Paranormal (poco) activity (tanta)

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Deve essere il periodo. Esaurite le cartucce della politica che si fa spettacolo (ci abituiamo presto a tutto, si sa), si fa inversione di marcia: lo spettacolo nutre la politica. Ora Alessandra Mussolini, ancora calda dei fumi del caso Morgan e delle relative ospitate tv, sposta la sua indignazione di mammina italica – tutta core in mano, labbroni e pugni sui fianchi – al cinema. Tranquilli, stavolta non c’entra Michele Placido (a lui ci ha già pensato Brunetta). La pietra dello scandalo è “Paranormal Activity”, horror semi-amatoriale  di tale Oren Peli, divenuto campione d’incasso negli USA con la benedizione di Spielberg. Pare che il film stia creando una specie di psicosi collettiva tra i giovani, con ricoveri, crisi di panico e svenimenti degni de “L’esorcista” alla sua uscita nelle sale. Al punto che l’Alessandra nazionale ha diffuso una nota d’allarme al ministro Bondi sulla pellicola, lamentandone la mancanza di divieto ai minori. E ora date retta a me, che di film dell’orrore veri mi sono nutrito fin da quando avevo otto anni. Io, “Paranormal Activity” l’ho visto. E’ una noia mortale. E’ un film che non fa paura nemmeno per un minuto dei 90 e più complessivi della sua durata. E’ un’accozzaglia di situazioni straviste, con uno stile stravisto e con degli attori cani come mai se ne sono visti. E’, soprattutto, un film stupido. E, come sanno quelli che di horror veri se ne intendono, fare paura è una cosa che richiede grande intelligenza. Tanta quanta la paraculaggine di chi, come certi nostri politici, non perde occasione per cavalcare cavalli spompati, senza nemmeno sapere di che razza sono.

Il naufragio del pirata Morganetto

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Ve l’ho raccontato: stavo rischiando di diventare un fatto di cronaca solo per essere andato a cambiare due biglietti per il concerto di un cantante. Ci sarebbe stato un “caso Cacciatore”. Invece i quotidiani di questi giorni sono pieni di un “caso Morgan”. Che, guarda caso, è anche il musicista per il quale ho prenotato due poltrone in seconda fila. Questo la dice lunga sulla simpatia che nutro per l’artista in questione. Sarà che, in un rigurgito adolescenziale che male non fa, un poco mi identifico con il personaggio che è un frullato di “alto” e “basso”: compositore ossessionato dai dettagli e strimpellatore stonato in tv, alchimista e pasticcione, marchese De Sade e marchese del Grillo, Baudelaire e Tino Scotti. Dopo l’avvilente confessione del suo uso quotidiano di crack, ho trovato un ulteriore punto di contatto tra me e il Castoldi. Certamente non nel consumo di droga, ma nello sfoggio di una sincerità inutile, ovvero utile solo a danneggiare se stessi. E, quello che è peggio, efficacissima a portare acqua al mulino di personaggi molto meno ingenui, molto più in malafede e “malamente adulti” del bambino ciarliero Morgan. Gasparri, La Russa, Mussolini – che non vedono l’ora di poter indossare il cipiglio di madri e padri della nazione infante –  insorgono contro l’osceno Morgan che ha mostrato il pisellino. Mamma Rai lo manda a letto senza cena e senza Sanremo. L’atto culminante di questa vicenda pedagogica e patologica sono i rimproveri in diretta radio della ministra Meloni a un Morgan ridotto a Morganetto, che, tra un’invocazione d’aiuto e d’attenzione e l’altra, sussurra tra le righe: “non lo faccio più”. Probabilmente lo perdoneranno, e lo riporteranno alla riviera dei fiori, all’improvviso trasformata in un inginocchiatoio con i ceci. E, se non dovesse accadere, sono davvero curioso di scoprire chi prenderà il posto di Marco Castoldi. Spero che non siano davvero Marco Carta e altri fiori del male della De Filippi che Morgan ha giustamente criticato. Comincerei a sballarmi anch’io.

Close West

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Ma sentite questa. Ho due biglietti per un concerto. Hanno spostato la data dell’evento, e io voglio accertarmi di non doverli cambiare. Così decido di andare al box-office dove li ho comprati. Come tutti sanno, i biglietti hanno una caratteristica: sono sottili ed entrano facilmente nella tasca interna di giacche e giubbotti. Cosa che – ma lo scoprirò solo a fine mattinata – può anche essere un principio di tragedia.
Raggiungo la porta a vetri dell’ufficio di vendita, la spingo per entrare e contemporaneamente, in modo del tutto istintivo, mi infilo una mano nella tasca, così da avere i tagliandi già a disposizione quando sarò davanti all’impiegato.
Sono accolto da facce terrorizzate. Un uomo sulla sessantina, robusto, sgrana gli occhi e mi urla: “Che vuole lei?”. Indietreggia. L’addetto al banco impallidisce. Come il barista del Far West (ma levateci il “Far” perché l’ufficio è a due passi da casa mia), rimane immobile, rigido, in attesa di non si capisce che.
Calmo tutti, spiegando quello che mi sembra scontato: sono lì per un’informazione.
“Non lo faccia mai più”, mi avverte l’uomo alla porta.
“Cosa?”.
“Questo”. E si mette la mano nella tasca, esattamente come avevo fatto io entrando. “Mai farlo quando sta per varcare la soglia di un negozio. Potrebbe avere una pistola e io, non sapendo le sue intenzioni, potrei tirare fuori la mia”.
Lei ha una pistola?”, mi stupisco. A quel punto mi sento very far, ma dalla realtà.
“Lasci perdere. Però segua il mio consiglio”.
Torno da mia moglie. Vedremo il concerto: mi garantiscono che i posti sono nostri lo stesso. Me lo godrò con tutte le forze, dato che rischiavo di non esserci. In tutti i sensi.

Bis

Einaudi ripubblica Fotofinish, di Giacomo Cacciatore, del sottoscritto e di Valentina Gebbia.

Fare e costruire

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Lo confesso: dei bambini di oggi non so niente. Non ho figli. Ne hanno i miei amici, ma raramente se li portano appresso. E allora chiedo al solo bambino che conosco bene, cioè me stesso. Una delle domande cruciali è: come imparavi?
Alla stregua di un relitto che affiora da acque limacciose, mi si presenta sempre un titolo di due parole.
I Quindici”.
Chi è nato presto sa di che parlo. A un certo punto della vita di una normale famiglia, in una mattina come le altre (ma solo in apparenza), qualcuno bussava alla porta. Era l’uomo dei “Quindici”. Cortese e brizzolato, si informava sull’età dei piccoli di casa, annuiva compiaciuto nel sapere che c’erano marmocchi in fase di apprendimento e, davanti a un bicchiere d’acqua (chissà perché i piazzisti più diabolici non accettano altro che bicchieri d’acqua e nemmeno un caffè?) cominciava il suo lavoro. Demolire le certezze dei genitori in materia di educazione dei loro pargoli. Enciclopedie? Macchè. Scuola elementare? Bah! Nonni facondi? Sì, ma non basta.
Lo strumento davvero valido per l’apprendimento era un altro. E ce l’aveva lui.
“I Quindici”.
Che – parole sue – erano un’enciclopedia, sì, ma non fino in fondo. Erano libri, sì, ma anche qualcosa di diverso. Erano quindici, sì, ma valevano il doppio. E poi facevano bello il salotto.
Naturalmente i miei me li comprarono. Pronta consegna: l’uomo dei “Quindici” non faceva prigionieri. I libri ce li aveva lì con sé, nel bagagliaio della macchina.
Ripresosi dall’ipnosi, mio padre ci mise anni a capire a che cazzo servissero quei “Quindici”, se non a fargli pagare quindici rate. Per consolarlo, mi affezionai a uno dei volumi che si intitolava – lo ricordo come se fosse ieri – “Fare e costruire”. Un banalissimo manuale di bricolage. Non feci né costruii nulla di quello che si vedeva nei “Quindici”, ma fantasticai moltissimo sulle foto: mostravano bambini visibilmente americani, ormai in pensione, facce in bianco e nero e taglio di capelli a spazzola anni cinquanta, che erano lontanissimi da me, persino un po’ mortuari.
Seppi qualcosa della tenerezza e della malinconia.
Oggi, c’è il Nintendo.

A che titolo?

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Si può dire di tutto, è vero, anche delle stronzate. Ma è pur vero che questo tutto dipende da chi lo dice e come.
Ai tempi della prima Repubblica c’era una frase molto in voga nel parlato quotidiano: “Ma lei, a che titolo?”. A che titolo afferma questo, a che titolo si comporta così, a che titolo pretende quest’altra cosa, etc. Era un brutto modo di dire, lo ammetto: sottendeva un’equazione grossolana e anche un po’ ridicola, un ragionamento da sottogoverno nel quale la libera espressione dell’individualità corrispondeva ai ruoli e le competenze ad essa correlati. E se tale corrispondenza non saltava fuori, zitto e mosca.
Però ci sono situazioni in cui questa frase io vorrei rispolverarla. Quando un tale Paolo Grimoldi, deputato leghista, si alza una mattina, si accorge dell’esistenza di un libro che si chiama “Il diario di Anna Frank”, si informa di che tratta (se lo sarà fatto spiegare più volte, azzardo) viene a scoprire che ci sono degli insegnanti che lo leggono persino ai loro alunni e giunge alla conclusione che, cito testualmente: “vi è un passo nel quale Anna Frank descrive in modo minuzioso e approfondito le proprie parti intime e la descrizione è talmente dettagliata da suscitare inevitabilmente turbamento in bambini della scuola elementare”… ecco, io avrei una gran voglia di appendermi la sua fotografia nello studio, capacitarmene, e ripetergli: “Scusi, ma lei… a che titolo?”.
Lo faccio qui.

Why?

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Sta per arrivare in Italia “Nine”, un film americano che rifà un musical che rifaceva a sua volta “8 ½” di Fellini. Penelope Cruz al posto della Milo, Daniel Day Lewis al posto di Mastroianni, Nicole Kidman al posto della Cardinale e il regista Rob Marshall (autore di “Chicago”) al posto di Federico. Mastandrea è in ruolo: fa un cameriere.
La domanda sorge spontanea e fa pure mezza rima con il titolo.
“Why?”.

Opinion leaders

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L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Al “Fatto del giorno” di Monica Setta, fino a poco fa succursale della sala d’aspetto del San Raffaele di Milano, il tema principale di discussione del giovedì di quaresima berlusconiana è stato: stiamo tornando agli anni di piombo?  C’erano vari opinion leaders: Alba Parietti, Emanuela Villa (la figlia di Claudio) e, in collegamento (da dove?) Flavia Vento. Alla Vento, presenza misteriosa e muta sul video-wall nel corso di tutta la puntata, è stata rivolta la domanda conclusiva.
“Se lei fosse al posto di Berlusconi, perdonerebbe l’aggressore?”.
La risposta arriva dopo qualche istante di fiato sospeso: “Io? No. Cioè… io perdonare no”.
Poi l’hanno sfumata. Entrava Emma Bonino.

La Setta

monica setta

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Da qualche tempo su Rai 2, in orario post-prandiale (poco opportunamente, visto che per me può indurre nausea e altri effetti gastrointestinali) c’è un programma tv che definirei come il nuovo prototipo “grado zero” di deformazione/disinformazione/bagasciata pret-à-porter dell’era berlusconiana attuale e futura. S’intitola “Il fatto del giorno”, è condotto da Monica Setta e non si/ci fa mancare niente: multiforme parterre di ospiti (da Cristiano Malgioglio al rifondarolo Paolo Ferrero, da Vittorio Sgarbi a Roberta Giarrusso, da Mastella al cane Rex), ambizioso carniere di contenuti e bistecche al fuoco (trans, giustizia, cronache parlamentari, omicidi irrisolti, ancora trans, ancora cronache parlamentari), interattività col popolo (pezzo forte del programma è un sondaggio del tipo: secondo voi quei biiip dei magistrati fanno bene a prendersela con quel santo, divino, brav’uomo, grande imprenditore, presidente operaio, amatore di Silvio Berlusconi sua maestà? Sì/No), e informazione in tempo reale (la Setta passa il tempo a ripetere la frase: “in esclusiva per noi”, ma si tratta di comunissimi lanci Ansa). Qualche puntata fa, l’ossessione della giornalista scollacciata era il sogno di tutti i giornalisti, anche non scollacciati: lo scoop. Disse che avrebbe fatto in diretta (e in esclusiva!) i nomi dei vip ritrovati nel computer di Brenda (“perché noi i nomi li vogliamo e li diciamo!”) e, per quanto mi riguarda, mal di stomaco a parte, fu amore a prima vista. Cinque puntate dopo, la Setta invocava ancora i nomi dei vip “birichini” che, naturalmente non arrivarono mai (in esclusiva, insomma, ci fu il pacco).
Ieri, la Setta ha cambiato pelle. Come Hyde che si spoglia di Jekyll, ha rivelato la sua vera natura. Complice l’aria che tira: il pentito Spatuzza va in tribunale a nominare Silvio. E così, presente un inspiegabilmente assopito Ingroia, Monica, forte di un sondaggio (migliaia di telefonate del “popolo”) si è lanciata in un’arringa in diretta. Il succo? La delegittimazione dei pentiti e l’immondizia riversata su Silvio. Da parte di chi? Dei magistrati, ovviamente. Ma lei, spalleggiata dalla nota intellettuale Stefania Orlando, dice: non sto dalla parte di nessuno, è il popolo che la pensa così. Quello dell’inappellabile sondaggio de “Il fatto del giorno”.
Insomma, non è la Rai. E’ una Setta.

Trucco e parrucco

di Giacomo Cacciatore

Lorna: tu stasgera comu ti veschti per andare a Porsci-a-Porsci di Brunu Veschpa?

Japan: mi mesgi ‘u curpettu chi brillantinu, u pantacalsha e u taccu dodisgi. E tu?

Lorna: io mi svestgi seriamensgi. Un maliuncinu a collu alsgi e a’ gona da’ colesgiala.

Japan: mi presgi ‘a matisgia nera per l’ochi?

Lorna: uffa, che pali! Non ti compri mai nenti… una volsgia te manca ‘a matisgia, un’altra volsgia ‘u fard… No te presgi proprio un casu.

Japan: avansgi… si me presgi ‘a matisgia te dico una cosa segresgia de Marrasu.

Lorna: tieni a’ matisgia.

Japan: No trovo nemeno u’ rimel. Si me presgi ‘u rimel te digo una cosa comoventi di Brenda. Così fai bela figura a Porsci a Porsci. E cusì ti invita puru Monica Seti, Lambertu Spusgini y Barbara D’Urshu.

Lorna: Ecu ‘u rimel. Ahora dimi a’ cosa segreta de Pieru Marrasu.

Japan: Pieru ha i moroidi.

Lorna: E dimi ‘a cosa de Brenda.

Japan:  E’ morta.