Meglio non leggere

Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia, dove ciò che conta è la volgarità dell’immaginazione, la banalità della trama e la mediocrità dello stile. Credo che sia molto meglio non leggere affatto, piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho.

Pietro Citati sul Corriere ricostruisce il declino della letteratura italiana negli ultimi trenta-quaranta anni.

Il re dell’alpinismo

C’è un bellissimo libro di Walter Bonatti che racconta il romanzo di una vita. Quella di Bonatti, appunto, re dell’alpinismo classico. Il libro si intitola “Montagne di una vita” e va letto con calma perché certe emozioni è meglio diluirle per assaporarle meglio.
Quasi come in un diario, Bonatti ricostruisce le sue principali scalate, dalla missione tragica del K2 alle ascensioni in solitaria sul Monte Bianco.
Mi sono dilettato per una quindicina d’anni con l’arrampicata sportiva quindi è possibile che il mio giudizio sul libro sia condizionato dalla passione per uno sport che mi ha cambiato (in meglio). Però, al netto delle ambizioni letterarie dell’autore, questa è una lettura che consiglio agli amanti dell’avventura.
Bonatti era un uomo straordinario, un fuoriclasse dell’alpinismo. Il suo coraggio è degno di essere celebrato.

Variazione su De Carlo

Mia moglie ha finito le oltre 500 pagine di “Lei e lui” di Andrea De Carlo. Essendo un’appassionata (rea confessa) dell’autore, e conoscendolo quindi abbastanza bene, mi dice che il romanzo avrebbe dovuto intitolarsi “Io e io”.

Buone nuove

Oggi il Corriere della Sera, nelle pagine della cultura, fa un’ottima recensione di un noto romanzo.

Toscano d’esportazione

Il mio amico Salvo Toscano ha trovato un suo libro nella biblioteca di Stoccolma. Tutto bene fin quando non scoprirà di essere sullo stesso scaffale di Stieg Larrson.

Il Tg1, Bossi, il ponte sullo Stretto

Ogni sera, nel torpore agostano di un Tg1 che in quel torpore sguazza felice e realizzato, c’è un servizio su Bossi che biascica dittonghi senza esito e parla di un’entità geografica che non esiste, la Padania. Eppure, lui che è ministro per il Federalismo dovrebbe stare attento a rimanere all’interno dei confini del geograficamente plausibile.
Poi ieri sera è andato in onda un servizio dal titolo: “Ponte sullo stretto, un’opera che divide” (lo trovate qui, al minuto 25,39, dopo una gaffe tecnica che mostra una demolizione militare al posto della costruenda opera). L’ho visto con curiosità. L’ho anche rivisto su internet, per essere certo di aver capito bene.
Un’opera che divide? Nel servizio, a parte due frame, non c’è voce discordante rispetto al progetto del governo: un altro errore da matita blu per Augusto Minzolini, soprattutto tenendo conto del titolo fuorviante. Eppure, lui che è direttore del Tg1 dovrebbe stare attento a rimanere all’interno dei confini del giornalisticamente corretto.
A proposito di confini. Tra Bossi che invoca la supremazia della Padania e Berlusconi che vuole gettare ponti verso le propaggini dell’impero, io sono a favore del primo. Si dia ai padani quel che è dei padani. Ma si lasci agli isolani – che vivono da sempre di mare a nord, sud, est e ovest – la possibilità di essere lontani, difficili, isolati.
Quanto al ponte, non mi stanco di citare il meraviglioso articolo di Gesualdo Bufalino su la Repubblica del 19 settembre 1985. Che così si concludeva:

Con tutto ciò, come negare l’ esistenza del tumore Sicilia e delle sue minacciose metastasi d’esportazione? E’ un morbo vecchio di secoli, ma non saranno nè la segregazione nè l’ aggregazione a salvarcene: nè una chirurgia che ci amputi, nè un ponte che ci concilii. Occorrono cure diverse, e io dico timidamente: libri e acqua, libri e strade, libri e case, libri e occupazione. Libri.

Grazie di vendermi

Libro in vendita al Grande Migliore, un centro commerciale di Palermo.
(sul motivo del ringraziamento alla Regione Sicilia non c’è indizio che consenta, al momento, un’ipotesi)

Senza offesa

Su Panorama di questa settimana, accanto alla stroncatura di un noto bestseller italiano, c’è un’ottima recensione di Salina, la sabbia che resta.

L’impero di King

Stephen King chiede ai suoi lettori di mandargli foto di luoghi o cose particolarmente interessanti, corredate da didascalie. Motivo? Costruire quello che lui chiama “il mio impero”. Chissà cosa avrà in mente.

Lo Strega che non strega

 Poche parole

di Raffaella Catalano

Ieri mi sono inflitta l’annuale autoflagellazione e ho seguito il Premio Strega in tv. Tutto come da programma. Si mormorava da tempo che ci sarebbe stato un testa a testa tra “Acciaio” di Silvia Avallone e “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, e così è stato. Poi Pennacchi ha vinto. Un tomo Mondadori/Berlusca per la quarta edizione consecutiva. Anche qui nessun “oohhh” di sorpresa. L’unico ad accennare a una presunta combine, Paolo Sorrentino. Ma i benpensanti diranno, come sempre: l’invidia di un perdente. Che però, aggiungo io, scala le classifiche.
A parte questa (solita) solfa, ne ho notata un’altra, non meno ricorrente: i brani dei libri letti durante la serata finale, da quando ho ricordi, sono sempre scampoli di temino di scuola media. Quattro-righe-quattro, insulse, piatte e senza stile.
Magari i romanzi in cinquina allo Strega sono tutti immancabilmente banali. Chissà. Oppure si fa un’accurata selezione per declamarne in Rai gli stralci peggiori. Ri-chissà. E una deleteria stoccata la assestano anche le interpreti, attricione decotte, attricette tettute o sciacquine parvenues che siano: leggono i contemporanei con un’enfasi che risulterebbe demodé persino in un teatrino amatoriale di provincia. Se in finale ci andasse un redivivo Dante sporgerebbe denuncia per danni. A sé e soprattutto alla voglia di leggere.