L’abitudine alla lunga rischia di incatramarsi nel vizio. E io che sono un abitudinario da Guinnes dei Primati ho la presunzione di parlarne come da una cattedra.
Però è bello, e anche divertente, scardinare certe serrature che riteniamo di aver piazzato per protezione e invece sono lì soltanto a significare chiusura, privazione e un po’ prigionia.
Sempre in chiave personale, per qualche decina d’anni ho ritenuto, ad esempio, che non è il mattino ad avere l’oro in bocca, ma il cuscino. Sono stato, per vocazione e per professione, un tiratardi: quando ero costretto ad alzarmi alle otto del mattino – orario che con fallace dose di approssimazione definivo “da panificatore”- mi ritrovavo cotto già a mezzogiorno. Invece ultimamente ho provato a innescare la detonazione della sveglia qualche ora prima e, a poco a poco, ho scoperto che non è poi così male.
Potrei dilungarmi in altri esempi: abbandonare la diffidenza e provare a fidarsi, addolcire gli estremismi di certe abitudini alimentari, eliminare timori ingiustificati, leggere un altro libro di Cormac McCarthy, trascorrere un Capodanno in una città d’arte, vestirsi come una persona civile, imparare a contare prima di rispondere. Insomma credo che l’unica panacea contro un’abitudine sia un’altra abitudine, temporanea, rarefatta, folle.
E voi? Quante tendenze ripetitive, anche balzane, siete riusciti a eliminare?