Amanda, Raffaele e il circo del web

raffaele e amandaC’è un vento di scandalo che cresce dopo l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio di Meredith Kercher. A soffiare sono i soliti intellettuali da social, digitatori abusivi di opinioni che hanno tutto da dire su tutto, anche se si tratta di argomenti a loro ignoti, e anzi meno ne sanno più si slogano i polpastrelli in tesi acrobatiche.

L’ultimo esercizio d’improvvisazione logica (più improvvisazione che logica) verte attorno al seguente argomento esclamativo: poveri Amanda e Raffaele, innocenti massacrati ingiustamente per otto anni da una giustizia ingiusta!

A parte la lunghezza del processo, che è il vero scandalo di questo Paese e che non riguarda solo i due ragazzi in questione, è fondamentale tenere a mente che il caso era particolarmente complesso e che si trattava di un procedimento a carattere indiziario. E gli indizi vanno pesati e vagliati attraverso tutti i gradi di giudizio che, ricordiamocelo, sono una garanzia di giustizia poiché impongono un vaglio completo e ripetuto di tutti gli elementi utili per giungere a una sentenza definitiva. Nel caso dell’omicidio della povera Meredith, ci sono voluti cinque processi per stabilire che il quadro accusatorio “non è sorretto da indizi sufficienti”, che comunque giustificavano un’attenta valutazione perché non si trattava di bruscolini, ma di sangue e violenza cieca. Qual era l’alternativa invocata dai tuttologi dei social? La sentenza che piace è più giusta di quella che non piace? Ci si può sostituire ai giudici senza sapere un tubo solo per il gusto di inventarsi un’opinione prêt-à-porter?

Se Amanda e Raffaele sono per la giustizia italiana non colpevoli, non è detto che siano stati accusati ingiustamente. C’era più di un sospetto, gli inquirenti non li hanno deportati in un’aula di giustizia perché non avevano nulla da fare, ma perché i due erano sulla scena del delitto e il loro comportamento induceva a pensar male. Il resto sono chiacchiere in libertà vigilata.

Il Marcello viaggiatore

Fermo restando che bisogna attendere ancora il timbro della Cassazione (l’ennesimo), che la presunzione di innocenza fa di lui un illustrissimo galantuomo, che il suo partito è perseguitato da un branco di giudici assetati di sangue berlusconiano, vi siete mai chiesti dove sarebbe adesso uno qualunque di noi con un decimo dei suoi trascorsi penali?

Qualche mese fa su diPalermo mi sono posto questa domanda. Oggi è arrivata la risposta: uno qualunque di noi sarebbe in galera, lui è all’estero.

Sul web più controlli, più rischi di essere colpevole

La Corte europea per i diritti dell’uomo ha stabilito che i siti web sono responsabili dei post anonimi offensivi. La decisione aggiunge confusione in un campo sul quale, nel 2010, era entrata a gamba tesa la Cassazione stabilendo che in caso di contenuti diffamatori, il regime di responsabilità previsto per il proprietario del sito web è diverso da quello previsto per il direttore di una testata giornalistica: infatti su internet, secondo i giudici, vi è un alto tasso di interazione e di velocità che rende impossibile la gestione e controllo dei contenuti.
Ora la Corte di Strasburgo dice invece che il portale è pienamente responsabile, specialmente in quei siti in cui è attiva la moderazione dei commenti. Ciò ci consegna il seguente paradosso: più controlli, più sei colpevole, perché ti assumi la responsabilità di ciò che hai lasciato passare. Se invece te ne freghi, vivi felice.

Nella vecchia fattoria

Il caimano si rfiugia nel fango, nell’attesa che qualcuno scriva il suo coccodrillo.

L’Augello non prende il volo.

I falchi e le colombe sono costretti a condividere il nido del fallimento, guardati a vista da una pitonessa in abito leopardato.

 

E ora è attesa la testimonianza di Ugo Pagliai

il giornale

Franco Nero dà una mano a Berlusconi. Del resto, tra colleghi attori, un po’ di cortesia non guasta.

Delinquente comune

o-SILVIO-BERLUSCONI-CONDANNATO-facebook

La verità è che anche questa condanna non riesce ad essere drammatica, tutta dentro la piccineria del delinquente comune. Pure il caritatevole rinvio all’italiana della sua cacciata dalla politica non ha la grandiosità dello strazio di Craxi, non c’era lapietasche suscitò Forlani ripreso in tv con la bava alla bocca, neppure la complicità di un intero Stato come nel processo Andreotti, meno che mai la profondità di Gava che al carabiniere che pronunziava la formula di rito, «È lei Gava Antonio?», rispose: «Io ero, guagliò. Io ero».

Francesco Merlo oggi su laRepubblica.

Diluvio o Porto Cervo?

diluvio universale

Dunque se Berlusconi fosse condannato in modo definitivo sarebbe un disastro non solo per l’ex premier ma per l’intero Paese. Silvio infatti non si accontenterebbe di un esilio dorato tipo Craxi, ma preferirebbe finire in galera in modo da martirizzarsi a puntino. Immolandosi, darebbe così il la alla sinfonia di proteste che culminerebbe nelle dimissioni in massa dei 200 parlamentari del Pdl. A catena, crisi politica e diluvio universale.

Se invece la Cassazione lo liberasse dall’infamia di una (una?) condanna ingiusta, il sole sorgerebbe più splendente che mai, i ristoranti tornerebbero a riempirsi e il Pd vivrebbe felice e contento votando, governando e patteggiando fraternamente col centrodestra. A catena, fallimento dell’azienda Italia, suicidi di massa, ma almeno niente punizioni bibliche. L’Arca resterebbe ormeggiata a Porto Cervo.

Freedom


L’arresto di Alessandro Sallusti sarebbe tanto irritante quanto l’approvazione di una norma che, quasi ad hoc, gli evitasse il carcere. In entrambi i casi infatti si correrebbe il rischio di santificare un condannato: facendone nel primo caso un martire, e nel secondo un modello.
Il personaggio è quello che è, abituato agli estremismi di un giornalismo senza scrupoli ma non per questo senza padroni. Sallusti – è la mia impressione – non vede l’ora di essere arrestato, di diventare la bandiera di una lotta politica che col giornalismo ha poco a che vedere, come i personaggi di questa vicenda.
Sono pronto a battermi perché lo lascino libero. Solo così si avvicinerà più rapidamente al dimenticatoio che gli spetta.

I cocci di Arnaldo La Barbera

Leggendo le motivazioni della Cassazione sulle condanne per il massacro del G8 alla scuola Diaz di Genova, c’è un nome che mi colpisce. Arnaldo La Barbera. Chi, come me, lo ha conosciuto e ha seguito le sue gesta ha pochi dubbi nel leggere sospetti, postumi, sulle sue molteplici attività professionali. Da capo della squadra mobile di Palermo e da coordinatore del pool di indagine sulle stragi Falcone-Borsellino, La Barbera non ha mai perso occasione per mettere in luce la sua trasversalità. La prima e unica volta che lo incontrai, mi chiese a bruciapelo soffiandomi il fumo di tabacco negli occhi: “Tu giochi?”. Intendeva le scommesse o il poker o qualsiasi altra cosa avesse a che fare col rischio di perdere dinanzi a lui. Non mi fece simpatia, ovviamente.
Un giorno uccise con un colpo di pistola un rapinatore che aveva fatto irruzione nel centro estetico in cui lui si stava sottoponendo a dei massaggi. Il bandito aveva un’arma giocattolo. Era  gennaio. Era il 1992. Pochi mesi dopo, le esplosioni di Capaci e di via D’Amelio lo avrebbero visto in prima fila a condurre indagini delicatissime. E a chiudere cerchi con troppa facilità. L’inchiesta sulla strage Borsellino è un manuale di depistaggi e testimonianze indecenti.
Qualche anno dopo si saprà che La Barbera era al servizio del Sisde: nome in codice Catullo.
Quando morì, i giornali lo descrissero come un superpoliziotto, come un uomo tutto d’un pezzo.
Ieri la Cassazione mi ha ricordato che i pezzi sono anche cocci.

Mi dispiace, non siamo tutti Sallusti

Il tam tam internettiano in difesa di Alessandro Sallusti ha toccato picchi di ipocrisia e superficialità da Guinnes dei primati. Ieri ho letto migliaia di messaggi deliranti sulla vicenda del direttore del Giornale che, lo dico apertamente, non merita di finire in carcere vivendo in un paese in cui in carcere non ci stanno più neanche i corruttori e gli assassini.
Su Twitter impazzava l’hashtag #siamotuttisallusti, e bastava scorrere i commenti per avere la prova dell’effetto deleterio delle catene di Sant’Antonio: quando si diffondono parole senza senso, la ragione vaga come una barca senza timone.
La panzana più grottesca (e purtroppo più frequente) ieri era basata sull’equivalenza tra il caso Sallusti e la libertà di stampa. Caso da manuale in cui si confonde il mestolo con la minestra: operazione che non solo è da stupidi, ma che fa anche male alla salute (provate a ingoiare un mestolo e vedrete quanto ve ne frega poi della minestra).
Il problema del direttore del Giornale è quello di aver violato la legge, legge che può piacere o meno ma questo è un altro discorso. La libertà di stampa non c’entra un tubo perché il giornalista non può mai avere garanzia di impunità per ciò che scrive, per di più sbagliando. La libertà di stampa insomma non è uno scudo contro l’irresponsabilità, ma una necessità dello stato democratico, cioé qualcosa di sideralmente distante dal privilegio di casta.
Sallusti non merita il carcere per la sopra citata questione di congruità (prima in cella ci vadano e ci restino i delinquenti, poi – ma proprio poi – si penserà ai diffamatori), ma evitiamo di fare le fiaccolate per uno che con la buona informazione, quella non asservita alle esigenze del padrone, quella che non insegue gli asini che volano, non c’entra niente.
Il caso Boffo non vi dice niente?