare a una gara ufficiale – sempre come l’ultimo dei dilettanti – sono rimasto affascinato dal ruolo del pubblico.
Dovunque ti incitano, ti chiamano per nome (il numero di pettorale), ti danno pacche: tutti, quando ti vedono passare, ti trattano come un campione, anche se sei piegato dalla fatica, se piangi per i dolori ai polpacci, se sei ultimo, o vecchio, o grasso, o scoordinato. A New York addirittura ti accompagnano con la musica, diversa per ogni strada che percorri.
La maratona è una gara antica come l’umanità, e però non ha nulla di umano. Il nostro organismo infatti non è stato progettato per sopportare un simile sforzo. Però fa parte dell’indole umana la volontà di sfidare i limiti, di vincere le scommesse più importanti, quelle contro se stessi.
Per questo molti corrono. Corrono fino a sfiancarsi. Per meta hanno un numero: 42,195. I chilometri che consumeranno sperando che le loro scorte di glicogeno durino oltre il fatidico 33esimo chilometro e confidando nel sospiro di un vento favorevole.
La maratona è la corsa dell’uomo verso l’impossibilità di un traguardo valido per tutti. Ogni atleta è una storia a sé, ogni passo è una scommessa, ogni goccia di sudore non è mai sprecata.
Ecco perché in tutte le città del mondo la maratona è una festa.
Ieri a Palermo la corsa silenziosa di quegli uomini che sfidano un rito millenario è stata inquinata dalle urla degli automobilisti imbottigliati agli incroci, dai clacson, dai grugniti di insofferenza e soprattutto dall’indifferenza generale.
Vergogna.
La Storia ha i suoi tempi. Non vi pare che con l’ottimo Obama si stia correndo un po’ troppo?
Dice Maroni che bisogna contrastare i clandestini con ogni mezzo. E’ il primo caso nella storia di dichiarazione di guerra senza un nemico.