Se lo sfacelo insegna

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

È vero, Palermo ha pochi motivi di ottimismo in queste feste che dovevano essere luce e che invece sono solo penombra. Ma c’è un gioco che potremmo fare per scartavetrare la ruggine di una città sporca, piena di buche, massacrata dal traffico, senza addobbi natalizi, sull’orlo del dissesto finanziario. Ed è il gioco del “facciamo che”. Inizio io e poi magari continuate voi a casa, nelle scuole, negli uffici o, chissà, nelle vostre riflessioni solitarie.

Facciamo che un sacchetto di immondizia depositato nei modi e negli orari giusti è comunque un servizio reso alla collettività. Facciamo che un’auto abbandonata in doppia o tripla fila è uno sfregio a chi parcheggia regolarmente, pagando, e magari gradirebbe arrivare in tempo a un appuntamento. Facciamo che l’aiuola sotto casa è verde di tutti, quindi anche nostro, e la si può curare come si fa con le piante sul balcone o quantomeno si può evitare di usarla come cestino per cartacce, bottiglie e schifezze varie. Facciamo che la panchina pubblica è fatta per sedersi e non per essere imbrattata. Facciamo che c’è sempre una seconda maniera di guardare ciò che ci circonda. L’insegnamento che arriva dalle cronache dello sfacelo quotidiano di Palermo è semplice e disarmante: proprio in un momento di grande difficoltà della città, un surplus di impegno civico sarebbe un bell’esercizio di lungimirante altruismo, in un’epoca di egoismi gretti e contagiosi. Impegnarsi nel minimo dovere quotidiano non è un atto di sottomissione al prepotente, non è togliere le castagne dal fuoco a un’amministrazione pubblica inefficiente, ma solo un disperato atto di amor proprio. Insomma, facciamo che sia davvero Natale.

Il traffico

Il traffico a Palermo non è mai stata un’emergenza. È un termometro. Misura la temperatura sociale della città. Emergenza è qualcosa di improvviso. Il traffico di Palermo, dalle divertenti citazioni cinematografiche all’insopportabile concerto di clacson che accompagna la città dalla mattina alla sera, è endemico come una pianta invasiva: una specie di gramignone di lamiera. Se ne parla perlopiù alzando le spalle, ma quando per altri motivi cresce il tasso di insoddisfazione la percezione aumenta. Basta un mix come quello di questi giorni, tra cantieri, immondizia, pioggia, e si è tentati di inventare nuovi record: “Mai visto un traffico così…”. Invece l’unica cosa che non si è mai vista è una solida autocritica dei palermitani secondo i quali le auto incolonnate sono comunque sempre colpa di qualcun altro, tipo della politica.

Sul traffico a Palermo si sono costruite e decostruite carriere. Molti assessori hanno lavorato di fantasia, come se l’urbanistica fosse una tavolozza sulla quale spennellare. Altri hanno usato il pugno di ferro. Ma il risultato è stato sempre lo stesso: un tentativo di svuotare il mare col secchiello. Ora ci sono i monopattini elettrici che dovrebbero in qualche modo alleggerire la situazione. Eppure ci stiamo mettendo di impegno per non prosciugare la vena di caos che alimenta il nostro traffico quotidiano. E i palermitani in monopattino (io sono stato tra i primi a usarlo in città) fanno la loro parte, abbandonando i mezzi in modo da ostacolare scientificamente la circolazione, congestionando gli ultimi spazi di vivibilità che erano le aree pedonali e impegnandosi a calpestare più regole possibili nella circolazione. Tutto per salvaguardare il gramignone.

Palermo è in difficoltà

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Il vecchio gioco non regge più. Il refrain della “città bella nonostante tutto” che attrae turisti e consola i più ottimisti tra i palermitani è solo l’eco lontana di una giustificazione che piaceva, ci piaceva. Palermo “bella nonostante tutto” era bella sin quando quel “nonostante tutto” non è diventato invadente, grottesco. Oggi la città soffre talmente da non opporre quasi più resistenza: e sappiamo bene che dalle nostre parti la rassegnazione è, nel migliore dei casi, una pericolosa forma di difesa, quella che più facilmente cede alle scorciatoie del qualunquismo, alle tentazioni del rimpianto nei confronti di chi non merita rimpianto. Al di là del traffico, dell’immondizia, delle bare senza sepoltura, la vera crisi di Palermo è nella visione di chi la amministra. Una visione novecentesca che procede (quando procede) per compartimenti stagni. Invece no, la città del futuro, come una grande azienda o come un consesso di teste pensanti, deve superare questa logica di guerra tra uffici, di barricate in consiglio comunale che rimandano più a un film dei Monty Phyton che a un dibattito politico o a un suo surrogato. La distanza della politica rispetto alle persone può essere accorciata soltanto se, ad esempio, la politica la smette di usare delibere (che sono atti importanti per la vita di una comunità) come strumento di guerra e capisce che la paralisi amministrativa non è più, come un tempo, uno stratagemma per gestire potere, ma un’offesa alla cittadinanza. Insomma una nuova visione, realistica e lungimirante, deve tener conto dei tempi che non sono più quelli del “nonostante tutto”. Niente più ardite scommesse, servono scelte consapevoli. Niente più politica dei piccoli passi, servono falcate.    

L’amore insano per l’auto

L’articolo pubblicato su la Repubblica.

Ogni tanto a Palermo salta fuori l’emergenza traffico. Un’emergenza che non c’è. Una mistificazione o meglio un’invenzione dato che l’emergenza si sostanzia di circostanze impreviste e che il traffico è in realtà il tessuto connettivo della città, prevedibile e inesorabile come il florilegio di soluzioni che da decenni condisce ogni discussione sul tema. Più Ztl, più isole pedonali, più parcheggi, più semafori intelligenti, più targhe alterne, più mezzi pubblici, più multe, più telecamere e via addizionando. Il risultato è sempre lo stesso, un esercizio di retorica attorno al nodo del problema che riguarda il rapporto perverso tra il palermitano e l’automobile.

Gli ultimi dati, presentati dall’assessore Catania, ci dicono che otto cittadini su dieci si muovono in macchina (o in moto) per andare al lavoro, cioè ritengono che il vero cambiamento nella vivibilità di Palermo sia quello che devono affrontare gli altri. È un problema culturale, inutile girarci attorno. E ci sono le prove.

Basta analizzare la fenomenologia del parcheggio. Se il luogo da raggiungere è notoriamente una zona in cui posteggiare è impossibile, il palermitano non viene sfiorato dall’idea di mollare l’auto a casa e anzi parte lancia in resta alla conquista dello spazio negato. Un po’ come accade con l’immondizia abbandonata per strada, è tutta questione di chi fa il primo passo. Come il “sacchetto zero” figlia rapidamente (tipo abnorme riproduzione cellulare) una montagna di rifiuti, così la prima automobile abbandonata ad esempio al centro di una piazza, scatena una geometria complessa di lamiere in cui l’unico spazio vitale garantito è quello per il posteggiatore abusivo che si occupa di impilare i mezzi. Certe cose non si improvvisano, ci vogliono formazione, esperienza, caparbietà: cultura appunto.

Anche nello sguardo sdegnato nei confronti degli autobus c’è qualcosa di atavico, il marchio dell’indole. Secondo il mantra del palermitano automunito, il bus non si usa perché è lento e sporco. Lento e sporco di suo, secondo una logica blindata: non può esistere un bus veloce e pulito, è l’assioma. Il solo ammettere una lontanissima possibilità che da qualche parte, in una remota galassia dell’Amat, possa esistere un 101 nuovo nuovo rischierebbe di innescare un buco spazio-temporale dagli effetti catastrofici aprendo una sorta di stargate su un mondo terrificante dove quattro passi a piedi non uccidono nessuno e i divieti di sosta non sono un’offesa personale. No, meglio rimanere saldamente ancorati alla realtà e diffidare delle sirene della controinformazione secondo le quali se un autobus va a passo d’uomo forse la colpa è degli automobilisti che invadono le corsie preferenziali, e se magari è pure sporco probabilmente ci sarà chi lo usa come una pattumiera (oltre a chi non lo pulisce).

Ma l’effetto più interessante e recente che promana da questo fermento culturale è quello che riguarda i rapporti con le bici e i monopattini elettrici. Soprattutto i monopattini, la cui regolamentazione ha ancora molte falle ma i cui vantaggi in termini di eco-sostenibilità sono innegabili. Il palermitano odia i monopattini per motivi che si generano alla bisogna. Se sono in strada li odia perché sono lenti. Se sono sul marciapiede li odia perché sono veloci. Se sono sulle strisce, magari portati a spinta, li odia perché non sono ancora regolamentati e – lo giuro, è esperienza personale – non si ferma con l’auto, anzi tira dritto: come se in mancanza di una norma precisa ci fosse la licenza di uccidere.

“Lei non può circolare!”, mi ha urlato l’altro giorno una signora su un Suv mentre, distraendosi un attimo dal cellulare che aveva in mano, cercava di arrotarmi sulle strisce. Ero colpevole di monopattino abusivo. Il colpevole ideale per una palermitana ideale. 

Viaggio a New York – abbracci e baci

baci a central park

Si sa, New York non è l’America. E viceversa. New York è New York, la città più incredibile. La città che rende il sonno inutile, che ha un traffico insopportabile ma anche un verde indimenticabile, che fuma dai tombini e profuma di pietanze di tutto il mondo. La città che ha il cielo più piccolo e l’orizzonte più grande. New York è un arcipelago di città che si fingono quartieri: provate a girarla a piedi e rimarrete colpiti da come tutto cambi vertiginosamente da un chilometro all’altro.
Una settimana non basta per capirla, ma è sufficiente per capire. Capire che a New York tutti cercano qualcosa, corrono verso qualcosa e, contrariamente a quel che verrebbe spontaneo pensare, si guardano intorno. Fate un esperimento: mettetevi una mappa della città in mano e assumete un espressione perplessa; contate sino a dieci e sicuramente qualcuno si fermerà per chiedervi se avete bisogno di aiuto. I newyorkesi sono gentili a modo loro, vi guidano se vi siete persi ma vi correggono bruscamente se sbagliate una pronuncia.
New York ha anche un altro primato, la metropolitana più incasinata che abbia mai visto. Alcune stazioni sono fatiscenti, in altre le indicazioni sono lacunose, in molte non ci sono tabelle orarie sul passaggio dei treni. Perdersi è facilissimo (e se ogni tanto accadesse non è detto che sarebbe un male…).
Per farla breve, di questa settimana nella Big Apple rimane la sensazione di essere stati fortunati. Col tempo soprattutto, giacché la città col sole è davvero una meraviglia. Se mai vi capiterà di vivere un’esperienza simile, trovate il tempo per fare l’unica cosa importante che non sta scritta sulle guide: prendete la persona amata (se non la avete procuratevela, fatti vostri) e andate a sdraiarvi a Central Park. Poi abbracciatevi sotto il sole. E baciatevi.

Maledetti maratoneti

Strade chiuse per il passaggio dei circa 1.700 atleti che hanno partecipato alla Maratona Città di Palermo, che però hanno creato non pochi disagi agli automobilisti…

Così sul Gds si riassume la domenica della Maratona di Palermo. A poco o nulla vale sgolarsi ogni anno per ricordare che in tutte le città del mondo la maratona è una festa, o per ribadire agli improvvisati cronisti che in simili competizioni sportive sono gli automobilisti che creano disagi ai runner e non viceversa. Niente da fare, è questione di incultura cronica e disperata.

Se l’ignavia inquina più del traffico

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Nell’eterna attesa di sapere se è nato prima l’uovo o la gallina, ci si può trastullare con un dubbio più estemporaneo ma non meno cruciale: a Palermo nasce prima l’isola pedonale o la Zona a traffico limitato? In realtà a dar retta al Consiglio comunale potrebbe non nascere un bel nulla, dato che con un groviglio di provvedimenti finora si è riusciti nell’impossibile: bloccare i progetti di pedonalizzazione a favore di scelte che garantiscano più “vivibilità e qualità”. (…) E un’argomentazione critica del capogruppo di Forza Italia, Giulio Tantillo, svela involontariamente il cuore del problema: “Pedonalizzare come ha fatto l’assessore Catania è solo un’operazione di immagine”. Come se l’immagine non contasse nulla in una città devastata innanzitutto dalla disattenzione dei suoi stessi cittadini. Come se essere mandati a quel paese dall’Unesco perché non riusciamo a liberare un maledetto tratto di strada dalle auto non ci coprisse di ridicolo, tutti (Tantillo compreso). Come se la lobby estemporanea degli automobilisti palermitani non potesse essere zittita con provvedimenti chiari e perentori. Come se le beghe politiche dell’assemblea di Sala delle Lapidi non dovessero ispirare, quelle sì, un florilegio di divieti: divieto di perder tempo, divieto di rappresentare l’interesse di pochissimi, divieto di non decidere. Ricordiamocelo: l’ignavia diffusa inquina più di mille scappamenti.

Perché il traffico a Palermo non è un’emergenza

traffico

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

E’ inutile parlare di emergenza. A Palermo il traffico è tutto fuorché emergenza. Chi (fa e) legge i giornali conosce bene l’argomento: fatto l’ingorgo, trovato l’inganno. Nel senso che a ogni coda, incolonnamento, fila di bestemmianti inscatolati, c’è sempre uno che si alza e s’inventa urbanista: più parcheggi, meno strisce blu, più mezzi pubblici, meno isole pedonali, più gambe, meno ruote, più lavoro, meno lavori. E’ così da sempre. (…)
Ecco perché il caos di questi giorni, in una Palermo paralizzata dai lavori in corso, ha la leggendarietà dell’ordinario senza aver diritto a essere iscritto nello sterminato albo delle emergenze. Perché le emergenze sono circostanze impreviste e qui d’imprevisto c’è solo il lampo di genio di qualcuno che s’intesti una campagna di educazione alle novità. Lesson number one: non è vero che il cambiamento migliore è quello che devono affrontare gli altri.
Non è provato che esista una classe politica a prova di traffico, è provato invece che esiste una cittadinanza che può cambiare le cose con semplici gesti. Smetterla con l’alibi del parcheggio fantasma, per cui siccome non c’è dove posteggiare bisogna portarsi l’auto dovunque. Usare, come nel resto del mondo le auto condivise (ormai ci sono pure le app per gli smartphone). Ammettere che se gli autobus vanno a rilento, la colpa è degli automobilisti che invadono le corsie preferenziali. E soprattutto ricordarsi che, in certi casi, usare le gambe è un buon modo per usare la testa.

Il tramonto di Mondello

Golfo_di_Mondello_visto_dalla_piazza_della_SirenettaUn estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Mondello, inverno 2015. Prima scena: lì dove la vocazione turistica inciampa, l’azzardo sovrasta. Un tempo c’era la Sirenetta, sala trattenimenti, oggi c’è il canto delle sirene del Punto Snai, sala scommesse: il locale e il panorama sono gli stessi, cambiano solo gli orizzonti dei clienti.
Valdesi è l’antipasto di Mondello, l’anticipo sempre più sostanzioso di un’offerta sempre più debole. Qui infatti si è spostato il baricentro economico dell’intera borgata, specialmente fuori dalla stagione turistica. Nel triangolo tra la libreria Sellerio, il bar Scimone e il fruttivendolo Pizzichellino, i residenti invernali fanno gruppo, s’inventano una parvenza di comunità. A poche decine di metri, la sala scommesse racconta invece altre storie con altri protagonisti che vengono dalla città e che non pesano nulla nell’economia del borgo: arrivano, parcheggiano senza problemi, scommettono, e tanti saluti. Continua a leggere Il tramonto di Mondello

Il silenzio che salva la città

imageUn estratto dall’articolo di oggi su La Repubblica.

Una delle argomentazioni chiave usate dal manipolo di deputati regionali e dipendenti dell’Ars che si oppone all’abolizione del parcheggio davanti a Palazzo Reale è: “Perché ci devono causare tutto ‘sto disagio? Tanto la piazza resterebbe vuota”.
Il vuoto è quindi usato come concetto che si oppone all’utile. In quest’accezione, una piazza piena di auto è meglio di una piazza deserta e addirittura silenziosa.
Sorvolando sulla constatazione (evidentemente non troppo immediata per certi inquilini di Palazzo dei Normanni) che a parte le macchine, al mondo esistono anche i pedoni, è interessante provare ad adattare in salsa palermitana quella retorica che José Saramago sublimò nella celebre frase: “Forse solo il silenzio esiste davvero”. Continua a leggere Il silenzio che salva la città