Nel nome della rosa

Mario Calabresi
Mario Calabresi

Non ci deve essere vergogna ad ammettere le proprie debolezze. Ho quasi tutti i difetti del mondo, e una schiera di testimoni infinita per elencarli, ma so per certo di non essere un invidioso.
Tuttavia devo confessarlo: in questo momento io invidio Mario Calabresi. Non perché è a capo di un grande giornale, non perché ha bruciato le tappe, tutte, di una vita non facile, non per il potere acquisito.
Lo invidio perché è chiamato a gestire un progetto rischiosissimo. Che è motivazione, giustificazione, droga e antidoto al tempo stesso. Lo invidio perché non può perdersi tra pensieri inutili e al contempo affidarsi solo all’utilitarismo. Lo invidio perché è seduto su una sedia scomoda e probabilmente dorme poco e male, a buon dirittto. Lo invidio perché ha una bomba tra le mani che è anche un giocattolo, e sa che la differenza tra una bomba e un giocattolo è solo nel numero degli spettatori che possono parlarne.
Non vorrei essere lui se rinascessi, ma vorrei esserci.
Chissà.
Forse il giornalismo è come la vita, o come certi romanzi. Stat rosa pristine nomine, nomina nuda tenemus.

Come ogni anno?

acchianata monte pellegrino

Esattamente trent’anni fa mi fu data la prima, simbolica e fondamentale, lezione di giornalismo. Di quelle che non si scordano mai.
Il grande Salvo Licata mi mandò a fare il mio primo servizio per Tgs: l’acchianata di Monte Pellegrino. Dopo una notte insonne, salii sull’auto dell’emittente che ero emozionato. Davo del lei all’operatore che sì e no aveva un paio di anni più di me e tenevo in mano un taccuino che avevo acquistato apposta il pomeriggio prima. Per sicurezza avevo tre-penne-tre.
Feci tutte le interviste possibili, vestito in maniera ridicola (ero un capellone che portava pantaloni arancioni e gilet alla Arbore). Poi rientrai in redazione e Angelo Morello scandì: “Hai venti minuti per scrivere e montare il servizio”. Venti minuti. Io allora in venti minuti non scrivevo manco cinque righe. Col cuore nelle orecchie confezionai il pezzo e lo sottoposi a Salvo. Iniziava in modo scellerato: “Come ogni anno, a Monte Pellegrino…”. Salvo mi guardò dal balcone dei suoi occhiali e masticò: “Come ogni anno… e uno perché minchia se lo deve guardare un servizio che comincia così?”
Riscrissi e non dimenticai mai.

Cari futuri giornalisti…

Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere.

Cari ragazzi, futuri giornalisti, ogni volta che incontrerete un direttore che con la scusa dell’imparzialità si rifiuterà di pubblicare notizie, scambiando l’equilibrio con l’equilibrismo, rispondete con questa frase di Gaetano Salvemini. Poi cercatevi un altro giornale o un altro lavoro. Ve lo dice un esperto nel salto multiplo di occupazione.

Se il potere si fa pubblicità a spese nostre

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Si chiama pubblicità istituzionale ed è quella forma di pubblicità in cui l’istituzione parla di se stessa coi soldi degli altri. La Regione, nel disegno di legge sugli aiuti all’editoria che si discute in questi giorni a Sala d’Ercole, prevede per questo tipo di pubblicità un antipasto di duecentomila euro entro fine anno, nulla rispetto alla tavola imbandita con quindici milioni di fondi europei destinati, in vario modo e a vario titolo, a giornali, tv, periodici e testate online isolani per il 2014.
Certo, le cifre fanno impressione. Ma per una volta mettiamole da parte e concentriamoci su un aspetto considerato, spesso e a torto, secondario in quest’ambito. Non è infatti della liceità dell’aiutino alla testata amica o della furberia del requisito magico che fa scattare il rimborso a un giornale senza lettori, che vogliamo discutere. No, qui cerchiamo di capire perché un ente, tipo la Regione, deve pagare per farsi pubblicità. Continua a leggere Se il potere si fa pubblicità a spese nostre

Ho titolato in maniera sublime i pezzi più disperati

Tra le proposte di collaborazione capita anche di ricevere mail come questa, che copio e incollo depurandola dei dati personali e aggiungendo solo il colore rosso per sottolineare i passaggi più appassionanti.

 

Caro collega Gery, mi chiamo (…)
Probabilmente gia’ mi conosci, sono una collega professionista, (…), attualmente direttore del quotidiano (…). Sono stata fino al mese scorso,e per circa 13 anni, anche redattore per (…) ; certamente la migliore giornalista fra altri seppur validi ma sparuti colleghi.
Per renderti conto del mio “valore” puoi collegarti con il mio sito (…). Per il giornale, oltre a scrivere servizi e articoli di vario genere e spessore, ho fatto anche molto lavoro al desk: passando agevolmente e impeccabilbente anche i pezzi piu’ disperati… e titolandoli in maniera “sublime”. Più volte un mio titolo non e’ passato inosservato, ma ha ricevuto inaspettati complimenti anche dai colleghi (…).
Ora, “senza giri di parole”, ti saluto pur dicendoti che non credo mi risponderai… a meno che tu non sia, o che tu non ti creda, migliore di me.
Cordialmente.

 

Spararle grosse

Non sono profeti né maghi, eppure sul web imperversano come se fossero bocche della verità. Sono gli aspiranti “indiscrezionisti”, giornalistucoli o orecchianti della notizia che sparano previsioni e anticipazioni su tutto e tutti. Candidature, alleanze politiche, movimenti aziendali, campagne pubblicitarie, strategie. Scrivono rinviando sempre a “fonti ben informate” e ammiccano al lettore con frasi del tipo “ne vedremo delle belle”.
Ce lo siamo detti molte volte, il problema dell’informazione condivisa, estremamente condivisa, del nuovo giornalismo popular, estremamente popular, è che aumentando il volume delle notizie, diminuisce la qualità degli autori. L’altro giorno c’era uno in tv che si professava giornalista pur non avendo mai avuto a che fare con un giornale, a parte quattro cartelle di deliri incautamente pubblicati da un correo.
Però non è così difficile difendersi dagli impostori: questi tipi non riferiscono indiscrezioni – che, come sappiamo, possono anche non essere confermate, altrimenti non sarebbero indiscrezioni – scrivono proprio cazzate, senza né capo né coda. Scrivono storie inventate travestite da riflessioni, raccontano incubi travestiti da ammonimenti. Insomma, sono Uri Geller del giornalismo: mistificatori, millantatori, truffatori.  Io ne conosco almeno una decina e ogni volta che mi imbatto in un loro scritto, mi sforzo di andare oltre. Poi non ce la faccio… e leggo. Ma questo è un mio grave difetto: ho un debole per il trash.

Il killer “comunicazionale” (cioé io)

Titolo: “La guerra a Lombardo coinvolge i giornalisti. La fatwa di Repubblica sulla rivista Terrà, appena arrivata in edicola”.
Tesi: è giusto che il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo utilizzi la rivista di un suo assessorato, quindi pagata da tutti i siciliani, per pavoneggiarsi in veste di libero pensatore agreste.
Ammonimento travestito da morale: un giornalista non può criticare i giornalisti, altrimenti è un killer.
Siciliainformazioni mi dedica una lunga nota anonima, quindi implicitamente firmata dal direttore Salvatore Parlagreco, dopo l’articolo scritto per l’edizione siciliana di Repubblica in cui criticavo un metodo politico-giornalistico (e su LiveSicilia Accursio Sabella fornisce qualche cifra interessante). Continua a leggere Il killer “comunicazionale” (cioé io)

Lombardo sulle ali della libertà

L’articolo di oggi su la Repubblica.

A pagina 18 è di schiena sul suo cavallo preferito. Qualche centimetro patinato più in là sono ritratti i suoi cani cirniechi e il pollaio coi galli “Verona”. Sotto, il titolo. Cinematografico quanto basta per celebrare senza sbavare: “A Ramacca sulle ali della libertà”.
Il pezzo forte di Terrà, mensile dell’Assessorato regionale all’Agricoltura risorto dalle ceneri di se stesso (il numero uno del 2011 è stato dato alle stampe solo in questi giorni), è tutto nelle quattro pagine in cui il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo racconta il suo tempo libero trascorso in un “rifugio dove il tempo si è fermato”. E lo fa con serenità, come se anche quelle pagine di giornale fossero, esse stesse, rifugio, dimora, tana. Continua a leggere Lombardo sulle ali della libertà

Senza D’Avanzo

Senza Giuseppe D’Avanzo la nostra repubblica, quella che non si sfoglia ma nella quale viviamo e ci disperiamo, ha un guardiano in meno. E’ facile immaginare la gioia tra i delinquenti in giacca e cravatta che erano da sempre i nemici di D’Avanzo. Non so come, ma facciamo in modo da guastare la festa a tutti quelli che in questo momento gioiscono per la scomparsa del migliore giornalista d’inchiesta italiano.

Neanche una domanda a piacere

Se il ministro Brambilla ha un merito, è quello di darci un’idea precisa dello stato del giornalismo italiano.