I criminali del vaccino buttato

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Ha ragione il presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando dice che ai no vax si è dato troppo spazio mediatico. Ma ci sono casi, come quello di Palermo con gli arresti per le finte vaccinazioni a 400 euro ciascuna, in cui la scelleratezza di alcuni di loro merita tutta la nostra attenzione. Perché dietro un piano così grottesco c’è una subcultura che non si può liquidare con il gretto negazionismo di un manipolo di esaltati. Qui siamo oltre il peccato, direi quasi oltre il reato. Siamo alla fanta-criminalità. Per mettere su un sistema di siringhe svuotate (di un vaccino prezioso per l’umanità), di iniezioni a vuoto, di certificazioni farlocche, di inganno ai danni della comunità così macchinoso, ci vuole un insano convincimento: che la verità la si possa addobbare come un albero di Natale senza incappare in un refolo di dignità.

Non si può non tenere conto della blasfemia sociale di questi personaggi – tipo l’infermiera e il poliziotto – che oltraggiano la loro stessa missione e lo fanno addirittura nel tempio di una nuova razionalità post-pandemica, quell’hub della Fiera del Mediterraneo in cui da mesi e mesi ogni giorno medici, infermieri e lavoratori di ogni genere si sbattono per cercare di porre rimedio ai disastri del Covid. Su di loro svetta, come emblema di questi tempi orribili, quel leader no vax simpatizzante della Lega e in particolare di Salvini, già caporione di mille cause perse prevalentemente di estrema destra e, quasi per selezione naturale, autocandidato alle prossime comunali.  A conferma, come si dice, che il meglio dovrà ancora venire, ma il peggio è sempre puntualissimo.  

Il welfare degli spaccaossa

L’articolo pubblicato su la Repubblica.

Il welfare delle mazzate. Dai verbali degli spaccaossa, la banda che truffa le assicurazioni con atroci ferimenti volontari e organizzati, il modello che emerge è quello di una sorta di stato sociale parallelo, con tanto di regole di mercato e linee economiche sanguinolente.

Lo scenario è quello di una Palermo tanto disperata quanto cinica, con personaggi che a tratti ricordano il Mister Wolf di Quentin Tarantino, interpretato da un favoloso Harvey Keitel, che in “Pulp Fiction” compare solo per 10 minuti, eppure emerge come un protagonista non solo della storia ma di una metafora sempiterna: lui “risolve problemi” e non si cura di sangue e dolore.

Allo stesso modo alcuni protagonisti della crudele storia degli spaccaossa si pongono come risolutori, coloro i quali cioè sono nella scena del delitto per proporre soluzioni. E non c’è nulla di asettico, almeno in principio poiché dai verbali degli indagati emerge un barlume di sensibilità (si fa per dire): “Io all’inizio di queste fratture non ne volevo sapere perché le persone si facevano veramente male”, ammette il capo della banda Antonino Di Gregorio davanti ai magistrati.

Ma il suo cuore tenero ci mette poco a cedere alle ragioni dei soldi perché, fatti bene i conti, se il lavoro non se lo fosse preso lui se lo sarebbe accaparrato qualcun altro. Insomma quando il business c’è, il vantaggio è di chi lo sfrutta per primo. Che siano tibie spaccate o carta bollata poco importa, fondamentale è massimizzare gli utili.

Il modello economico del clan cambia all’improvviso quando l’intuizione storta di De Gregorio lo porta a una considerazione gelidamente elementare: “Prima gestivamo le pratiche di chi si faceva male da solo… Ma lo facevano tutti a Palermo e i guadagni erano troppo bassi. Dovevamo evolverci e dal 2017 abbiamo cominciato ad occuparci di casi in cui le fratture venivano appositamente inflitte per ottenere i risarcimenti sostanziosi”. Ecco la svolta: dal modello estensivo al modello intensivo, tipo coltivazione del grano.

Nella terra del caos, nell’Isola della disorganizzazione come modello funzionale di organizzazione, le poche strutture ben coordinate sono quelle criminali, non è una novità. Così gli spaccaossa sposano una filosofia aziendale rigidamente compartimentata: c’è il settore reclutamento delle vittime, quello dell’assistenza post-frattura, quello burocratico con un’aspirante avvocatessa che  si occupa delle carte dei risarcimenti, quello operativo delle mazzate, e persino quello medico ambulatoriale con un infermiere che fornisce anestetici e antidolorifici. Manca solo il customer care, ma evidentemente la disperazione non si recensisce, non prevede la casella “giudizio dell’utente”. 

L’astrazione tutta siciliana del concetto di causa da quello di effetto diluisce il rumore sordo della mazza sul femore in quello del tintinnio della moneta. Un colpo ben assestato e l’affare è fatto in un sistema in cui la vittima è vittima due volte: di una violenza e di un modello. “Purtroppo in città c’è molto bisogno, in giro c’è molta povertà… gli davo 500 o 600 euro e poi facevo partire il sinistro…” chiosa il Signore delle Tibie ipotizzando, senza ammetterlo, che uno stato di necessità possa alimentare un mercato in cui la merce principale è il dolore fisico imposto. Nulla di nuovo nella terra in cui lo slogan “la mafia dà lavoro” non è mai stata una provocazione bensì una fede maledetta. 

Se il reddito di cittadinanza è cosa nostra

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Lo spaccaossa, l’estortore, il presunto mafioso con villa e piscina: tutti col reddito di cittadinanza. La notizia fa sensazione perché accosta due concetti complicati come criminalità e stato di bisogno. Invece dovremo prendere un bel respiro e usarla laicamente, la notizia, come catalizzatore di attenzione su un provvedimento nato storto e finito peggio, nonostante l’intento fosse di cristallina civiltà. Il reddito di cittadinanza, così come si sta disvelando, è la ciliegina sulla torta di una politica che vorrebbe incoronare statisti e invece promuove parvenus. Una vera misura “di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale”, come da definizione governativa, dovrebbe arrivare da un sistema che conosce i confini dell’impero, che ha contezza di dover sviluppare un programma in un Paese in cui l’inganno è spesso il germe della legge, soprattutto quando si parla di soldi. Il concetto stesso di povertà cambia da quartiere a quartiere (figuriamo le differenze tra una città e l’altra) poiché tutti sanno che essa non è esclusivamente riconducibile alla mancanza di lavoro, ma è la complicata somma di molti fattori: salute, aspetti abitativi, psicologici, sociali, eccetera.

Quando un partito fonda il suo programma su un aiuto economico a largo raggio senza saperlo impermeabilizzare all’acido del populismo, fa un danno innanzitutto a se stesso. E lo spaccaossa fa sensazione, ma in fondo mica tanto.

Montante e i telefoni rotti

L’articolo di oggi su la Repubblica Palermo.

Ci mancavano solo le martellate e poi la vendetta di Antonello Montante contro quella tecnologia che gli era amica e che improvvisamente rischia di diventare un cappio al collo sarebbe stata drammaticamente e soprattutto fisicamente completa. La segretaria che svuota l’iPhone mentre la polizia è alla porta, lo stesso Montante che distrugge 24 pen-drive prima della perquisizione… Ecco, c’è  in questo rito disperato quel qualcosa di medioevale che ci ricorda che comunque siamo polvere e di quella cosa lì siamo fatti, non solo per metafora. La volontà di memorizzare forzatamente grazie a un ausilio tecnologico, il sollievo di fissare concetti complicati con un semplice sfioramento di polpastrelli sono emozioni non reversibili. Giacché le macchine restituiscono con più resistenza di quando raccolgono: un’operazione telematica è semplice quanto è complesso il suo annullamento. Ma quella che molti di noi chiamano procedura di sicurezza (evitare di cancellare qualcosa per sbaglio) alcuni chiamano sciagura. Specie quando alla porta c’è la polizia.

Fusillo di scambio

fusilliNella pratica immor(t)ale del voto di scambio, resistono i pacchi di pasta. Ne scrivo qui.

Il grande fratello dei falsi invalidi

Falsi-invalidi

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

C’è un rischio a guardare e riguardare le immagini dei finti invalidi dell’Agrigentino smascherati dai carabinieri, e cioè che a un certo punto la capacità di creare il falso, superi la capacità di scoprirlo. Perché la semplicità della finzione risulta talmente naturale che uno arriva a non credere ai propri occhi. No, quel tipo che si presenta alla visita medica in barella, imbacuccato e che respira a stento non può essere lo stesso che qualche giorno prima passeggiava a passo spedito verso la sua auto, entrava dal lato passeggero e con un’acrobazia saltava al posto di guida. E quella signora tremante e sepolta di coperte sulla lettiga non può essere la stessa che scesa dall’ambulanza, e sganciate diverse banconote ad autista e infermiere, sale sui tacchi e va a fare la spesa trascinando senza fatica una sporta formato famiglia. Continua a leggere Il grande fratello dei falsi invalidi

Fondi pubblici e vizi privati

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Negli anni Novanta le cronache giudiziarie siciliane si trovarono alle prese con un termine nuovo: infungibilità. Erano i tempi delle sciabole corrusche che decapitavano, uno dopo l’altro, i protagonisti di Sanitopoli, responsabili di gravi casi di corruzione ai danni del sistema sanitario pubblico. Allora, uno dei metodi più diffusi per pilotare una gara per l’acquisto di un costoso macchinario era quello di dichiararne l’infungibilità, cioè l’insostituibilità assoluta per valore e caratteristiche tecniche. Si scoprì che con questo trucco schiere di primari si erano fatti i soldi grazie alle tangenti riscosse dai fornitori. Dopo le inchieste della magistratura fu chiaro che le norme andavano cambiate e che l’amministrazione pubblica doveva darsi una mossa in tema di controlli.
Vent’anni dopo scopriamo che la nuova frontiera del malaffare è ancora basata in parte sul concetto di infungibilità, stavolta allargato a un intero ente, come se fosse un’unica grande cosa insostituibile e quindi preziosa. Continua a leggere Fondi pubblici e vizi privati

Orgoglio e giudizio

Accade questo. A Palermo un imprenditore subisce da anni rapine nei suoi negozi. Qualche giorno fa, dopo l’ennesimo colpo, decide di mettere online su diPalermo il filmato delle telecamere di sicurezza in cui si vedono chiaramente i volti dei due rapinatori. Ieri, a tempo record, i criminali vengono fermati dai carabinieri e riconosciuti dai testimoni. Per la prima volta l’imprenditore avrà qualcuno contro cui costituirsi parte civile.
Tutto lineare, semplice, diretto.
Azione, conseguenza. Senza orpelli e passi forzati.
Il primo che parla di giustizia sommaria o di clima da far west vince un viaggio premio nel Medioevo.

Clandestino nel deserto

E così, dopo un paio di direttori e dopo un paio di fondatori, il Clandestino ha perso anche un paio di editori.
Il giornale non avrà mai l’onore di un Pulitzer, ma quello del Guinnes dei primati sì: la redazione più deserta del mondo.

E me lo dite ora?

Credo di aver scelto il momento sbagliato per cambiare compagnia telefonica.