Danno zero

Non potendo addomesticare un programma, hanno messo in onda un film con attori addomesticati.

Il naufragio del pirata Morganetto

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Ve l’ho raccontato: stavo rischiando di diventare un fatto di cronaca solo per essere andato a cambiare due biglietti per il concerto di un cantante. Ci sarebbe stato un “caso Cacciatore”. Invece i quotidiani di questi giorni sono pieni di un “caso Morgan”. Che, guarda caso, è anche il musicista per il quale ho prenotato due poltrone in seconda fila. Questo la dice lunga sulla simpatia che nutro per l’artista in questione. Sarà che, in un rigurgito adolescenziale che male non fa, un poco mi identifico con il personaggio che è un frullato di “alto” e “basso”: compositore ossessionato dai dettagli e strimpellatore stonato in tv, alchimista e pasticcione, marchese De Sade e marchese del Grillo, Baudelaire e Tino Scotti. Dopo l’avvilente confessione del suo uso quotidiano di crack, ho trovato un ulteriore punto di contatto tra me e il Castoldi. Certamente non nel consumo di droga, ma nello sfoggio di una sincerità inutile, ovvero utile solo a danneggiare se stessi. E, quello che è peggio, efficacissima a portare acqua al mulino di personaggi molto meno ingenui, molto più in malafede e “malamente adulti” del bambino ciarliero Morgan. Gasparri, La Russa, Mussolini – che non vedono l’ora di poter indossare il cipiglio di madri e padri della nazione infante –  insorgono contro l’osceno Morgan che ha mostrato il pisellino. Mamma Rai lo manda a letto senza cena e senza Sanremo. L’atto culminante di questa vicenda pedagogica e patologica sono i rimproveri in diretta radio della ministra Meloni a un Morgan ridotto a Morganetto, che, tra un’invocazione d’aiuto e d’attenzione e l’altra, sussurra tra le righe: “non lo faccio più”. Probabilmente lo perdoneranno, e lo riporteranno alla riviera dei fiori, all’improvviso trasformata in un inginocchiatoio con i ceci. E, se non dovesse accadere, sono davvero curioso di scoprire chi prenderà il posto di Marco Castoldi. Spero che non siano davvero Marco Carta e altri fiori del male della De Filippi che Morgan ha giustamente criticato. Comincerei a sballarmi anch’io.

Viva Tele Bucarest

Non so se vi è capitato di guardare i programmi Rai in questi giorni di festa. A me sono bastati pochi minuti dello show di Capodanno (dove, per intenderci, l’ospite principale era Luisa Corna) per fuggire e trovare conforto su un canale privato di una qualsiasi tv dell’est Europa.

Palchi e soppalchi

Patrizia D'Addario Manifesto elettorale

Il centrodestra è indignato per l’annunciata presenza di Patrizia D’Addario stasera ad Annozero. La tesi è che non si può concedere a personaggi simili un palcoscenico così importante. Sono d’accordo.
A patto che si consideri palcoscenico importante anche una candidatura politica.

Una nota intellettuale

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Assistiamo a una sconfortante carenza di programmi culturali in Rai, a beneficio di una televisione che insegue un ascolto becero.

Gabriella Carlucci, oggi deputata del Pdl, ieri conduttrice televisiva di Azzurro, Festivalbar, Nuovo Cantagiro, Buona Domenica, e molti altri programmi culturali.

Attenti al canone

di Gianni Allegra

canone

Il Cavaliere, esperto muratore

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Per un pioniere della tv italiana che se ne va (Mike Bongiorno), un evento della tv italiana che segna una svolta: la resurrezione del giornale Luce, il messaggio urbi et (per) orbi con la cazzuola in mano e lo schiaffo alla sovversiva Raitre.
Certo, sarebbe stato più comodo farla direttamente a reti unificate. Ma per quello ci sarà tempo.

Democrazia in Super8

Pare che la trasmissione Report, di Milena Gabanelli, sia a rischio per la prossima stagione di Raitre.
Piaccia o non piaccia, Report è uno dei pochi spazi di inchiesta (forse l’unico) sulle reti televisive italiane. Abbatterlo significherebbe tranciare l’ultimo cavo di collegamento con una simil-democrazia catodica che ci illude, riempiendo i pixel delle nostre speranze su schermo con denunce motivate e pentole scoperchiate.
Non v’è certezza di un’alba uguale per tutti in questo Paese, però in certi contesti e con un’adeguata dose di suggestione ideologica è ancora possibile immaginare tinte fosche per i malvagi e l’opposto per tutti gli altri. Report, nell’infelice mondo del telecomando, è stato per molti di noi un “aiutino”: il cicchetto giusto, la buona boccata, l’abatjour accesa, la dritta amichevole.
Ora, con una manovra complessa e scontata al tempo stesso, si ipotizza un azzeramento della trasmissione.
Se per tornare alle sane visioni notturne è necessario riesumare il Super8, io sono pronto: in cantina ho ancora un proiettore Silma che promette i grandi numeri di un’anzianità felice.  Spero che la Gabanelli si adegui (per il Super8, non per l’età).

Un film “de paura”

videocracy
L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Sono stato a vedere Videocracy, il documentario su non-vita, morte e miracoli della “telecrazia” berlusconiana che Rai e Mediaset mi hanno fatto il favore di ignorare (c’è chi ha usato un altro termine: censurare. Niente trailer e poco più che qualche notiziola sfrecciante sulla proiezione dell’opera a Venezia). Dico “favore” perché io sono come i bambini: più cerchi di nascondermi le cose – e più sono “certi” personaggi, a nascondermele – più corro a curiosare. Tra l’altro, mi vanto di aver sempre pensato (dai tempi spensierati di Drive-in) che i danni culturali inferti dalla Berlusconeide al nostro paese non siano secondi a quelli istituzionali. Mi dico: una serata al cinema che fa per me.  Così, eccomi alla prima della pellicola di Erik Gandini, italiano naturalizzato svedese. Tralascio le notazioni di colore (atmosfera divertente, pubblico ciarliero, quattro gatti in sala. Molti in sandali e calzoni rossi. Qualcuno persino scalzo: esiste anche il trucco e parrucco di cripto-sinistra, ahimé). Primi fotogrammi, e penso: Gandini ci ha azzeccato. Fotografia livida, colonna sonora “cardiaca”, tutta battiti, bassi e suggestioni à la Bernard Hermann di Taxi Driver. Insomma, se Videocracy non è proprio un film dell’orrore, ci andiamo vicini. Con punte di splatter nel bagno di Fabrizio Corona che si specchia nudo, a pisello sciolto, dopo la doccia, e nei primi piani di un Lele Mora-zombie, di bianco vestito ma con l’anima di un Darth Vader (non vi levo la sorpresa di scoprire che cosa suona nel suo blackberry).
Dilemma: c’era altro modo per raccontare quello che è andato storto nelle teste (e negli occhi e nelle anime) di moltissimi italiani negli ultimi vent’anni di storia? Secondo me no. Scena da ricordare: quella finale, del gruppo laocoontico di aspiranti veline che balla al ralenty su un palchetto arrangiato in un centro commerciale. Musica che non va d’accordo con i loro sorrisi e le loro contorsioni, montaggio in parallelo con Silvio e la sua truppa che marcia in grande spolvero tra due ali di folla. L’effetto è raggelante. Una notazione negativa (ma indipendente dalle qualità del regista): ho l’impressione che qualunque film sul fenomeno Berlusconi sia già vecchio prima ancora di essere proiettato, tanto la cronaca sopravanza la riflessione, la possibilità di storicizzare in modo efficace.
D’altronde, è una regola dello spettacolo anche questa: un colpo di scena al giorno leva la consapevolezza di torno.

Sottotitoli

zaia_montalbano

Da Gianfalco.

Al ministro Luca Zaia piacerebbe che le fiction della Rai fossero in dialetto, o coi sottotitoli.