Amici (o presunti) sullo scaffale

Oggi ho fatto un esperimento. Ho cominciato a scorrere lo scaffale dei “libri degli amici” della mia libreria e ho giocato a collegare storie, sorti e biografie. Una buona parte non sono più amici: non per colpa di qualcuno, ma per vicende non recensibili. Altri resistono in contumacia: gente alla quale potresti voler bene ma che non vedi quasi mai. Altri, pochissimi, sono rimasti amici come lo erano quando hanno pubblicato: sono quelli che si ricordano di te senza un motivo contingente e che magari ti chiamano per chiederti, in modo affettivamente rivoluzionario (di questi tempi), come stai.
Le nostre librerie di casa sono una sorta di anagrafe dei sentimenti, con nati e morti: ma in più hanno i morti-vivi, i moribondi a loro insaputa e i resuscitati. Basterebbe dare retta a quegli scaffali per capire delle persone più di quanto avremmo voluto sapere. Perché, diciamocelo, nel nome di un prodotto editoriale spesso si fanno forzature da Guinnes.
Ho scritto un bel po’ di cose in società, insieme con altri autori, e in generale mi sono trovato bene. Oggi ci ripenso e lo considero quasi un miracolo (la mia psicologa è d’accordo) giacché la mia indole solistica mi avrebbe dovuto spingere in mare aperto, verso una navigazione solitaria. Eppure così non è stato.
Quasi sempre, ripeto quasi, l’aver condiviso un tratto di penna è stata un’occasione di crescita. Delle eccezioni non parlo: mi divertirei troppo e so che le mie pulsioni luciferine prenderebbero il sopravvento mistificando la realtà, quindi dandomi più noie che soddisfazioni
Comunque oggi guardando quello scaffale ho avuto la dimostrazione che lo scorrere del tempo non ha solo una velocità, quella che conosciamo biblicamente o se volete biologicamente. Esistono vecchiaie anticipate e gioventù tardive, almeno a guardare i libri e i loro autori. Esistono vite che non finiscono mai, sodalizi mai coronati eppure eterni e unioni tanto fallaci quanto amare indipendentemente dai calendari. Non è colpa di nessuno, ma c’è un merito condiviso. Quelle pagine, ingiallite o intonse, note o sconosciute (non si legge tutto per diritto di parentela/amicizia, ed è un bene) ci dicono oggi quello che non siamo stati capaci di capire ieri. Ci rivelano che non è mai troppo tardi per rivalutare un errore di prospettiva in buona fede.
Chi c’è ancora oggi ne godrà, chi non c’è più probabilmente ha fatto la fine che meritava.
I libri non mentono mai. Soprattutto quando raccontano menzogne.  
Per il resto c’è la vita.

Le cazzate sono una cosa seria

Torno su un tema che ho affrontato sinteticamente su Facebook qualche giorno fa perché l’argomento mi piace e mi sta anche a cuore. Dovrebbe interessare tutti dato che l’errore è patrimonio comune dell’umanità. Quindi dinanzi a una tale, eterna (Adamo, la mela e tutti i casini conseguenti) diffusione, l’unica certezza è quella sull’errore più grave: quello di non saper sbagliare da soli.
Senza gli errori non esisterebbero il progresso, la scienza, le arti. Chi ci avrebbe messo Dante nei suoi gironi? Quale teoria avrebbe confutato Copernico? Perché mai Agatha Christie avrebbe dovuto far ammazzare Ratchett/Cassetti nel suo memorabile Assassinio sull’Orient Espress? E via discorrendo, divertitevi a trovare un solo libro, un solo film che non abbia l’errore come protagonista.
Diceva Gianni Rodari: “Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio, la torre di Pisa”. E usava un ottimismo surreale perché in realtà la prima reazione della vittima dell’errore non è certo l’ammirato stupore, ma l’incazzatura con quel che ne consegue.
Personalmente sono un professionista dello sbaglio – ci scrissi su una storia che non ho mai avuto il coraggio di pubblicare – e so che certa compulsività nel premere il tasto errato mi proviene dal mio unico e inseparabile compagno di avventure, il DOC. Per questo ho imparato, anzi sto ancora imparando a sbagliare meglio. Perché, come ripeto sempre ai miei amici, le cazzate sono una cosa seria e come tale richiedono attenzione. Il tasso di noia o quello di divertimento che viene fuori dagli errori dipende esclusivamente dalle intenzioni. Più l’errore è pianificato minore rischia di essere l’inconfessabile vantaggio dello spasso per chi lo commette. Più è breve, istantaneo, più godrà del sospiro della leggerezza calviniana. Più è grave, maggiore è l’importanza della lezione ma anche la pena da scontare.
Insomma l’errore è vita e morte, è buio e arte, può profumare di lenzuola fresche ma anche puzzare di merda. Come nella matematica non sono i numeri l’essenza della scienza ma la loro relazione, così nell’infinito campo degli errori non sono gli sbagli stessi la misura del tutto, ma le loro conseguenze. Lo stesso errore spostato due centimetri più in là diventa un’altra cosa.
Ecco perché, secondo me, bisogna disperatamente cercare di saper sbagliare da soli. Perché c’è un handicap e c’è un vantaggio: non avrai nessuno su cui scaricare la colpa, ma non ti sorprenderai la mattina dopo a guardarti allo specchio quando, lavati faccia e denti, dovrai metterti al lavoro per crescere.

Meglio non leggere

Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia, dove ciò che conta è la volgarità dell’immaginazione, la banalità della trama e la mediocrità dello stile. Credo che sia molto meglio non leggere affatto, piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho.

Pietro Citati sul Corriere ricostruisce il declino della letteratura italiana negli ultimi trenta-quaranta anni.

Il re dell’alpinismo

C’è un bellissimo libro di Walter Bonatti che racconta il romanzo di una vita. Quella di Bonatti, appunto, re dell’alpinismo classico. Il libro si intitola “Montagne di una vita” e va letto con calma perché certe emozioni è meglio diluirle per assaporarle meglio.
Quasi come in un diario, Bonatti ricostruisce le sue principali scalate, dalla missione tragica del K2 alle ascensioni in solitaria sul Monte Bianco.
Mi sono dilettato per una quindicina d’anni con l’arrampicata sportiva quindi è possibile che il mio giudizio sul libro sia condizionato dalla passione per uno sport che mi ha cambiato (in meglio). Però, al netto delle ambizioni letterarie dell’autore, questa è una lettura che consiglio agli amanti dell’avventura.
Bonatti era un uomo straordinario, un fuoriclasse dell’alpinismo. Il suo coraggio è degno di essere celebrato.

Prestazioni gratuite

E se lo dice Lansdale.

Domanda: c’è la stessa soddisfazione a leggere gratis?