In caso di disgrazia (editoriale)

libri brutti

Ultimamente mi sono passati tra le mani diversi (troppi) libri brutti. Ogni volta che accade è un problema che riguarda la mia coscienza. Infatti da un lato mi annoio a leggere qualcosa che non mi piace, e in certi casi la noia sfocia in un nervosismo pericoloso, dall’altro cerco di andare avanti più che posso prima di cestinare il volume poiché, da buon parsimonioso, mi scoccia un po’ che i soldi spesi per l’acquisto dell’insulso romanzo vadano sprecati.
E qui entra in campo la coscienza: se l’autore è un esordiente o un giovane tendo a essere più clemente, cioè non butto subito, ma tento una resistenza notturna (tipo quando non ho sonno e mi serve qualcosa che mi stordisca); se invece si tratta di un veterano o peggio di un bestsellerista, mi accanisco quasi fisicamente sul libro, lo stropiccio, lo lancio contro il muro simulando davanti a mia moglie una caccia alla zanzara.
In generale però, in caso di libri brutti, sarei per la famosa teoria andreottiana secondo la quale, dato che la coscienza è come la camicia, il miglior modo di non sporcarla è non usarla. Ma è facile a dirsi…
Spero che voi siate più cattivi di me. Tolleranza zero contro i crimini editoriali.

Piccoli omicidi tra scrittori

Repubblica su palermo criminaleOggi Repubblica Palermo dedica una pagina alla nota raccolta di racconti di cui vi accennai qualche giorno fa.

Vietato leggere

Questo post è dedicato a tutti gli scrittori che sono alle prese con la campagna promozionale del loro prodotto. E inizia col ricordo di un’esperienza personale.
Qualche anno fa un editore organizzò un incontro pubblico per pubblicizzare un mio libro, anzi un libro di cui ero coautore, e pensò bene di invitare un’attrice per farne leggere alcuni passi. La signora in questione si presentò vestita come se dovesse andare alla prima della Scala, ma non mi impressionò più di tanto: per un principio elementare di compensazione serviva qualcuno o qualcosa che compensasse il mio concetto estremo di sobrietà distratta nell’abbigliamento (che confina pericolosamente con la trasandatezza). Quando l’attrice cominciò a leggere, io mi guardai intorno alla ricerca di conferme tra gli astanti. Leggeva realmente qualcosa che avevo scritto io? Davvero i miei personaggi parlavano in quel modo? Aveva per caso sbagliato libro?
No, lei aveva semplicemente deciso di interpretare le mie pagine, cambiando aggettivi, spostando intere frasi a favore di actio, leggendo ciò che io non mi sarei sognato di scrivere.
Fu allora che capii un principio fondamentale della vita: alla presentazione di un libro, di un qualunque libro, il libro stesso non va mai letto in pubblico.
La lettura è un gesto intimo, anche il miglior interprete non garantirà la fedeltà allo scritto perché tutte quelle righe, che costano fatica e struggimento a chi le compone, sono state pensate, scritte e riscritte decine o centinaia di volte solo per il lettore titolare, non per una comparsa che sfrega quelle pagine con le dita impregnate di fard.
E, a parte la mia disavventura che – lo capisco – rappresenta un caso estremo, c’è un vero fondamentale motivo per non leggere passi di libri alle presentazioni: la noia mortale.
Lo spettatore che è lì esclusivamente per farti un piacere perché magari è un amico o un parente, ha già il latte alle ginocchia perché non solo è costretto ad acquistare un libro che non leggerà mai, piegandosi a una sorta di estorsione affettiva, ma deve persino sentirselo raccontare. Lo spettatore che invece è davvero attratto dalla tua opera si fa due palle così quando qualcuno gli toglie il piacere di scoprire da solo come va la storia, magari rivelandogli il finale.
Quindi presentiamoli pure, i nostri libri. Ma parliamo d’altro, del tempo, del motivo per cui non siamo andati al cinema più spesso invece di star lì a pestare sui tasti, del mondo che ci siamo negati pretendendo di inventarne uno tutto per noi, dell’Amazzonia che muore e della nostra presunzione che purtroppo vive.

Felicità da sfogliare

Si legge poco, è un dato di fatto. Ma è dai libri che si deve ripartire. E’ attraverso i libri che nei secoli gli uomini e le donne si sono conosciuti, ritrovati, amati. I libri sono storie d’amore, effimere o per tutta la vita.

Fabrizio Piazza, libraio, su diPalermo traccia la via per una felicità da sfogliare.

Che fu lupara? No, ufficio del personale

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

A Palermo è sparito uno scrittore. Sparito dalle pagine dei quotidiani, dai blog, dalle riviste.
Si chiama Roberto Alajmo e – tranquilli – è in buona salute: inoltre non è in ritiro per ultimare un’opera né ha scelto il silenzio come strategia editoriale. Semplicemente non scrive perché l’azienda per la quale lavora come giornalista, la Rai, ha fatto valere il vincolo di esclusiva (cioè scrivi per me e per nessun altro) blindandolo come se lo giudicasse prezioso. E sì che Roberto Alajmo qualche merito artistico lo ha – una ventina di libri, molti dei quali tradotti all’estero, un piazzamento come finalista allo Strega e al Viareggio, un premio SuperVittorini, un film recente con Daniele Ciprì, e via elencando – però le sue quotazioni al momento non sono tali da consentirgli di fare qualcosa, nella azienda in cui opera, che sia più complessa di un servizio sul “fagiolo badda” di Polizzi Generosa. Continua a leggere Che fu lupara? No, ufficio del personale

A friend of mine

Oggi Massimo Marino, scienziato scrittore nonché amico, mi dà il privilegio di una bella citazione. Grazie.

L’intoccabile Carofiglio

In queste ore si scatena sul web una polemica che vede protagonista il magistrato-scrittore, o viceversa, fate voi, Gianrico Carofiglio, il quale ha intentato una causa a un editor che aveva scritto del suo ultimo “Il silenzio dell’onda” (terzo qualificato al Premio Strega) le seguenti parole: “Un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scriba scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di ‘responsabilità dello stile’…”.
Due considerazioni, una di ordine generale, l’altra più specifica nei confronti dell’autore in questione.
Chiunque – che sia scrittore o recensore, lettore o editore – sa che a una critica letteraria è scontato ribattere per le rime, saggio opporre uno sdegnato silenzio, folle rispondere per vendetta con una querela.
Quanto all’autore, chiunque – che sia scrittore o recensore, lettore o editore – è conscio del fatto che lui, Carofiglio, è molto, infinitamente, benvoluto dalla critica e dalle giurie. Da dieci anni i suoi libri sono trattati come se fossero tutti capolavori: quasi impossibile trovare in giro osservazioni critiche a romanzi come “Il passato è una terra straniera” (il primo esempio che mi viene in mente) che stupiscono più per l’eco mediatica che per la sostanza.
Brutta sensazione quella del proliferare di nuovi intoccabili. Magari con tanto di immunità parlamentare. Perché, dimenticavo, Gianrico Carofiglio è anche senatore della Repubblica. Magistrato-scrittore-senatore. Speriamo che dalle querele non si passi alle interpellanze.

Il libro collegato al computer

Si parla ormai quotidianamente di e-book, di libri elettronici, di scrittura digitale e via dicendo. Ma guardate cosa hanno combinato questi geni collegando un libro vero a un computer. Il risultato è un sito che merita, nonostante la lingua ostica, un’attenta navigazione (dal momento che è pieno di spunti video).

Quando finisce un amore

In “Ero Jack Mortimer” (bellissimo) Alexander Lernet-Holenia descrive magistralmente la fine di un amore. Taumaturgico.

King, the King

Ho finito di leggere l’ultimo romanzo di Stephen King, “22/11/63”, e l’ho subito regalato a un amico. E non perché volessi disfarmi del tomo, ma perché volevo condividere subito con lui la gioia di questa lettura.
L’opera mi è piaciuta molto, nonostante la traduzione non indimenticabile di Wu Ming 1.
Queste poche righe non sono una recensione, ma un invito: se cercate una storia appassionante, con personaggi credibili, se volete un film da leggere, questo è il libro che fa per voi.