Neologismi/2

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Presto in Italia si fenderanno marosi elettronici su internetto e si comunicherà per elettromissiva.

Fino a qualche tempo fa

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Fino a qualche tempo fa  non nutrivo un’eccessiva simpatia per Michele Santoro. Lo trovavo  istrionicamente fazioso.
Fino a qualche tempo fa non nutrivo un’entusiasmante simpatia per il quotidiano “la Repubblica”. Pur avendo a lungo collaborato con l’edizione palermitana dello stesso giornale (o forse proprio per questo), lo trovavo snobisticamente fazioso.
Fino a qualche tempo fa giuravo a me stesso che non sarei mai stato fazioso. Mi sembrava un atteggiamento da ragazzino dei centri sociali (luogo che ho spesso frequentato), legato a slogan facili e digiuno di senso critico indipendente.
Fino a qualche tempo fa non avrei mai creduto che essere faziosi potesse diventare, nel nostro paese, qualcosa di più che una posa, ovvero un’esigenza, un’urgenza, una necessità.
Fino a qualche tempo fa, non avrei mai sognato, nemmeno nei miei incubi peggiori, di sentire la voce critica del mio paese ridotta a pochi solisti testardi (e, visti i tempi, coraggiosi o incoscienti). Tra questi un giornalista televisivo, un giornalista-saggista, un vignettista satirico e una sola, agguerrita testata di giornale.
Da qualche tempo sono fazioso, ricompro “la Repubblica” e non mi perdo una puntata di Annozero.

Nuovi inni

Meno male che Silvio c’è… di meno.

Coniato da Giacomo Cacciatore.

Il clan

Il maestro Giacomo Cacciatore mi ha onorato ieri con una bellissima citazione su Repubblica Palermo. Colgo l’occasione per ringraziarlo pubblicamente, anche se molti in questo blog sanno che siamo amici e che professionalmente ci stimiamo a vicenda. Certo, poi qualcuno ci accusa di fare clan, ma chi se ne frega…

Le domande me le sono inventate io

di Giacomo Cacciatore

Ieri sera c’è stata una piccola “puntata pilota” di regime a Matrix. Alessio Vinci faceva le domande (potrei anche fermarmi qui), Piero Sansonetti “provocava” sulle risposte e Paragone (di “Libero”: il nome non lo ricordo, ma credo che basti il bizzarro cognome) cercava di smontare le “provocazioni” di Sansonetti. Le virgolette non sono casuali. Praticamente il contraddittorio me lo sono inventato io. Nella trasmissione non c’era, e se c’era dormiva.
Lui, come sempre, ne ha dette di tutti i colori. Ammesso che di colori si possa ancora parlare, e non di unica tinta.  Su Raitre, la Dandini intervistava Marina Rei che diceva di ammirare Frida Khalo e la Modotti. Oggi si vota.

Papi tutti

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra
L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Non avrei voluto scrivere di Berlusconi e Noemi allegate. Se ne discute già tanto (non dico troppo, questo no: la faccenda promette di essere un vaso di Pandora non ancora del tutto rotto), lo fa chiunque, e chi non lo fa se ne sente in dovere. L’impulso a sfiorare la questione mi è dato dalla lettura di un saggio piacevole (e a mio parere illuminante) che si intitola “Dancing Days. 1978-1979. I due anni che hanno cambiato l’Italia”. L’autore, il giornalista e docente Paolo Morando, tocca un nervo della recente (ma sembrano passati secoli) storia italiana che ho sempre considerato scoperto ancorché sottovalutato. 1977. Fine dei movimenti. Probabilmente, fine dell’impegno politico su larga scala. Ferite fresche: la rivoluzione delle P38. Ferite in fieri: la lunga mano della P2. La gente non vuole più rientrare presto la sera sotto un cielo di piombo. Voglia di innamorarsi. Voglia di “individuale”. Allontanamento dalle pubbliche virtù e ripiegamento su umanissimi vizi privati. Ad accontentare gli italiani arrivano le lettere di passioni tormentate sulla prima pagina del Corriere della Sera (un fatto inaudito per via Solferino) e John Travolta. La parola che riassume il tutto: riflusso. Resta da stabilire se preteso o indotto. Soglie degli anni ottanta. L’era di che cosa e di chi lo sappiamo tutti: da allora abbiamo spento pochissimo la televisione. Ma per farvi un’idea, leggete il libro. Io mi limito a un breve cappello sulle parole del sociologo Sergio Fabbrini. Che offre a Morando un concetto sul quale riflettere: “Il populismo esprime il sentimento di una piccola borghesia insoddisfatta (…) che ha delle ambizioni sproporzionate rispetto ai talenti di cui dispone. Non c’è distinzione tra governanti e governati. L’élite si comporta come il popolo e viceversa. Tutti sono indistintamente allenatori della Nazionale. Nessuno dirige o decide e nessuno rende conto per ciò che ha fatto o non ha fatto”. E Morando gli fa eco: “Ecco perché l’Italia si innamora regolarmente di eroi piccolo-borghesi, come Mussolini o Berlusconi. Priva di una cultura moderna, l’Italia non sa distinguere tra pubblico e privato. I due coincidono, si sovrappongono. E allora che senso ha parlare di conflitto d’interesse?”.
Se il discorso è chiaro a noi, non penso che sia mai stato oscuro per Silvio Berlusconi e chi lo appoggia. Pubblico e privato: una biforcazione che si unisce in un sentiero verso il culto della personalità. Forse la chiave del successo del Cavaliere nella sua versione politica. Onori e oneri, però. Presidente operaio e Noemi. Quirinale ma anche Casoria. Famiglia modello con sfondo di caminetto e Veronica-Clitennestra. Una volta tracciato il sentiero non è più possibile invocare la biforcazione. Non a convenienza, almeno. Assisteremmo a un ennesimo, sconvolgente miracolo italiano.