Si fa presto a dire Ponte

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Più della scomparsa delle mezze stagioni, oltre la differenza tra caldo secco e caldo umido, meglio della constatazione che una volta ci si divertiva con poco, la discussione sul Ponte sullo Stretto ormai surclassa tutte le discussioni riempitivo. Solo che quando la recrudescenza dei luoghi comuni filtra dalle chiacchiere da ascensore al dibattito politico, bisogna stare molto attenti. Soprattutto se si parla di un’opera che è già costata più di trecento milioni di euro pur non essendo mai stata realizzata. Un record insomma. L’altro giorno il governatore Musumeci ha ribadito che il Ponte si farà perché “questa telenovela deve finire”: cioè con inconsapevole senso dell’humor ha usato una telenovela per scacciarne un’altra. Ma fa niente, quel che conta davvero è trovare un riempitivo che vada bene con qualunque contesto politico quando la discussione langue. E il Ponte è la pietra angolare di tutte le battute da bar travestite da dichiarazioni programmatiche. Quando la politica era un’altra cosa, cioè almeno avanspettacolo puro, Berlusconi arrivò a presagire la posa della prima pietra: era il 2002 e credevamo di averne viste abbastanza. Ma si sa, l’ottimismo è la migliore dote degli ingenui. Così oggi derubrichiamo a barzelletta la capriola logica del Movimento 5 stelle che, nel giro di pochi anni, sono riusciti a far transitare l’opera dalla categoria “presa per il culo” a quella “simbolo della ripartenza”. E poi il dibattito sul nome. Salvini vorrebbe chiamarlo Ponte Draghi, Musumeci lancia la suggestione del Ponte Ulisse. Un buon compromesso, in onore della storia che ammanta quest’opera che non c’è, sarebbe chiamarlo Ponte delle Chiacchiere. A campata unica tra un luogo comune e l’altro. 

In morte di un giornale

C’è un caso di inaudita violenza giudiziaria contro un giornale e il suo direttore di cui nessuno (o quasi) ha parlato. E che invece meriterebbe inchieste televisive, approfondimenti giuridici, mobilitazioni della politica. È la storia di Centonove, un settimanale messinese che per 25 anni ha sfornato inchieste di ogni genere e messo a ferro e fuoco le stanze segrete del potere. Il suo direttore, Enzo Basso, è stato addirittura arrestato nel 2017 e si è fatto sei mesi di arresti domiciliari come un pericoloso criminale. La sua esperienza, raccontata con una dovizia di particolari quasi maniacale nel libro “Bancarotta”, è terrificante nel puntuale succedersi di eventi che portano all’isolamento e all’accerchiamento di un giornalista libero per poi arrivare all’attacco finale: che non potendo provocare l’annientamento fisico del bersaglio (evidentemente per problemi logistici), ne provoca il dissanguamento economico e una agonia professionale.

Insomma un giornale è stato spazzato via dalla faccia della terra senza che nessuno abbia battuto ciglio: in Sicilia, in Italia, in Europa, mica in Sudamerica o in Africa.

La gravità dell’orchestrazione di atti (giudiziari e non) contro Enzo Basso si riflette negli scandali siciliani degli ultimi anni: dal Verminaio di Messina al caso Montante, dalla commistione affaristico-giudiziaria di alcune procure alla codardia politica di fronte ad abusi palesi (per di più compiuti a viso scoperto). E la categoria dei giornalisti, che pure in quegli scandali ha sguazzato con buon profitto, ha pensato bene di ignorare la richiesta di aiuto di Centonove e dei suoi cronisti, allineandosi anzi al plotone di esecuzione degli inquirenti interessati ad assassinare un giornale, i suoi giornalisti e i diritti dei suoi lettori. Eppure bastava poco, bastava leggere le carte e segnare incongruenze, falsità, strane coincidenze. Il filo che strangola Centonove e il suo editore è lungo: lega tutti i protagonisti della persecuzione giacché sono tutti parenti, o amici, o sodali, o soci, o compari. Non c’è coltellata inflitta a Enzo Basso che non abbia dietro più di un colpevole, come in un romanzo di Agatha Christie. Solo che qui alla fine non c’è un Poirot a consegnare al lettore un finale compiuto e logico.

Il caso Basso è ancora aperto e merita di essere scarnificato come una ferita infetta. Il dolore non è mancato, ora tocca alla disinfezione.   

Ecco perché Nibali è un perfetto non-siciliano

Vincenzo Nibali
Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

La buona sorte tende a livellare le differenze. Nelle vittorie ci si stringe, ci si accomuna in una felice finzione che ci fa tutti uguali. Vincenzo Nibali è uno di noi, uno come noi, verrebbe da dire festeggiando i suoi successi. Ma da siciliani è bene pensarci e ripensarci su, prima di lanciarsi in simili trionfalismi. Perché a pensarci e ripensarci su, Nibali, lo “squalo dello stretto”, è nei valori, nella forza e nella determinazione, un meraviglioso non-siciliano. Continua a leggere Ecco perché Nibali è un perfetto non-siciliano

Neonati e cazzotti

Della vicenda della scazzottata in sala parto al Policlinico di Messina mi sono fatto un’idea della quale non voglio parlare adesso. Dico solo che mi pare una storia ad alto rischio di ridimensionamento o chissà che.
Ovviamente è più che probabile che io sia in errore. In ogni caso mi faccio un nodo: così, appena i fatti saranno più chiari, ne discuteremo.

Il Tg1, Bossi, il ponte sullo Stretto

Ogni sera, nel torpore agostano di un Tg1 che in quel torpore sguazza felice e realizzato, c’è un servizio su Bossi che biascica dittonghi senza esito e parla di un’entità geografica che non esiste, la Padania. Eppure, lui che è ministro per il Federalismo dovrebbe stare attento a rimanere all’interno dei confini del geograficamente plausibile.
Poi ieri sera è andato in onda un servizio dal titolo: “Ponte sullo stretto, un’opera che divide” (lo trovate qui, al minuto 25,39, dopo una gaffe tecnica che mostra una demolizione militare al posto della costruenda opera). L’ho visto con curiosità. L’ho anche rivisto su internet, per essere certo di aver capito bene.
Un’opera che divide? Nel servizio, a parte due frame, non c’è voce discordante rispetto al progetto del governo: un altro errore da matita blu per Augusto Minzolini, soprattutto tenendo conto del titolo fuorviante. Eppure, lui che è direttore del Tg1 dovrebbe stare attento a rimanere all’interno dei confini del giornalisticamente corretto.
A proposito di confini. Tra Bossi che invoca la supremazia della Padania e Berlusconi che vuole gettare ponti verso le propaggini dell’impero, io sono a favore del primo. Si dia ai padani quel che è dei padani. Ma si lasci agli isolani – che vivono da sempre di mare a nord, sud, est e ovest – la possibilità di essere lontani, difficili, isolati.
Quanto al ponte, non mi stanco di citare il meraviglioso articolo di Gesualdo Bufalino su la Repubblica del 19 settembre 1985. Che così si concludeva:

Con tutto ciò, come negare l’ esistenza del tumore Sicilia e delle sue minacciose metastasi d’esportazione? E’ un morbo vecchio di secoli, ma non saranno nè la segregazione nè l’ aggregazione a salvarcene: nè una chirurgia che ci amputi, nè un ponte che ci concilii. Occorrono cure diverse, e io dico timidamente: libri e acqua, libri e strade, libri e case, libri e occupazione. Libri.

Punti di vista

Non so voi, ma io in una rosticceria che si chiama “Peli e penne” non ci comprerei niente.

Cheese

Lombardo Buzzanca Giampilieri

C’è un interessante punto di vista sulle foto scattate al governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, sui luoghi del disastro di Giampilieri.

Grazie a Candeloro.