Fare e costruire

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Lo confesso: dei bambini di oggi non so niente. Non ho figli. Ne hanno i miei amici, ma raramente se li portano appresso. E allora chiedo al solo bambino che conosco bene, cioè me stesso. Una delle domande cruciali è: come imparavi?
Alla stregua di un relitto che affiora da acque limacciose, mi si presenta sempre un titolo di due parole.
I Quindici”.
Chi è nato presto sa di che parlo. A un certo punto della vita di una normale famiglia, in una mattina come le altre (ma solo in apparenza), qualcuno bussava alla porta. Era l’uomo dei “Quindici”. Cortese e brizzolato, si informava sull’età dei piccoli di casa, annuiva compiaciuto nel sapere che c’erano marmocchi in fase di apprendimento e, davanti a un bicchiere d’acqua (chissà perché i piazzisti più diabolici non accettano altro che bicchieri d’acqua e nemmeno un caffè?) cominciava il suo lavoro. Demolire le certezze dei genitori in materia di educazione dei loro pargoli. Enciclopedie? Macchè. Scuola elementare? Bah! Nonni facondi? Sì, ma non basta.
Lo strumento davvero valido per l’apprendimento era un altro. E ce l’aveva lui.
“I Quindici”.
Che – parole sue – erano un’enciclopedia, sì, ma non fino in fondo. Erano libri, sì, ma anche qualcosa di diverso. Erano quindici, sì, ma valevano il doppio. E poi facevano bello il salotto.
Naturalmente i miei me li comprarono. Pronta consegna: l’uomo dei “Quindici” non faceva prigionieri. I libri ce li aveva lì con sé, nel bagagliaio della macchina.
Ripresosi dall’ipnosi, mio padre ci mise anni a capire a che cazzo servissero quei “Quindici”, se non a fargli pagare quindici rate. Per consolarlo, mi affezionai a uno dei volumi che si intitolava – lo ricordo come se fosse ieri – “Fare e costruire”. Un banalissimo manuale di bricolage. Non feci né costruii nulla di quello che si vedeva nei “Quindici”, ma fantasticai moltissimo sulle foto: mostravano bambini visibilmente americani, ormai in pensione, facce in bianco e nero e taglio di capelli a spazzola anni cinquanta, che erano lontanissimi da me, persino un po’ mortuari.
Seppi qualcosa della tenerezza e della malinconia.
Oggi, c’è il Nintendo.